Umanità Nova, numero 27 del 4 settembre 2005, Anno 85
La vicenda della strage alla stazione di Bologna, nell'agosto 1980, consiste in una matassa inestricabile di oscure connivenze, di inconfessabili verità e di altrettanti intricati depistaggi. A tessere lo spazio senza fine degli eventi che seguirono, anche soltanto sul piano giudiziario, la micidiale esplosione, sono stati i complicati congegni della politica e della memoria. Una memoria affidata ormai alle fotografie e alle immagini di vecchi telegiornali.
Di recente Andrea Colombo ha resuscitato sulle pagine de Il Manifesto una delle piste più fantasiose mai affidate alle colonne di un quotidiano, vale a dire quella relativa al coinvolgimento di terroristi mediorientali, riprendendo le recenti dichiarazioni di Francesca Mambro, condannata assieme all'attuale marito, Giuseppe Valerio Fioravanti, per aver materialmente partecipato all'esecuzione della strage. Secondo la Mambro non si deve trascurare la pista che porta direttamente al noto terrorista internazionale Carlos, al secolo Ilich Ramirez Sanchez. Come ricorderete Mambro e Fioravanti sono stati elementi di spicco dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari che tra fine degli anni Settanta ed inizio degli Ottanta si sono resi colpevoli di un consistente numero di omicidi a scopo politico prima di naufragare nella palude torbida del decennio che avrebbe conosciuto la caduta del muro di Berlino e il superamento della cosiddetta Guerra fredda.
Voci sulla strage di Bologna, del resto, se ne sono levate molte, e tutte sostengono versioni diverse. Quel che possiamo considerare certo, comunque vada, è che la testimonianza di Francesca Mambro resta una delle meno attendibili proprio per il ruolo svolto dai Nar in quel particolare contesto. Non dubito che, secondo quanto lei stessa ha dichiarato nell'ultima intervista a Sky Tv 24, a Bologna potessero essere presenti in quei giorni maledetti di agosto due militanti rivoluzionari tedeschi legati al gruppo di Carlos, né che, sto sempre citando dagli articoli di Colombo scritti in rapida sequenza tra il 2 e il 4 agosto scorsi, i guerriglieri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina stessero pensando di reagire con forza all'arresto in Italia del loro compagno Abu Saleh che contravveniva palesemente agli accordi stretti tra Moro e Organizzazione per la liberazione della Palestina. Posta al crocevia indecifrabile di rapporti interni ed internazionali mai chiariti, l'Italia di allora non scontava soltanto l'essere costitutivamente parte della Nato, ma senz'altro anche l'approntamento di strategie occulte che mettevano insieme contrastanti interessi. Questa ridda di elementi eterogenei rende ancora più complicato lo schema interpretativo di quei fatti, posto che si arrivi mai a tracciarne uno.
Ciò che mi sembra invece evidente è che si va dissolvendo, il fenomeno può essere considerato in via di definitivo consolidamento in questi ultimi anni, il solco di una traccia d'analisi che una semplice, e doverosa, ricostruzione storica, aveva segnato a fatica nel corso di un ventennio almeno. Non è quindi sostenibile, seguo parte del ragionamento di Colombo, sulla scorta della cospicua documentazione di cui disponiamo, che i Nar siano stati profondamente diversi dai "fratelli maggiori di Avanguardia nazionale o di Ordine nero", così come non siamo affatto certi che la "componente imitativa" rispetto ai gruppi coevi dell'estrema sinistra in armi sia una delle caratteristiche principali della formazione di "fascisti del '77" capitanata da Fioravanti.
Si è parlato spesso di "spontaneismo armato" per ciò che concerne quell'esperienza di attacco armato al "cuore dello Stato"; ho utilizzato più volte anch'io questa terminologia, forse senza accorgermi che lo facevo più sulla spinta di un' "onda mediatica", diciamo così, che sulla base di dati concreti. Se da un lato è vero che lo scontro con la generazione "neofascista" precedente fu totale e che i fermenti di rivolta contro lo Stato trovavano, sia a destra che sinistra, un comune terreno di analisi politica, è altrettanto vero, dall'altro, che i Nar provenivano dallo stesso sostrato ideologico: la loro geneaologia ci conduce direttamente agli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, quando l'ultimo fascismo resuscitato dall'esperienza storica e politica della Repubblica sociale italiana ricompose le proprie fila ben consapevole del mutato clima istituzionale e sociale. Mai davvero completamente indagato, ad esempio, il ruolo di Avanguardia nazionale, altra organizzazione-chiave della galassia neofascista, potrebbe rivelarsi foriero di insospettabili argomenti di indagine, come ha più volte sottolineato Vincenzo Vinciguerra, un testimone scomodo del "neofascismo" italiano.
Propongo alla vostra attenzione un passaggio dell'intervista rilasciata da Vinciguerra, reo confesso della strage di Peteano del 1972 e consegnatosi spontaneamente alle autorità nel 1979, cinque anni fa nel carcere di Opera, dove è attualmente detenuto per scontare l'ergastolo. "Credo che gli elementi che possono gettare luce sulla strage di Bologna siano quelle indagini che devono essere fatte sui collegamenti tra [Fioravanti e Mambro] e il nucleo stragista veneto [Ordine nuovo, cui lo stesso Vinciguerra apparteneva] e certi apparati dello Stato nazionali e internazionali che sono sempre stati alle spalle del nucleo stragista veneto. Perché le stragi in Italia hanno un'altra chiave di lettura. La strage apertamente rivendicata, lo stragismo come arma di lotta politica viene indicato apertamente dal neofascismo, mi ha suggerito, e in questi ultimi tempi ho trovato un riscontro, che c'era una logica di odio nei confronti dell'ideologia fascista. Praticamente se qualcuno poteva guardare con occhi più sereni all'esperienza fascista, è chiaro che il coinvolgimento nello stragismo gli ha fatto passare la voglia."
Vinciguerra, dunque, va addirittura più in là: lo stragismo, come tecnica di lotta rivoluzionaria, finisce addirittura per annullare il "credo" politico fascista tradizionale; costituisce un'evoluzione spuria, terribile, della "linea nera" che arriva nella sua desolante successione ininterrotta dalla metà degli anni Quaranta del Novecento. L'approccio di Vinciguerra al significato dello stragismo non è, naturalmente, che una delle tante, lo dicevo prima, possibili ricostruzioni affidate alla memoria dei protagonisti di quell'Italia del terrore, anche se ha il pregio di non fare sconti a nessuno e tanto meno a chi la propone. Nella complicata trama delle connessioni e dei rapporti mai chiariti con pezzi del sistema istituzionale stesso, giacché i servizi segreti sono questo e nient'altro, per dire di uno dei più importanti tra quei pezzi, nemmeno le inchieste giudiziarie riescono a districarsi, forse proprio perché l'apparato del diritto e di chi deve applicarne le regole non può che muoversi all'interno del dispositivo istituzionale, un insieme di congegni che trova le sue origini in quella stessa amalgama di continuità, più volte sottolineata da alcuni storici e commentatori decisi a rimuovere ingombranti mistificazioni, ideologiche, politiche e finanche culturali, che ha caratterizzato buona parte delle contraddittorie cronache del nostro paese negli ultimi sessant'anni.
Non siamo in grado di fornire risposte concrete sulla strage di Bologna; ed è questa l'unica verità che mi sento, paradossalmente, in grado di sostenere. Ma possiamo tentare di comprendere, magari in modo imperfetto, parte della storia di quegli anni evitando clamorose omissioni. Tra le pieghe della realtà, a volte si cela l'inaspettato. Il 28 agosto del 1970 alla stazione ferroviaria di Verona venne rinvenuta per caso una valigia imbottita di esplosivo. Il destino volle che non esplodesse; se fosse andata diversamente da quel giorno avremmo parlato della strage di Verona piuttosto che di quella di Bologna. Come ci ricorda ancora Vinciguerra, "…la strage è un mezzo che il potere utilizza per creare uno stato d'allarme tra la popolazione per poter intervenire e rassicurare questa stessa popolazione […] perché solo chi detiene il potere può padroneggiare gli eventi successivi." Già. Ma chi detiene il potere? E chi lo deteneva nel 1980?
Mario Coglitore