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Umanità Nova, numero 27 del 4 settembre 2005, Anno 85

Letture. Jean-Paul Gouteux, Ruanda: un genocidio senza importanza
Il ruolo della chiesa cattolica e della Francia.



Jean-Paul Gouteux, Ruanda: un genocidio senza importanza. Il ruolo della chiesa cattolica e della Francia 2004. Trad. it. di Daniela Raspollini e Alfonso Nicolazzi. La Coop. Tipolitografica, Carrara, 2005, pp. 192, € 15,00

Non so quanti lettori di UN abbiano visto di recente il bel film Hotel Ruanda sul genocidio dei tutsi e degli hutu moderati perpetrato in Africa in appena cento giorni, per un totale di circa un milione di vittime. Il film trae spunto da una vicenda vissuta, e pur essendo una fiction non documentaristica (non si vedono i cadaveri squartati a colpi di machete), non solo coglie il sale dei fatti, ma riesce a essere vivido alla pelle degli spettatori sensibili.

Ebbene, anche il libro di Gouteux, sia pure dichiaratamente di parte, riesce a trasmettere una sensazione di rabbia impotente documentando (e rinviando ad altra documentazione accessibile e nota da un decennio) come fosse possibile bloccare la mano omicida di un governo sanguinario, monoetnico nonché "nazista tropicale" (come è stato definito da alcuni testimoni), che ha perpetuato le logiche di potere che un tempo furono dei colonizzatori - i belgi di re Leopoldo furono i più crudeli dell'epoca, peggio degli giannizzeri turchi contro gli armeni, primo genocidio negato del Novecento.

Infatti, anche oggi a distanza di dieci anni, il genocidio viene negato dai responsabili hutu in esilio (qualche volta dorato) o dietro le sbarre del Tribunale Internazionale di Arusha che, ipocritamente da parte dell'Onu, fu istituito a cose fatte senza indagare le radici del male banale di un genocidio annunciato a chiare lettere e addirittura incitato per radio e nelle omelie.

Il libro nulla aggiunge di nuovo a quanto si sa: il ruolo dei preti cattolici risale agli anni del dominio coloniale, secondo l'antica logica genocidaria sperimentata cinquecento anni orsono con gli indios amerindi, cristianizzati a forza. La copertura delle gerarchie cattoliche locali va da sé, un po' meno il ruolo di copertura, esfiltrazione, favoreggiamento e occultamento di prove e responsabili da parte del Vaticano sotto il pontificato del "santo" pacifista e noglobal che fu Karol Woytila. Da qualche parte in Toscana si corre perfino il rischio di incontrare qualche prete corresponsabile del genocidio hutu, estremista peggio dei politici allora al potere a Kigali.

Sostituendo il Belgio come potenza coloniale d'area, la Francia di Mitterand armò, aiutò, depistò, coprì e assolse i genocidari, il tutto ovviamente in nome dei diritti umani sin dal 1793 (Liberté égalité fraternité) e dietro il paravento del diritto di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come si evidenzia tanto nel film, quanto nel libro, l'Operazione Turquoise, benedetta dall'Onu nel giugno 1994, in pieno genocidio, e perfidamente delegata alle truppe e servizi francesi già alleate del governo assassino in carica, servì non per arrestare i massacri, bensì per dissimularli sotto forma di guerra civile e intertribale in corso, da cui salvare i bianchi malauguratamente lì presenti, e tra essi anche qualche notabile hutu, mandando invece allo sterminio i tutsi riparati in luoghi "sicuri" quali chiese e consolati (perfino i tutsi coniugi o figli di bianchi furono lasciati al loro terribile destino!).

Film, per chi lo ha visto, e libro, per chi lo leggerà, si completano a vicenda, puntualmente si dà nome e cognome a persone ancora libere - e quale novità: anche Truman morì nel suo letto dopo aver scagliato ben due bombe atomiche sui giapponesi quasi vinti, e comunque su popolazioni inermi, il primo attacco con armi di distruzione di massa… - mentre vengono ripercorse le tecniche preparatorie del genocidio, risalenti sino al 1959, con stermini e massacri nel corso degli anni sessanta, poi nel biennio 1990-91 (quando la maggioranza hutu al potere era "consigliata" dai francesi), e infine dopo il 1994 nei campi profughi congolesi in cui l'Acnur non riuscì a distinguere responsabili e vittime, dando in pasto le seconde ai primi. 

Lo stato criminale è genocidario per vocazione: dall'epopea del far west hollywoodiano nell'Ottocento, per poi passare al lungo XX secolo (armeni, ebrei, timoresi, ecc.), le tecniche di sopravvivenza a ogni costo (altrui) al potere si affinano sempre più, anche quando le armi sono 581 tonnellate di machete bifilari (palesemente inadatti all'attività agricola…), ossia un chilo a testa per ognuno degli hutu presenti in Ruanda nel 1994. E le tecniche genocidarie sono sempre le stesse, iniziandosi attraverso una schedatura di massa per origine etnica (lo stesso nella Jugoslavia in procinto i disgregarsi proprio in quegli stessi anni novanta), una diffusione capillare di messaggi discriminatori, veicolati dalla famigerata Radio delle Mille Colline e dalle parrocchie disseminate nel territorio, la costruzione immaginaria di artificiali differenze (hutu e tutsi parlano la medesima lingua, hanno le stesse usanze culturali, professano il medesimo culto, addirittura condividono tratti somatici affini, come ho potuto sperimentare io stesso sbagliando a individuare l'origine etnica di persone casuali all'aeroporto di Kigali in base agli stereotipi somatici, del genere hutu bantu bassi, tutsi watussi alti).

Né i principi maggioritari della democrazia formale sono sufficienti a dissuadere, da un lato, e bloccare, dall'altro, un eventuale sterminio di massa, anzi un concetto comunitario di cittadinanza – dalla nazione monoetnica al localismo leghista più becero – può fungere da grimaldello per far saltare, ove esiste, la rete protettiva di opinione istruita, giornali indipendenti, associazioni vitali e mobilitazione politica dal basso, mentre laddove non esiste nulla di tutto questo, lo stato di diritto e il garantismo giudiziario (il cui fine, secondo la teoria liberale ignota ai nostri liberali, è proprio quello di controllare la legalità del potere della maggioranza) si rivelano oziosi fardelli pronti a essere dimessi senza difficoltà, come segnalano oggi le inquietanti metafore di Guantanamo e della legislazione antiterrorista ieri a stelle e strisce, oggi britannica e prossimamente europea.

Certo, senza gli "assassini della memoria", come li bolla Vidal-Naquet, non è possibile far passare impunemente un genocidio pianificato e condotto sotto i riflettori internazionali, in quel laboratorio regionale che ha incubato la prima grande guerra panafricana che nel Congo già Zaire di lì a poco avrebbe causato oltre due milioni di morti.

Gli stati e i loro governi, di qualsiasi colore, sono recidivi, e il revival di fondamentalismo religioso monoteistico non lascia immuni élite in cerca di dominio che trovano in testi barbari antichi (nel caso ruandese, il dio vendicatore dell'Antico testamento, nel caso islamico, il Corano con i suoi precetti dogmatici che dicono tutto e il suo contrario) quel motore in grado di spingere masse esaltate ma comunque normali, di uomini, donne e bambini, a compiere in piena consapevolezza un eccidio maestoso senza pagare dazio nemmeno alla propria minuscola coscienza.

L'unico antidoto, pre-giudiziario, è solo la vigilanza di ciascuno e di tutti affinché la forza del controllo diffuso prevalga sulla forza delle armi foraggiate dai poteri istituzionali.

Massimo Tessitore







































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