Umanità Nova, numero 27 del 4 settembre 2005, Anno 85
Siamo alle solite. Inevitabile come il tormentone estivo che imperversa nelle balere romagnole, arrieccoci con il catastrofico scontro di civiltà e relativo "dibbattito". È inutile, non si scampa da questa maledizione divina, anche perché stavolta, a introdurre l'argomento, è la seconda carica dello stato, il presidente del Senato Marcello Pera. Se poi questo avviene nella prestigiosa cornice del Meeting di Comunione e Liberazione, il salotto buono dell'incontro fra laici (laici?!?) e cattolici, c'è poco da fare: per il dovuto rispetto alle sacre istituzioni, conviene che se ne occupi, anche se controvoglia, pure "Umanità Nova".
La storia parte da lontano. Da tempo, infatti, si dibatte sull'importanza delle "radici cristiane" dell'Europa, e in un primo momento pareva che il loro riconoscimento nella Costituzione europea fosse solo una stizzosa pretesa clericale o l'inoffensiva affermazione di una scontata identità storica. Ora, invece, pare evidente che così, o almeno solo così, non è. Nelle intenzioni di chi vuole riproporle, infatti, non c'è solo il desiderio di affermare l'importanza di una tradizione, quanto, piuttosto, il riconoscimento "legale" di una identità che, allorché venisse sancita, sarebbe la premessa indispensabile per escludere, quando lo si ritenesse opportuno, tutte le altre. In soldoni, se l'Europa (e quindi la cultura occidentale) è quella che è perché è cristiana, non può poi richiamarsi, con altrettanto diritto, alla sua componente illuministica o materialistica, né mettere su un piano effettivamente paritario le altre religioni, dall'islam al giudaismo, dal paganesimo allo spiritualismo, dalla new age all'animismo... Con quello che ne consegue.
Se, come temiamo, il progetto è questo, non c'è che dire: è talmente grandioso che gli utili idioti chiamati di volta in volta a sostenerlo, possono permettersi di dare fiato alle trombe, anche le più stonate, sprezzando il ridicolo e guardando con sufficienza le inevitabili accuse di opportunismo e trasformismo. È appunto il caso del non credente Pera, il quale, per qualche inconfessabile stimolo che preferiamo non conoscere, si è arruolato in quella eterogenea armata di laici insospettabili e a prova di bomba (in primis le limpide figure di Giuliano Ferrara e Oriana Fallaci) che si dedicano, con furore mistico, ad esaltare, nei fatti e non solo nelle parole, l'imprinting cristiano (e confessionale) sulla cultura, la storia, la società europea.
Eccoci allora al florilegio di scemenze ribadite dal palco riminese e subito applaudite dai bravi ragazzi di Cl: dal pericolo del meticciato razziale alla necessità della difesa dalle "insidie" del terzo mondo, dalla trita affermazione della superiorità della cultura occidentale alla necessità, come corollario, di rafforzarne la superiorità morale a qualsiasi costo, meglio se con le armi. Non vorrei tediare i lettori, ma occorre riportare alla lettera alcuni illuminati passaggi del suo intervento: "In Europa si diffonde l'idea relativistica che tutte le culture hanno la stessa dignità etica, si pratica il multiculturalismo e si alzano le bandiere arcobaleno anche quando si è massacrati [...] Ci difendiamo con la diplomazia, la politica, la cultura, i commerci, i negoziati, gli accordi. E alla fine ci difendiamo con la forza delle armi".
Naturalmente, di fronte alle rozze, anche se non inefficaci farneticazioni di questa nuova recluta dell'esercito del bene, ci sono state numerose reazioni. Alcune avverse, altre favorevoli, molte caratterizzate da gesuitici distinguo. Tra queste, naturalmente, quelle delle gerarchie cattoliche, che hanno interpretato, sostenendo tutto e il contrario di tutto, la parte che gli riesce meglio, quella bimillenaria del pesce in barile. Offrendo così un ulteriore tassello a quel processo di riavvicinamento in atto, oggettivo e strategico, tra la Chiesa e una parte del potere politico ed economico occidentale, inteso a dare un simulacro di dignità etica e culturale all'esclusione dalla stanza dei bottoni dei popoli emergenti che intenderebbero controllare un po' meglio risorse e materie prime. E che osano pretendere di partecipare più equamente al benessere generale.
Gli obiettivi, pare evidente, sono del tutto convergenti. Al cristianesimo che si propone come il più efficace collante dell'occidente (e quindi il pernicioso relativismo culturale va messo definitivamente al bando) viene offerta come ricca contropartita il pieno riconoscimento del valore "legale" dei suoi principi, dei suoi valori e dei suoi dogmi, come dimostra, ad esempio, la recente vicenda della fecondazione assistita, che ha "sorprendentemente" visto convergere sulle posizioni più oltranziste dei vescovi gran parte del cosiddetto laicismo italiano. La Chiesa, da parte sua, con l'ambiguità in cui è maestra, farà da sponda autorevole e benevola a tutti gli strumenti che il capitalismo intenderà adottare per difendere i propri interessi, siano quelli dello sfruttamento armato o disarmato. Non c'è niente da fare, e come nel medioevo, per meglio tutelare i propri interessi contro l'invadenza degli sfruttati, il potere temporale dovrà mendicare la legittimità al potere spirituale di santa madre chiesa.
Se qualcuno dovesse poi interrogarsi sull'apparente inconciliabilità fra un presunto pacifismo papale e l'evidente lottarmatismo di tanti suoi accoliti, niente paura!, sono solo due tattiche della medesima strategia con la quale la Chiesa, concedendo qualcosa all'uno e qualcosa all'altro, si mostra ora pacifista ora guerrafondaia, ora tollerante ora integralista, ora aperta al dialogo ora chiusa nella sua torre d'avorio. Ora osannata dai papa boys di Colonia, ora percorsa, come ci è toccato leggere l'altro ieri, dai don Gallo boys di Casarini e Caruso. Insomma, come sempre una chiesa per tutte le stagioni, con metà dei credenti rivolta verso la sua parte autoritaria e l'altra a quella "libertaria", tutti comunque chiamati a baciare, quando necessario, la sacra pantofola del capo, maestro nel dire tutto e il contrario di tutto. E che quando ne deve sparare una particolarmente grossa, che non si confà alla sua santa persona, trova sempre l'utile idiota di turno, felice di assumere quel ruolo dal palco di un meeting riminese di mezza estate.
Del resto non è un caso che sempre più insistentemente si torni ad affermare che l'unica etica accettabile è quella che trova il proprio fondamento non nel senso di giustizia, come si converrebbe, bensì, sic et simpliciter, nella fede. Nella fede, sì, ma solo in quella cristiana, per l'esattezza.
Massimo Ortalli