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Umanità Nova, numero 28 dell'11 settembre 2005, Anno 85

Vite senza valore
I roghi di Parigi, il pugno di ferro di Sarkozy



Tra la fine di agosto e gli inizi di settembre le cronache continentali sono state funestate dalle notizie di due tragici roghi avvenuti a Parigi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro. 

In entrambi i casi la disgrazia ha colpito famiglie di immigrati di origine africana che abitano in palazzi del centro storico della capitale francese: il 26 agosto hanno perso la vita 17 persone (14 i bambini), mentre nella notte tra il 29 e il 30 sono morte sette persone (dodici i feriti, di cui due gravi), tutti originari della Costa d'Avorio. Quattro di loro, bambini.

Questo drammatico bollettino si ricollega al gravissimo incendio del 15 aprile scorso che sempre a Parigi ha devastato un albergo, ancora una volta abitato in massima parte da immigrati, in cui sono morti in ventiquattro, dieci dei quali bambini.

Si potrebbe parlare di fatalità solo se ci trovassimo di fronte a episodi isolati.

La frequenza con la quale accadono queste cose deve portare invece a una riflessione che sappia cogliere la sistematicità con la quale determinate categorie di persone sono particolarmente esposte ai rischi e ai pericoli che derivano da condizioni di vita impossibili da sostenere.

L'incendio del 30 agosto ha divorato un palazzo fatiscente al numero 8 di rue de Roi-Dorè, nel Marais, uno dei più ricchi e raffinati quartieri di Parigi sempre affollato da frotte di turisti.

Sei mesi fa l'immobile era stato acquistato dalla Siemp, una società mista pubblico-privata del municipio di Parigi, che aveva in programma una serie di lavori di ristrutturazione. 

Delle ventidue famiglie che vi abitavano all'inizio, solo una decina era stata sistemata in altri alloggi perché erano in regola con i documenti e il permesso di soggiorno.

Le altre famiglie (quelle "irregolari" secondo la legge francese), circa una cinquantina di persone in tutto, erano rimaste lì, in un edificio in pessime condizioni e mai effettivamente ristrutturato: la corrente arrivava grazie a un allaccio abusivo con un palazzo vicino, ovunque c'erano fili elettrici scoperti e penzolanti, i soffitti erano cadenti e c'era perenne mancanza di acqua.

Quanto successo è dunque un esempio lampante di come all'origine di una tragedia di questo tipo ci sia la precarizzazione che nasce dalla clandestinità con la quale gli Stati marchiano col fuoco le esistenze di milioni di persone. Gli immigrati scontano quotidianamente una apartheid sociale che li esclude dal godimento di ogni diritto: dalla libertà di circolazione, alla salute, alla casa. Gli immigrati, in Francia così come in Italia e in tutta Europa, semplicemente non hanno diritto di vivere. 

A Parigi solo le famiglie con regolare permesso di soggiorno vengono prese in considerazione dagli istituti Hlm, gli enti delle case popolari. Per gli altri, la responsabilità passa al comune, che, come nel caso dell'albergo bruciato in aprile, li sistema alla meno peggio in hotel provvisori. 

In generale la situazione del caro-affitti inchioda alla precarietà strati sempre più vasti della popolazione, tanto che Parigi si trova al terzo posto dopo Londra e Roma nella classifica delle capitali europee in cui è praticamente impossibile trovare una casa a condizioni sostenibili.

Un filo rosso che unisce il Nord e il Sud dell'Europa in cui le metropoli sono sempre più lo specchio di una divaricazione sociale ed economica che ripropone antichi modelli di ghettizzazione urbanistica: centri storici sempre più borghesizzati da una speculazione edilizia che tende ad espellere i vecchi abitanti e ogni tipo di soggetto indesiderabile (come gli immigrati) e periferie sempre più marginali in cui non viene garantito nessun tipo di servizio.

L'edilizia popolare (a Parigi come nel resto d'Europa) resta al palo proprio perché si preferisce agevolare il mercato privato degli immobili per garantire lauti affari ai padroni delle case.

Le tragedie di Parigi, lungi dal suscitare un moto di umana compassione in chi gestisce (a suo uso e consumo) la cosa pubblica, hanno scatenato le incredibili dichiarazioni del ministro degli Interni francese secondo il quale «bisogna chiudere tutte le case occupate e tutti gli immobili malsani per evitare che si verifichino altre tragedie: a forza di accettare persone a cui purtroppo non si può offrire né un lavoro né un alloggio, ci si ritrova in questa situazione e con questi drammi».

Come a dire che se sono morti, è colpa loro. È colpa loro se sono clandestini, è colpa loro se sono immigrati, è colpa loro se esistono.
È evidente che tutto questo non potrà durare per molto tempo ancora. Le contraddizioni sociali del mondo globalizzato sono sempre più profonde e ingestibili: ovunque emergono segnali di riscatto che si esprimono attraverso le lotte, le rivendicazioni e le pratiche alternative allo stato di cose presenti. Per quanto apparentemente labili rispetto alla protervia del potere statuale ed economico, questi segnali si moltiplicano in maniera diffusa. Le lotte per la casa, l'autorganizzazione dei migranti e di tutti i soggetti precari che rivendicano diritti fondamentali come casa, lavoro, salute e istruzione sono risposte alla barbarie del presente. Sono tentativi da sostenere e amplificare affinché non accadano mai più tragedie come quelle di Parigi.

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