Umanità Nova, numero 28 dell'11 settembre 2005, Anno 85
"Basterebbe andare nelle missioni dei nostri soldati all'estero, tutte quante, per dissipare i dubbi se i nostri militari rappresentano forze di pace o occupazione": con questa benedizione il vescovo Angelo Bagnasco, ordinario militare per l'Italia, pronunciata all'indomani del passaggio di consegne all'Italia del comando operazioni del contingente Isaf-Nato, ha cercato di assolvere l'interventismo armato tricolore in Afganistan.
Eppure, molto più realisticamente, appena due giorni prima gli stessi servizi italiani segnalavano che "Ove non si realizzino miglioramenti sostanziali nel controllo del territorio, è prevedibile un aumento del numero e dell'intensità dell'offensiva armata e della propaganda antioccidentale contro i simboli della stabilizzazione, inclusi i Gruppi di ricostruzione provinciali e le Ong" e che "A fronte del maggior coinvolgimento dell'Italia nel quadro delle operazioni Nato nel paese è possibile anche una maggiore esposizione del contingente italiano a forme di minaccia diretta".
Quanto infatti sta avvenendo in Afganistan non è riducibile all'azione di "residue sacche" talebane o a sparuti gruppi terroristici che vogliono bloccare la democratizzazione del paese; esistono invece intere aree sotto controllo dei vari signori tribali della guerra e dell'industria dell'oppio ma c'è anche un'estesa guerriglia che rende difficile l'occupazione Usa e Nato, così come ci sono crescenti proteste popolari nei confronti del governo e delle misure repressive indiscriminate attuate dalle forze occupanti, come successo il 26 luglio scorso quando un migliaio di persone ha assediato la base Usa di Bagram dopo l'arresto di otto abitanti di un vicino villaggio.
Le ragioni di ciò stanno nella cruda realtà dei numeri: la guerra scatenata dagli Usa, dopo l'11 settembre, contro i "santuari del terrore" ha provocato la morte di almeno 14 mila afgani (di cui oltre 4 mila civili) a cui vanno sommati altri 20 mila civili morti nel "dopoguerra" per fame, malattie e mine; mentre altre 5 mila sono le vittime causate da combattimenti, attentati, repressione nelle piazze ma persino da bombardamenti "tattici" come quello, ammesso anche dal comando Usa, che ai primi di luglio ha ucciso 17 civili, donne e bambini inclusi, nella provincia di Kunar.
La vita quotidiana per la popolazione diventa sempre più difficile. A Kabul, i dollari - mai visti così tanti - arrivati con le truppe d'occupazione, l'Onu e alcune Ong hanno determinato un forte aumento degli affitti delle case e dei prezzi al bazar, aggravando il divario tra ricchi e poveri e allargando la fascia dei diseredati. A causa del carovita, per mantenere le famiglie, molti afgani sono costretti a due e persino tre lavori, mentre imperversa la corruzione tanto che, attorno ai dollari, si è formato un ceto di ambigui personaggi dediti ad ogni genere di malaffare sotto la protezione statunitense.
La presenza militare italiana in Afganistan attorno all'8 agosto assommava a circa 2.040 unità con l'Isaf-Nato (circa 1.500 a Kabul, 440 a Herat e 100 nella base di Abu Dhabi), ai quali si aggiungeranno due compagnie di 240 effettivi in settembre per le elezioni, oltre a 233 uomini imbarcati sulla fregata Libeccio nell'Oceano Indiano, nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom. Al comando italiano del Corpo di reazione rapida della Nato, con base presso la base "Ugo Mara" di Solbiate Olona (VA), è stato affidato il comando del contingente multinazionale Isaf, comprendente 8.300 militari, che "collaborerà in maniera serrata e fattiva con la missione Enduring Freedom". Le forze italiane sono dotate anche dei nuovi veicoli blindati Puma 6x6 e di elicotteri A 212 del 4° Gruppo di Grottaglie (TA).
Secondo quanto recentemente dichiarato dal ministro della difesa Martino "i militari italiani rimarranno a lungo in Afganistan, forse un altro decennio" e c'è da crederci, considerando l'assordante silenzio di quel centro-sinistra che, sull'esempio di Zapatero e di Blair, se andasse al governo, non farebbe altro che spostare le truppe italiane impegnate in Iraq alla zona d'operazioni afgana, portando a compimento un processo peraltro ha già avviato dal governo di centro-destra.
Quanto resta del movimento contro la guerra globale non sembra comunque esserne consapevole -basta leggere le piattaforme delle prossime mobilitazioni nazionali per il ritiro del contingente italiano in Iraq - nonostante le iniziative di informazione ed opposizione già messe in campo durante l'estate dal Varese Social Forum contro il ruolo assunto dalla base Nato di Solbiate Olona.
U. F.