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Umanità Nova, numero 29 del 18 settembre 2005, Anno 85

La lezione di New Orleans
La folle logica del potere



Raccogliendo le opinioni di analisti, commentatori, giornalisti sulla tragedia di New Orleans si ha la netta impressione che "un grande disordine sta sotto il cielo", ma che, parimenti, la situazione non sia eccellente, per dirla parafrasando un'espressione celebre.

Da una parte la sorpresa che il paese più ricco e più potente del mondo, più tecnologicamente ed industrialmente avanzato, non sia stato in grado di fronteggiare un uragano, sia pure intenso come Katrina (ma perché danno sempre nomi di donna agli uragani?); dall'altra lo smarrimento di fronte alla sua incapacità di provvedere ai bisogni più urgenti delle popolazioni colpite. Nel tentativo di trovare una spiegazione alcuni si sono arroccati nella difesa pura e semplice del modello americano arrivando ad accusare gli scettici ed i critici del solito "antiamericanismo", altri si sono interrogati, preoccupati sulla tenuta di questo modello.

La catastrofe di New Orleans in realtà ha messo in luce le logiche permanenti delle gerarchie di potere; nonostante fosse stata ampiamente prevista non ha prodotto alcuna misura di protezione preventiva, non solo: l'amministrazione Bush ha ridotto il budget per il risanamento e la manutenzione delle dighe e degli argini, dirottandone i fondi nel più proficuo impegno bellico in Iraq. E se è impressionante leggere la dichiarazione della protezione civile federale (Federal emergency management agency) risalente al 2001 in cui si descrivono gli effetti di un eventuale ciclone sulla città, altrettanto impressionanti appaiono le risposte dei poteri politici ed economici al disastro in atto.

Del tutto insensibili alle sofferenze delle popolazioni colpite, prevalentemente povere e nere, si sono distinti per arroganza e avidità.
Mentre Bush se la rideva con il senatore segregazionista Lott prospettando una ricostruzione edilizia che riempiva di gioia gli immobiliaristi piombati come falchi nella zona (le imprese che si sono impegnate nel business hanno registrato ottimi guadagni in borsa), sua madre si lasciava andare a dichiarazioni degne di Maria Antonietta.

La guerra in Iraq sta registrando per gli USA un costo giornaliero superiore a quello avuto nella guerra in Vietnam e come allora i fondi statali vengono dirottati a foraggiare l'impresa bellica a detrimento della spesa pubblica, principalmente quella destinata alla parte di popolazione più svantaggiata ed emarginata, che ha meno voce in capitolo e che nessuno ha interesse di rappresentare e che spesso si identifica con la minoranza afroamericana. Non a caso contro questa parte si utilizzano quasi le stesse armi impiegate nelle guerre oltre confine: truppe in assetto di combattimento e brutale repressione mentre si enfatizzano episodi di cosiddetta illegalità per giustificare l'uso della forza (su scala diversa certo, ma le menzogne sulle armi di distruzioni di massa di Saddam non differiscono certo da quelle sull'anarchia a New Orleans).

La guerra infinita al terrorismo sta divorando risorse e sta ridisegnando poteri in chiave sempre più autoritaria e classista proprio mentre studiosi ed esperti indicano nell'emergenza ambientale il vero punto di crisi dell'esistenza umana sulla terra. Il progressivo (e rapido) intensificarsi di eventi naturali distruttivi dovrebbe costringere tutti ad un'altrettanto rapida inversione di rotta per far si che le politiche energetiche in atto, imperniate sulle lobby petrolifere, vengano subordinate alle effettive esigenze umane e non alle logiche del profitto e del potere. Per far questo però non bastano le dichiarazioni di principio ma occorre un'affermazione di volontà che sappia sganciarsi da una subordinazione di fatto all'economia capitalistica e alle sue leggi.

La disintegrazione sociale evidenziata dai fatti di New Orleans, frutto dell'individualismo consumista e della gerarchizzazione esasperata, se mette in luce la rottura di un assetto sociale che , bene o male, continuava a reggere nonostante l'impoverimento progressivo, il restringimento del ceto medio e la crescente diseguaglianza della distribuzione del reddito frutto delle politiche "neocon", dall'altro non rappresenta certo uno scenario auspicabile.

Chi si illude che fatti del genere, imperniati sul "si salvi chi può" e sulla caduta di solidarietà, non possano verificarsi nella vecchia Europa è bene che si ricreda presto. Il modello capitalistico in auge sta esasperando sempre più le proprie caratteristiche disumane riducendoci a merce; l'unico impulso umano che ci rimarrebbe è quello legato al puro senso di sopravvivenza che, come ci mostra Laborit nei suoi studi di sociobiologia, ci riporta continuamente ad uno stadio bestiale. 

La più lunga crescita economica del secolo ha avuto come risultato quello di mostrarci particolarmente fragili nei confronti di una natura che non viene dominata dalla tecnologia, ma che viene provocata dalla tecnologia, una fragilità che viene esaltata dai meccanismi del potere economico e politico che ci ha disarmato e reso più soli e spaventati.

"Unione, azione, autogestione": così recitava uno slogan di qualche tempo fa e nulla, come quelle tre parole, può dare un senso alla necessità del fare odierno. 

Max












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