Umanità Nova, numero 29 del 18 settembre 2005, Anno 85
Quest'estate sei paesi, USA, Australia, Cina, India, Corea del Sud e
Giappone, hanno firmato un accordo sul clima che rappresenta un
ulteriore passo indietro rispetto al, mai applicato, Trattato di Kyoto.
La tragedia di New Orleans è l'ennesimo segnale del baratro
verso cui ci sta spingendo la logica del profitto che è alla
base del nuovo accordo.
Si affannano i firmatari dell'accordo dell'Asia-Pacific Partnership on
Clean Development and Climate (Associazione Pacifico - Asiatica per lo
sviluppo pulito e il clima) nel sottolineare che non si tratta di un
patto in contrapposizione al trattato di Kyoto ma, piuttosto, di un suo
completamento.
Appare subito un tentativo poco convincente visto che i media e le associazioni ambientaliste lo hanno immediatamente ribattezzato trattato anti - Kyoto.
Cerchiamo di capire di cosa si tratta. L'annuncio ufficiale è stato dato il 28 luglio scorso nell'ambito della Conferenza sulla sicurezza a Vientiane nel Laos ma, secondo fonti giornalistiche (la notizia era stata anticipata dal quotidiano "The Australian"), gli Usa negoziavano segretamente con i partner da un anno. A differenza del trattato di Kyoto, il patto non è però vincolante e non fissa i parametri di riduzione delle emissioni di gas serra, si limita ad indicare le tecnologie su cui puntare al fine di non provocare contraccolpi alle economie nazionali.
I primi firmatari dell'accordo sono stati USA, Australia, Cina, India e Corea del Sud cui si è aggiunto, il giorno dopo la conferenza stampa, il Giappone.
È bene ricordare che Australia e Stati Uniti non hanno sottoscritto Kyoto giudicandolo troppo penalizzante per i propri piani economici oltre che squilibrato per l'esclusione di paesi emergenti come Cina e India, che sono ufficialmente esentati dal protocollo di Kyoto fino al 2012 in quanto considerati nel 1997, anno di nascita del trattato, come paesi in via di sviluppo da non coinvolgere per evitare di frenarne la crescita.
Stupiti dal continuo ondeggiare dei governi tra lo spirito iper liberista e le politiche protezioniste, rileviamo che quattro degli stati associati nella Partnership, che non hanno firmato il protocollo di Kyoto, producono nel loro insieme circa il 40% (Usa da soli il 25%) delle emissioni dei gas serra responsabili del riscaldamento globale del pianeta. Si tratta di una quota rilevante che ha già determinato un evidente ostacolo all'entrata in vigore del trattato di Kyoto avvenuta comunque il 16 febbraio 2005 dopo la ratifica della Russia. Sul Protocollo abbiamo già espresso critiche e perplessità da queste pagine (UN: n°24/04, n°8/05), nel caso della Partnership Pacifico - Asiatica siamo di fronte ad un ulteriore passo indietro, una risposta del tutto inadeguata alla portata dei cambiamenti climatici con cui ci stiamo confrontando. Gli USA, come affermato dal presidente Bush prima di arrivare in Scozia a Gleneagles per il G8, "… per ragioni di sicurezza nazionale ed economica hanno bisogno di diversificare rispetto ai combustibili fossili". Lo stesso, contemporaneamente, ribadiva la necessità di entrare in un'era "post Kyoto" per superare un trattato dannoso per l'economia americana.
Da una parte, dunque, la Casa Bianca ammette che il problema del surriscaldamento esiste e che le attività antropiche dei paesi industrializzati hanno un peso determinante nella sua evoluzione, dall'altra non è disposta ad accettare quote rigide prestabilite nelle emissioni di gas serra; primo obbiettivo del governo statunitense rimane quello di tutelare l'economia, di conservare e rafforzare il proprio ruolo dominante sulla scena mondiale.
Nessuna sorpresa, quindi. Dalle fonti, fino ad ora reperibili, si ricava che: "Gli aderenti alla Partnership collaboreranno per promuovere e creare le condizioni adatte allo sviluppo, diffusione e trasferimento delle pratiche e delle tecnologie esistenti ed emergenti più pulite così da raggiungere risultati concreti. I settori di collaborazione possono includere, senza esserne limitati: l'efficienza energetica, il carbone pulito, i gas naturali liquefatti, il sequestro e lo stoccaggio dell'anidride carbonica, il sequestro e l'uso del metano, la combinazione calore-potenza, l'energia nucleare civile, la geotermia, i sistemi energetici rurali e/o di villaggio, il progresso nei trasporti e nella costruzione / gestione degli edifici, il settore agricoltura e foreste, le biomasse, l'energia idroelettrica, eolica, solare e le altre rinnovabili.
L'alleanza Pacifico-Asiatica coopererà anche per lo sviluppo, diffusione, impiego e trasferimento, nel lungo termine, delle tecnologie che favoriscano la crescita economica contestualmente alla significativa riduzione dei gas serra. I settori per una collaborazione a medio - lungo termine possono comprendere, senza esserne limitati: l'idrogeno, le nanotecnologie, le biotecnologie, la fissione nucleare di prossima generazione e la fusione nucleare." (la parte tra virgolette costituisce la traduzione quasi letterale di un comunicato (1) del governo australiano)
È evidente che, se si esclude l'obbligatorio riferimento alle energie rinnovabili, il quadro operativo delineato da questi accordi prevede la riduzione di emissioni solo in funzione di sviluppo, rilancio, rafforzamento dell'economia, economia capitalista naturalmente!
Per quello che riguarda gli eventuali vantaggi ambientali questo patto rappresenta solo una dichiarazione d'intenti, non ci sono quantificazioni, scadenze, vincoli. Anche se da più parti, come affermato all'inizio, ci si preoccupa di sottolineare che l'Asia-Pacific Partnership non vuol rimpiazzare il Protocollo di Kyoto (firmato da 141 paesi) è per tutti comunque evidente che lo indebolisce ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno.
Inutile nascondere che i sei firmatari della Partnership hanno tratto "profonda ispirazione" dal documento conclusivo (2) dell'ultimo G8 di Gleneagles e "accettato tutti i suggerimenti" del presidente Bush che proprio in occasione dell'incontro tra gli otto "grandi", ha sottolineato, che la risposta al surriscaldamento del pianeta verrà dalla tecnologia, in particolare dall'idrogeno e dal nucleare.
Nell'incertezza che ci assale nel considerare le dichiarazioni del presidente guerrafondaio come desideri o come ordini, leggiamo, sempre nel documento conclusivo dei G8, che la Banca Mondiale viene invitata a definire le linee guida per valutare come possano essere influenzati gli investimenti in seguito al rischio climatico.
Allora è proprio vero: "...non ci sono più le stagioni di una volta!..." I burattinai del profitto a tutti costi, anche questa volta, cercano di non pagare i danni, anzi, si organizzano per rinnovare il loro potere economico e politico, riproponendo il miraggio della società dei balocchi per tutti predispongono gli scenari globali in cui ridistribuire inquinamento, risorse, consumi e, naturalmente, sfruttamento.
Consapevoli di non poter delegare a nessun rappresentante di governo le scelte che riguardano le nostre esistenze siamo pronti a disobbedire.
MarTa
1) http://www.deh.gov.au/minister/env/2005/mr28jul205.html#vision
2) http://www.fco.gov.uk/files/kfile/PostG8_Gleneagles_CCChangePlanofAction.pdf