Umanità Nova, numero 29 del 18 settembre 2005, Anno 85
È passato sotto tono, quest'ultimo 11 settembre. Poche celebrazioni, poca retorica (finalmente!), e poca commozione da un tanto al chilo: non sono più merce ricercata, al giorno d'oggi. E sembra anche che si sia smesso di essere "tutti americani" come avremmo dovuto esserlo, compunti e compassionevoli, dopo i tragici avvenimenti newyorkesi. Va da sè, del resto: con quello che è successo in questi quattro anni, ad essere "tutti americani" c'è soprattutto da vergognarsi, e lo sventolare la bandiera a stelle e strisce pare tornata ad essere quella pratica grottesca e surreale così sbeffeggiata ai tempi del Vietnam.
Penso che nella storia recente nessun paese abbia dilapidato un "credito" morale così grosso in tanto poco tempo. Mentre eravamo tutti colpiti dalla drammaticità delle assillanti immagini di quel tragico settembre, pareva che solo la più totale solidarietà dell'intero consesso "civile" potesse attenuarne l'orrore. E quella solidarietà, quella forte immedesimazione, sostanzialmente ci sono state, si sono espresse nei palazzi del potere come nei mercati rionali e nelle piazze cittadine, hanno condizionato le grandi scelte politiche del mondo occidentale come gli intimi sentimenti di un'umanità scossa dall'apparente enormità di quello che si era verificato. Si pensava di dover essere tutti americani, perché tutti si sentivano colpiti da un'offesa così immane e crudele, e tutti credevano che solo stringendosi attorno al proprio millenario concetto di umanità, si potesse rimuovere la barbarie portata da un mondo sconosciuto.
Ebbene, dov'è finito tutto questo? Che cosa sono, e soprattutto dove albergano, la barbarie, l'umanità, i mondi sconosciuti? Dove sono finite le certezze della nostra superiorità, dov'è andata a ripararsi quella superficiale supponenza che, con criminale leggerezza, ci ha fatto imbracciare le armi per schierarci a fianco del potente colosso offeso nella sua smisurata potenza? Cosa ha insegnato al mondo la risposta terribile ed orgogliosa che la civiltà occidentale ha dato a chi ha creduto di potersi svincolare dal suo controllo?
È fin troppo facile mettere in fila gli orrori che si sono succeduti, uguali e contrari, in questi anni di guerra diffusa. La risposta arrogante dei padroni dell'impero non ha trovato ostacoli o impedimenti nei suoi vassalli e la "saggezza" di quella parte dell'occidente che ha voluto far credere di opporsi all'egemonia yankee non è stata altro che il mostriciattolo partorito da una controparte tanto "contro" quanto necessaria e funzionale alle dinamiche messe in essere.
E nulla infatti, nel concreto, si è opposto all'invasione dell'Afganistan, nulla si è mosso per bloccare la distruzione dell'Iraq nulla ha impedito gli orrori di Abu Ghraib e Bagram, a Guantanamo si continua a torturare imperterriti nel più totale disprezzo di ogni legalità internazionale, gli "stati canaglia" sono sempre sotto schiaffo da parte dello "stato canaglia" per eccellenza (chi ha le armi chimiche e le bombe atomiche e invade gli altri paesi senza neppure dichiarare guerra?). E il cosiddetto "diritto internazionale", quello regolarmente evocato quando si è a corto di argomenti, è solo la carta straccia sulla quale è stato vergato. Nulla intende davvero opporsi al grande disegno strategico di un paese che nasconde il proprio progetto egemonico dietro il paravento del ruolo di vendicatore universale delle "ingiustizie" terrene. Del vendicatore neo-cristianamente ispirato e direttamente guidato, in questo suo grandioso compito, dalla mano di Dio. Quella stessa mano divina che Allah o Geova o altri falsi e distruttivi simulacri guidano e ispirano, con gli stessi micidiali effetti, in altre latitudini e fra altre culture.
Credevano, i nostri vecchi, che con il progredire dell'istruzione di massa, con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, con la diffusione di più sofisticati strumenti di conoscenza, il progresso avrebbe intrapreso una strada lineare e senza ritorno: un felice procedere, se non proprio verso l'età dell'oro, almeno nella direzione di un miglioramento complessivo delle nostre vite, di quelle private come di quelle pubbliche. E sarebbe ora fin troppo ingeneroso rinfacciare loro l'assurdità di quel mito fondato su una logica così meccanica. Di quel mito affondato, ancora una volta e proprio in questi giorni, nel fango della Louisiana. Nel fango di un paese potente ed opulento nel quale una classe dirigente tanto miserabilmente bigotta quanto ferocemente aggressiva, preferisce investire in armi e petrolio piuttosto che nella sicurezza dei propri cittadini. Soprattutto di quelli di serie C.
Non c'è niente da fare! Il progresso, il miglioramento delle
condizioni vitali, il superamento delle contraddizioni materiali, la
costruzione di rapporti solidali e civili, non sono l'effetto di cause
e concause che sfuggono alla nostra volontà. Tutt'altro! sono, e
non può essere diversamente, il risultato del nostro agire, del
lottare quotidiano nella società e sui posti di lavoro,
dell'essere convinti, fortemente convinti, che i nostri destini e le
nostre potenzialità sono nelle nostre mani, solo nelle nostre
mani e non in quelle del potente o del demagogo di turno.
Ognuno deve essere padrone di se stesso, e solo a quel padrone deve
rispondere: alla propria coscienza e a rispetto della propria
dignità. Solo così non ci saranno tragedie da celebrare e
tragedie da "vendicare".
Massimo Ortalli