Umanità Nova, numero 29 del 18 settembre 2005, Anno 85
Massimiliano Ilari, "La giustizia di Franco. la repressione franchista ed il movimento libertario 1939-1951", Ed. CSL Di Sciullo, Chieti 2005, pagg. 209 Euro 10 (richieste a CSL Di Sciullo C.P. 86 – 66100 Chieti).
Recentemente, in occasione della rimozione a Madrid della statua
equestre al generalissimo Franco eretta nel 1959 in piazza S. Giovanni
della Croce, i nostalgici e i falangisti hanno accusato il governo
Zapatero di mancanza di rispetto verso l'uomo che ha liberato la Spagna
dai comunisti. C'è un tragico costante paradosso nelle
controrivoluzioni: la reazione si presenta sempre come la salvezza e la
difesa dell'ordine sociale minacciato dalla violenza di classe, dalla
sopraffazione criminale, nonché dalla barbarie anarchica e
marxista.
La storia mostra invece che i peggiori bagni di sangue, le più indiscriminate repressioni, il più sistematico terrorismo seguono sempre la sconfitta delle rivoluzioni: così avvenne in Italia, dopo l'Occupazione delle Fabbriche, con la ferocia dello squadrismo fascista e statale; in Germania, dopo l'insurrezione spartachista, con le efferatezze dei Corpi franchi che anticiparono il terrore nazista; in Spagna, con i massacri e gli orrori carcerari del regime franchista seguiti alla drammatica conclusione della rivoluzione del '36.
Attorno all'epilogo dell'esperienza rivoluzionaria e della repubblica spagnola, anche gli studiosi più seri ed accreditati, pur riferendo delle avvenute stragi perpetrate dai vincitori, non si sono mai soffermati molto, e tanto meno si sono occupati di indagare sul prezzo pagato dall'anarchismo e dall'anarcosindacalismo che proprio in terra di Spagna erano stati l'espressione più consistente e radicale di quella rivoluzione sociale ed anche della guerra sostenuta contro il fascismo dal popolo in armi.
La ricerca di Massimiliano Ilari cerca di intervenire su questa scissura della memoria, offrendo sul piano storico la possibilità di comprendere dimensioni e dinamiche di quell'autentico genocidio attuato senza alcuna pietà dalle forze franchiste contro il movimento operaio, ma è anche un coinvolgente saggio sulla volontà di resistenza dimostrata dai militanti della CNT e della FAI nei terribili anni tra il 1939 e il 1951.
Una volontà dichiarata sin dal novembre '39 dal primo comitato nazionale clandestino della CNT: "…abbiamo il proposito fermo di proseguire la nostra condotta contro il vento e la marea".
Da quel momento ben 19 comitati nazionali si sarebbero succeduti alla guida dell'organizzazione anarcosindacalista, di continuo colpita e decimata dalla repressione statale, ma anche sempre in grado di riprodursi come l'Idra di Lerna, tanto che per oltre un decennio dalla fine della rivoluzione riuscì a mantenere un'adesione di massa e ad essere protagonista di importanti agitazioni e scioperi, grazie anche alla stampa clandestina che riusciva a produrre e far circolare nei quartieri e nei posti di lavoro.
L'azione anarcosindacalista all'interno dei conflitti e delle
contraddizioni di classe, non fu comunque l'unico problema che il
movimento libertario procurò al regime liberticida di Franco, in
quanto questo dovette fare i conti con gruppi guerriglieri, operanti
sia nei contesti urbani che rurali, che colpivano uomini e strutture
dell'apparato poliziesco e militare responsabili della politica
d'annientamento portata avanti contro ogni oppositore o sospetto tale.
Il regime totalitario spagnolo - come ben evidenziato dall'autore di
questo studio - poté contare sull'appoggio incondizionato della
gerarchia cattolica che fu, a tutti gli effetti, una delle anime del
franchismo (assieme ai militari e ai fascisti della Falange) e forse
quella che, specie in talune fasi, ne caratterizzò maggiormente
l'ideologia oppressiva e persino le logiche punitive, tanto che nelle
prigioni di Franco il ruolo degli aguzzini e dei carcerieri fu
affiancato da non meno spietati e fanatici uomini e donne di quel clero
già tristemente famoso per l'Inquisizione, come evidenziato
anche da una recente e scomoda mostra tenutasi a Barcellona.
Tutte cose da tenere ben presenti, ben oltre l'abbattimento dei simboli della dittatura, se non si vuol darla vinta a chi cercò di sterminare la speranza di una società senza servi né padroni.
Nel suo Diario, il fascista Ciano ebbe ad annotare nel '39: "La
situazione in Catalogna è buona… anche molti italiani sono stati
presi: anarchici, comunisti. Lo dico al Duce che mi ordina di farli
fucilare tutti e aggiunge: 'I morti non raccontano la storia'".
Più che opportuno e necessario smentirlo.
A cura di emmerre