testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 30 del 25 settembre 2005, Anno 85

Iraq
Una costituzione di carta



Tra gli obiettivi "dicibili" della guerra contro l'Iraq scagliata da Bush & soci, l'esportazione della democrazia mediante l'instaurazione di un regime democratico è quello più gettonato, seguito dall'ipotesi molto plausibile di una possibile coniugabilità di islam e democrazia. La Costituzione irachena presentata lo scorso 28 agosto, con un paio di settimane di ritardo rispetto al ruolino di marcia previsto dagli occupanti, e in vista del referendum del prossimo ottobre, sarebbe la cartina di tornasole di tali poste politiche conseguibili attraverso lo sforzo militare.

L'Iraq che uscirebbe se la bozza di Magna Charta venisse approvata sarà un "paese multietnico, multireligioso e multiclanico", "parte del mondo islamico" e "parte della nazione araba" (art. 3). Tale fotografia dovrebbe proiettare una "repubblica rappresentativa (parlamentare), federale e democratica" (art. 1), ufficialmente bilingue (arabo e curdo) ma con altre lingue minori degne di tutela se presenti massicciamente in particolari regioni (nella fattispecie, il turcomanno e l'assiro nell'area curda). 

La parte più delicata è l'art. 2: "L'Islam è la religione ufficiale dello stato ed è una delle principali fonti del diritto". La sottigliezza tra ufficialità della religione di stato e indeterminatezza della fonte esclusiva del diritto collega la Costituzione irachena a quella egiziana, che da sempre rappresenta il modello giuridico per quei paesi arabi che intendono adottare un regime democratico all'occidentale – sebbene poi interpretato all'orientale – con i dogmi religiosi della shari'a, qui declassata ad una delle fonti giuridiche, non l'unica né la prevalente in assoluto, dato il concorso tra giurisprudenza costituzionale, precetti costituzionali e astratti principi di democrazia. Come poi si farà a far quadrare il cerchio, sarà questioni di anni, di normalità della vita giuridica e parlamentare, insomma come si fa in Egitto ove le frange più radicali dell'islamismo militante sono represse, incarcerate quando non mandate all'impiccagione. 

Eppure sempre di democrazia si tratta, come dimostrato dalle recentissime elezioni presidenziali che, liberamente, conducono alla sistematica rielezione del Presidente Mubarak da oltre 22 anni!

Infatti, come la storia insegna, non è sufficiente prescrivere i diritti civili e politici dei cittadini iracheni, eguali davanti alla legge, ai quali si fa divieto di subire discriminazioni di sorta per ragioni di "sesso, etnia, nazionalità, origine, colore, religione, clan, fede, opinione o status socio-economico" (art. 14), quando poi solo il tempo potrà separare la moralità generale – quella morale vigente pubblicamente che funge da soglia del lecito quotidiano – dall'ipoteca islamista che la interpreta secondo i canoni religiosi, la cui interpretazione e applicazione viene affidata a corpi separati dello stato (in Iran addirittura vi è occupazione della parte "privata", ossia i religiosi, su quella "pubblica", ossia le istituzioni statali, con ciò confermando paradossalmente la bontà della critica genealogica dello stato da parte del pensiero anarchico).

Il modello sociale della Costituzione è blandamente liberaldemocratico, con accenni al ruolo dello stato nel welfare sociale in fatto di diritto al lavoro, proprietà privata, famiglia, istruzione e sanità, "garantiti dallo stato" (art. 34). La struttura federale, bicamerale (con un 25% di posti in Parlamento riservati alle donne) (art. 151), registra divisioni etniche sul campo già in essere, sia pure asimmetriche: al nord è una etnia nazionale e linguistica a ritagliarsi ampia autonomia, laddove al sud è una parte auto-caratterizzatasi per fede religiosa, ma non per etnia, nazionalità o lingua; gli sciiti infatti sono arabi in tutto e per tutto come i sunniti, la parte debole e minoritaria, un tempo prevalente grazie a Saddam e al partito Baathista, la cui ricomposizione è vietata dall'art. 7 (sebbene nulla vieti ai baathisti di ripresentarsi sotto altro nome). L'impianto federale, qualora rafforzato da una successiva legge elettorale proporzionale, condurrà alla ratifica di una divisione prelusiva di una scissione, qualora l'ordine pubblico crollasse di fronte alla tattica di guerra civile scagliata dalla resistenza sannita, sostenuta dai partigiani del jihad globale, ai quali il pantano iracheno è una palestra di guerriglieri senza necessità di simulare esercitazioni in campi di addestramento virtuali.

Foriera di instabilità e paralisi è la diarchia di governo tra Presidente e Governo, come se sul modello francese semi-presidenziale si fosse iniettata una pozione di riequilibrio a favore del governo, con ciò compromettendo l'unità indubbia dell'esercizio del potere il giorno in cui le due autorità arrivassero a uno scontro diretto. In una simile eventualità, le autorità indipendenti quali magistratura e, soprattutto, forze armate non disporrebbero di risorse legali per intervenire sull'impasse, essendo ambedue civili per vincolo costituzionale, e ciò alimenterebbe proprio quella voglia golpista tipica di analoghi regimi costituzionali latinoamericani del passato.

I media hanno parlato di un fronte caldo rappresentato dalle risorse petrolifere, territorialmente radicate in due delle tre aree del paese, i cui proventi tuttavia dovrebbero essere gestiti dal governo federale e non locale, "sotto condizione che i profitti siano redistribuiti con equità, in modo compatibile alla distribuzione geografica, in tutto il paese" (art. 110). Una successiva legge però determinerà una quota ricompensativa di ciò che il precedente regime aveva sottratto a parti del paese: se la formula elegante tranquillizza i sunniti del centro iracheno, regione povera di risorse naturali, il loro godimento esclusivo in anni passati di privilegio verrà "ricompensato" a loro scapito privandoli per gli anni futuri di ciò che il testo astrattamente loro promette.

In ultima analisi, la Costituzione appare raffazzonata, frettolosamente redatta, in taluni casi ridondante, in altri remissiva a leggi future che faticheranno a trovare quei compromessi che la Carta demanda loro non essendo stata in grado di trovarseli da sé. Del resto, solo Costituzioni imposte possono funzionare in tempi di occupazione militare (ne sa qualcosa il Giappone all'indomani del secondo conflitto mondiale), e mai prima di ora si era osato pensare che un popolo sotto tallone militare potesse avere tempo, voglia e libertà di espressione e di riflessione per darsi una matrice di autogoverno sia pure soltanto a livello istituzionale. Lungi dal depotenziare i conflitti facendoli refluire nell'agorà parlamentare, come recitano i manuali di scienza della politica, stiamo certi che la guerra irachena durerà a lungo tanto sul fronte esterno, quanto sul fronte interno, incurante delle belle parole che lasciano il tempo che trovano.

Salvo Vaccaro













una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti