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Umanità Nova, numero 30 del 25 settembre 2005, Anno 85

I papaveri e le rose
Afganistan: la legge di dio e quella del profitto


"Papaveri e rose han sconvolto di fremiti la terra nostra"
(Mazhar, poeta urdu, sec. XVII)


Alla fine di agosto è stato reso noto un rapporto delle Nazioni Unite, presentato a Kabul dal direttore dell'Unodc, Antonio Maria Costa, che ha ispirato titoli come "Afganistan, prima vittoria sull'oppio"(Il Sole 24 Ore, 30 agosto), in cui si rende noto come le coltivazioni afgane di papavero da oppio sono diminuite.

Persino un giornale, solitamente critico, come Il Manifesto analizzando le anticipazioni del rapporto aveva commentato che "Forse divieti e incentivi cominciano a funzionare" (28 aprile).

La notizia appare invece in contraddizione con quanto sostenuto appena pochi mesi prima da vari analisti internazionali che sottolineavano il costante aumento della produzione dell'oppio dopo il crollo del regime talebano nel 2001, tale da rappresentare attualmente tra il 40 e il 60% del prodotto interno lordo nazionale afgano, mentre quello del vicino Pakistan si aggira attorno al 50%. Il naufragio del cosiddetto programma antinarcotici di sradicamento delle coltivazioni di papavero, uno dei cavalli di battaglia dell'amministrazione Bush, era stato persino denunciato dall'ambasciata Usa a Kabul, in una nota ufficiale del 13 maggio al Dipartimento di Stato, in cui si accusava lo stesso Karzai di incapacità e collusione con i signori del narcotraffico, peraltro presenti anche nel suo governo.

Prendendo in esame i dati forniti da quest'ultimo rapporto dell'Onu e raffrontandoli con quelli dei precedenti, risulta invece una realtà ben più complessa e assai meno trionfalistica.

All'inizio del 1999, anno record sotto il regime talebano, erano coltivati a papavero 92 mila ettari che assicuravano il 75% della produzione mondiale di oppio.

Nel 2004 erano 131 mila ettari, con una produzione balzata a 4.200 tonnellate di oppio, superiore del 64% rispetto a quella dell'anno precedente.

Nel 2005 si registrano 103 mila ettari coltivati con 4.100 tonnellate (con una riduzione di appena 100 tonnellate rispetto all'anno precedente) che rappresentano tra l'80 e l'87% della produzione mondiale.

Per capire le immutate dinamiche della produzione e del commercio di oppio rimane comunque fondamentale ricordare quanto accadde nel 1999, anno in cui dopo aver raggiunto un apice storico le coltivazioni furono ridotte per decreto da 92 mila ettari ad appena 30 mila..

La legge coranica, come è noto, proibisce sia l'uso che la coltivazione che delle droghe, ma che cosa aveva realmente spinto i talebani a distruggere i campi di papaveri con le ruspe? Non certo il proibizionismo islamista legato alla rigida applicazione della sharia. I seguaci del mullah Omar, inflessibili quando si trattava di punire nel sangue ogni presunta violazione del loro codice religioso, sulla questione della droga avevano lasciato correre per anni. I clan tribali pashtun in Afganistan e nell'area a cavallo della frontiera col Pakistan per oltre un ventennio hanno costituito e continuano a costituire una zona di libero scambio dell'oppio e dell'eroina fuori da ogni controllo. Per assicurarsi la fedeltà dei pashtun il mitico Omar aveva quindi lasciato fiorire il papavero, intascando per legge una consistente percentuale sul traffico.

Ma il 1999 era stata un'annata eccezionale, con una produzione di oltre 4 mila tonnellate di oppio, tali da riempire i magazzini e far rischiare un crollo sul mercato mondiale delle quotazioni. Così mettere "fuorilegge" il papavero fu piuttosto una asettica "business decision": con gli stock ai massimi livelli per altri due-tre anni la materia prima era assicurata e per di più con tale operazione era possibile incassare i cospicui fondi stanziati dalle Nazioni Unite per la riconversione delle coltivazioni.

Legge del profitto, quindi, camuffata da legge islamica, all'interno di un contesto economico mondiale in cui il capitale "illegale" è quanto meno alla pari per fatturato con quello "legale"; tanto che ormai le separazioni tra l'uno e l'altro sono del tutto labili: quello criminale si ricicla investendo in imprese legali, quello ufficiale si finanzia investendo in attività illecite.

Quanto sta avvenendo oggi è la ripetizione, seppure minimale, di quanto avvenuto nel 1999. Karzai, seppur in modo molto più debole, imita il mullah Omar, subendo l'immenso potere economico-politico-militare dei vari signori della guerra che controllano e gestiscono l'industria dell'oppio. A fare le spese delle misure "antidroga" attese a livello internazionale, Karzai ha sacrificato un centinaio di tonnellate, facendo distruggere dai suoi soldati e dai contractor Usa i campi dei contadini più poveri e non in grado di pagare le tangenti per la protezione, mentre gli stock dei signori della guerra sono rimasti intatti, quale garanzia della loro democraticità in occasione delle elezioni per l'Assemblea nazionale e i consigli provinciali del 18 settembre.

U.F.













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