Umanità Nova, numero 30 del 25 settembre 2005, Anno 85
Com'è noto, in occasione dell'incontro con le regioni tenutosi
il 15 settembre, il governo ha accettato di rinviare di un anno l'avvio
della sperimentazione della riforma Moratti nella scuola secondaria
superiore.
Un cambiamento di posizione tanto repentino quanto coerente alla cultura politica di una maggioranza parlamentare che si cura più dell'immagine che si propone di dare che della realizzazione del proprio programma politico.
A pochi giorni di distanza da una dichiarazione del Ministro sui "buoni rapporti" fra governo e regioni e sulla marcia trionfale della riforma, la riforma stessa è stata messa in frigorifero nell'attesa che il risultato delle elezioni ne decida la resurrezione o l'interramento.
È, infatti, evidente che anche se il Consiglio dei Ministri, a questo punto, l'approverà, una riforma la cui applicazione comincerebbe nell'autunno del 2006 semplicemente non gode dell'attributo dell'esistenza.
Prima, però, di recitare un doveroso parce sepulcro per la
riforma, è opportuna una riflessione sul percorso che l'ha
portata a precoce surgelamento e sulle possibilità di
resurrezione.
Sicuramente ha pesato nella decisione del governo in generale e di
Letizia Arnaboldi Brichetto Moratti, in particolare la consapevolezza
dell'ostilità o, almeno, della preoccupazione per la riforma
della gran maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola,
e delle famiglie. Si entra, infatti, in fase elettorale e avere contro
una categoria numerosa come quella degli insegnanti non sarebbe un
affare. È vero che, nella secondaria superiore, la mobilitazione
non è stata forte ma è anche vero che la scuola primaria,
dove la riforma, sia pur depotenziata, è stata attuata, ha
vissuto una mobilitazione importante e che, se il governo avesse tenuto
duro, sarebbe stato probabile, non garantito ma probabile, un fenomeno
analogo con l'aggravante, rispetto al movimento della scuola primaria,
di un coinvolgimento degli studenti.
Rimandando il tutto di un anno, il governo ha disinnescata una pericolosa mina e può affrontare più tranquillamente sia le cose serie che ha davanti, come la legge finanziaria, che quelle non serie ma più importanti per la sua sopravvivenza come i rapporti fra i vari racket che costituiscono la sua maggioranza.
Un'altra considerazione possiamo fare sulla riforma della secondaria. Il governo era riuscito, realizzando un'impresa, a suo modo, notevole, ad elaborare un pasticcio sgradito contemporaneamente ai lavoratori, alla Confindustria, agli enti locali. Un bel risultato, non c'è che dire!
Come sia riuscito ad infilarsi in un tale ginepraio è abbastanza chiaro: con l'obiettivo di amputare dalla scuola di stato un pezzo di scarso pregio (gli istituti professionali) da passare alle regioni è riuscito ad intimorire sia i lavoratori e gli studenti, che non hanno alcun desiderio di passare ad una scuola regionale percepita, con qualche ragione, come di serie b, sia le stesse regioni timorose di ricevere in regalo un segmentone della scuola pubblica ma non i relativi finanziamenti. Se si considera, poi, che, tranne quattro, le regioni sono di centro sinistra, si comprende come il governo abbia interlocutori non troppo amichevoli.
Contemporaneamente, il governo non ha soddisfatto il grande padronato che teme un abbassamento dei livelli di formazione pubblica che comporterebbe la necessità di robusti investimenti privati per ottenere a pagamento quello che oggi le imprese hanno gratis.
Potremmo, a questo punto, ritenere che, per almeno un anno, siamo stati liberati sia dalla ministra Moratti sia dagli antimorattiani di complemento.
Purtroppo, a mio avviso, la situazione non è in questi termini. È, infatti, importante ricordare che:
- la riforma della scuola primaria e della secondaria di primo grado, nonostante l'opposizione delle lavoratrici e dei lavoratori ne abbia attenuato gli effetti, sta procurando gravi danni alla scuola pubblica. Se è vero che quella della secondaria superiore è il segmento più importante della riforma, non si deve dimenticare che la riforma c'è;
- nella stessa scuola secondaria superiore l'effetto annuncio ha provocato confusione, incertezza, spostamento di quote rilevanti di studenti e personale da un ordine di scuola all'altro;
- il governo intende approvare la riforma della secondaria superiore. È, a mio avviso, un'operazione d'immagine più che d'immediato effetto, ma sarebbe un errore escludere che la stessa maggioranza possa riprendere l'opera fra un anno o che una maggioranza diversa possa usare la legge approvata come la giustificazione per un sia pur parziale recupero. Non è, poi, del tutto da escludersi qualche colpo di coda da parte di settori della maggioranza desiderosi di non calare, con troppa evidenza, le brache.
È, quindi, necessario che la mobilitazione per l'abrogazione della riforma non perda slancio e che si utilizzi il margine di tempo che abbiamo per porre l'accento non solo su quanto rifiutiamo ma su quello che vogliamo.
Su quest'ordine di questioni sarebbe assai utile una discussione aperta ed approfondita sulla rivendicazioni e sulle proposte che si possono sviluppare. Alcune possono essere sin banali. Ma banale non è sinonimo di irrilevante.
Mi riferisco al diritto allo studio per tutti e per tutte inteso come diritto concreto e materiale e non come astratto principio giuridico e che comporta, quindi, l'accesso alla mensa, la gratuità dei libri di testo e dei trasporti, forme di presalario, all'edilizia scolastica, al numero di alunni per classe.
Sono centrali anche le rivendicazioni di carattere sindacale del personale dalla retribuzione agli organici che sono state sin troppo messe da parte dall'esigenza di concentrare le energie nel movimento contro la riforma.
Vi è, in ogni caso, da avere ben chiaro che ciò che è inaccettabile non è il nome del ministro che propone una riforma ma i contenuti sostanzialmente reazionari della riforma stessa, contenuti che, in forme diverse, dobbiamo aspettarci da un eventuale governo di segno diverso. Già oggi, infatti, settori consistenti del centro sinistra si dichiarano disponibili a recuperare segmenti della proposta della destra che, d'altro canto, è stata elaborata da tecnici bipartisan e su pressione di gruppi di potere capaci di influenzare entrambi gli schieramenti.
Varrebbe, però, anche la pena di ragionare sulla natura stessa della scuola attuale, ancora, in parte caserma e sempre più, in tendenza, supermarket e su come si possono sviluppare forme d'autogoverno della comunità educante capaci di superare la vecchia struttura clericale e militare della scuola tradizionale senza trasformare le scuole in luoghi d'intrattenimento di una massa di clienti atomizzati.
Cosimo Scarinzi