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Umanità Nova, numero 31 del 2 ottobre 2005, Anno 85

Ricordando...
Alfonso Nicolazzi


Ricordando... Alfonso Nicolazzi

L'idea di mettere in piedi una tipografia al servizio del movimento anarchico maturò a Roma, agli inizi degli anni Settanta. Ne furono portatori Alfonso Nicolazzi e Dino Mosca, uniti tra loro da forte amicizia e stima, tra i promotori del Collettivo dei lavoratori Alitalia (uno dei mille organismi sindacali extraconfederali nati nel clima sessantottesco, un collettivo che diede molto filo da torcere alla direzione tecnoburocratica dell'azienda, e che ancora, sia pure nella nuova veste del Sult, continua a darlo), i quali intendevano abbandonare il lavoro subordinato che svolgevano come steward: un lavoro che, comunque, li aveva portati in tantissime parti del mondo, consentendo loro di apprendere diverse lingue e di entrare in contatto con gli esiliati spagnoli ed il movimento anarchico internazionale. Le frequentazioni della redazione romana di Umanità Nova in Via dei Taurini, il confronto con i redattori di allora, Aldo Rossi ed Anna Pietroni, permisero poi la messa a punto del progetto. Scelta Carrara in quanto garantiva sia maggiore sicurezza – si era ancora in un pesante clima di repressione sociale con continue minacce di golpe e bombe stragiste – sia per la sua caratteristica di essere la terra mitica della "capitale dell'anarchia", dei duri ma sinceri lavoratori del marmo protagonisti di lotte ormai storiche e portatori di una particolare versione, dell'essere anarchici, vissuta da generazioni.

Si trasferirono quindi nel 1974, insieme alle loro famiglie, a Carrara per realizzare il sogno di un'attività e di una vita autogestita, abbandonando un lavoro garantito, in sintonia con i molti che in quegli anni compivano delle vere e proprie rotture nella propria vita quotidiana nella convinzione che la rivoluzione fosse a portata di mano. Inizialmente la tipografia si sarebbe dovuta occupare solo di libri, ma la tragica morte di Anna e Aldo nella notte tra il 27 e 28 aprile 1974, i costi gravosi che la nuova redazione milanese avrebbe dovuto affrontare con una tipografia commerciale, spinse Alfonso e Dino a farsi carico della stampa di U.N. che da quel momento divenne il loro impegno principale. E così mentre noi milanesi ci trasferimmo a Roma per garantire l'uscita del giornale che veniva allora stampato presso la tipografia dell'Unità e di Paese Sera, vicino alla sede di via dei Taurini, a Carrara si predisponevano le macchine. 

Con il n. 31 del 5 ottobre 1974 Umanità Nova iniziò una nuova vita tipografica con il supporto della solidarietà degli anarchici locali e dei grafici e dei tecnici che da varie parti d'Italia, si erano messi a disposizione (tra gli altri, vi era il grafico Renato Tommasini, il figlio di Umberto). Per quasi quattro anni, ogni fine settimana, i componenti della redazione milanese si spostarono a Carrara per completare la composizione e curare l'impaginazione, operazioni allora tutte manuali. Quattro anni di confronti e scontri: entrambi alle prese con un impegno nuovo in un contesto sociale in piena ebollizione. 

Piano piano la Tipo decollò sia come luogo di produzione sia come punto di incontro e di passaggio, assai più di una sede, con l'apertura quotidiana assicurata. E vennero dei giovani compagni a provare l'emozione di lavorare subito per l'ideale, anche se il lavoro non aveva orari e il compenso era minimo per tutti, e a volte neanche quello. Si trovava sempre un panino di mortadella che veniva dal negozietto superstite della gloriosa Cooperativa del 1945 e un bicchiere di vino nella vicina osteria piena di fumo e di urli in dialetto strettissimo. E per la verità dar lavoro alla Tipo era un'esperienza, umana prima di tutto, che non tutte le redazioni di testate ed edizioni anarchiche riuscivano a digerire. Tra l'altro comportava anche un rischio di "obiezione di coscienza tipografica", frutto della indisponibilità a stampare testi che contrastassero gravemente  la loro visione dell'anarchismo. Così sorsero varie controversie sul fatto di riservarsi l'ultima parola su articoli e comunicati da pubblicare. Dal punto di vista di un organismo collettivo paritario e decisionale (come quello di un congresso della FAI che assegna la redazione del settimanale a un gruppo che risponderà a un prossimo congresso delle proprie scelte) non era concepibile una sorta di censura tecnico-tipografica. Dal punto di vista della coscienza individuale del tipografo anarchico non era possibile non opporsi a qualcosa che  riteneva contrastante con la propria coerenza teorica. D'altronde Alfonso in qualità di tipografo non si sentì mai troppo vincolato, in questo campo, all'impegno federativo (aveva aderito alla FAI nel marzo del 1979, ben dopo Dino e la sorella Paola Nicolazzi che, in quel periodo, avevano l'incarico della Commissione di Corrispondenza della FAI). Ma il legame con UN si consolidava, redazione dopo redazione (da Milano a Bologna, a Palermo, ancora Milano, Livorno, Spezzano Albanese, Torino). Ci fu perfino un periodo in cui Alfonso, Dino insieme ad Alba Arena e Claudio Bonanno assunsero la redazione di UN, sia pure in via provvisoria, per nove numeri durante il passaggio di consegne tra Palermo e Milano, per garantirne l'uscita: era il maggio del 1982.

Dopo di allora avvennero variazioni sostanziali. I caratteri e gli interessi degli individui, pur di idee vicine, incidono nei rapporti fra di essi. Dino, dopo aver lasciato la Tipo e installato una fotolito insieme a Claudio Bonanno, che si era trasferito a Carrara da Palermo, se ne andò. E così Claudio. La Tipo intanto aveva perso il suo carattere di impresa societaria e la proprietà era passata ad una struttura - la Cooperativa Tipolitografica - che raccolse i suoi soci nel movimento. Alfonso trovò altri collaboratori che si avvicendarono nel lavoro. Tirò avanti con caparbietà e costanza fino alla morte, avvenuta a 63 anni - era nato il 2 agosto 1942 - e non a caso, in tipografia, dove viveva l'"utopia concreta".

Ma Alfo non fu solo tipografo.

L'inserimento nel movimento carrarino passò anche attraverso la collaborazione con vecchi compagni già detenuti che contribuì a liberare alternando pressioni di base e richieste ufficiali, ad esempio a Pertini il socialista che rispettava gli anarchici per averli conosciuti come antifascisti in esilio e in carcere. Così si riuscì a far uscire dal carcere prima della scadenza Gogliardo Fiaschi, Belgrado Pedrini e altri. E Alfonso intrattenne rapporti stretti con il "circolo degli ergastolani" anche se talvolta non mancarono polemiche per questioni di tendenza. 

Un suo bell'articolo pubblicato sul n. 11 di UN del 28 marzo 1982 ricorda le perquisizioni condotte il 15 marzo dai carabinieri, alla ricerca di collegamenti con il Comitato toscano delle Brigate Rosse, nei confronti della sua abitazione e di altri compagni (la Tipo, il Circolo Culturale Anarchico gestito da Goliardo, la Fotolito di Dino) e la  paragona con quella subita, lui bambino, da suo padre nell'estate del 1944 ad opera dei repubblichini. E non furono le ultime, essendo la Tipo un punto di riferimento delle attività nel territorio. Così come lo fu per tutti gli anni Ottanta in occasione delle lotte contro le fabbriche della morte, in primis la Farmoplant di Massa, che lo vide, con l'Assemblea permanente dei cittadini, in prima fila, a testimonianza di una particolare sensibilità sulle questioni ambientali che lo accompagnerà per tutta la sua attività sociale fino alle mobilitazioni di questa estate contro il TAV in Valle Susa.

A Carrara svolse un ruolo centrale nel 1989 nella difesa della sede del Germinal, nella centralissima Piazza Matteotti, già denominata Lucetti per ricordare il nome dell'attentore a Mussolini nato nella vicina Avenza. Durante gli scontri con la polizia che lo aggredì mentre stava difendendo, insieme a compagni giunti da tutt'Italia, il portone della sede subì vari danni fisici, ma non li esibì né si lamentò particolarmente. Li considerò piuttosto l'inevitabile conseguenza dell'aver scelto di fare il militante. 

Un inciso: Maurizio Del Prà, giornalista del "Tirreno", in un articolo dedicato ad Alfo e al suo ruolo attivo nella difesa del Germinal, non perde l'occasione per spargere veleno nei suoi confronti insinuando un collegamento con gli attentati ai tralicci dell'epoca e, cosa ben più grave, con l'omicidio dell'ingegnere Dazzi, responsabile della società interessata alla speculazione sul Politeama, sede del Germinal. Del Prà non ha nemmeno letto 'La Nazione' del 15 maggio di quest'anno che riporta atti istruttori che indicano nella banda della Magliana i responsabili di quell'omicidio. Questo è lo stato del giornalismo del nostro paese e di questo Alfo ne è sempre stato ben cosciente, fino al punto di rifiutarsi sempre di avere rapporti con quanti ne avrebbero strumentalizzato il pensiero.

Nella solidarietà ai compagni detenuti, Alfonso sostenne per molti anni Marco Camenish, ecologista militante, recluso prima in Italia e da tempo in Svizzera. (Lo condannarono per l'omicidio di un poliziotto svizzero, fatto che Marco respinge con decisione mentre denuncia la montatura antianarchica degli apparati repressivi svizzeri e italiani).

Sul piano internazionale Alfo fu sempre attento ai rapporti con federazioni e gruppi di mezzo mondo. Provenendo da terre di confine – era nato in un paese sopra Stresa in provincia di Verbania – lavoratore frontaliero ed emigrante fin dall'adolescenza, costruì la sua formazione in un'ottica ampia, autodidatta imparò più lingue, sempre attento alla stampa libertaria degli altri paesi. Non a caso alcune editrici svizzere e francesi portano ancora oggi i propri lavori alla Tipo. Il suo impegno militante si concretizzò poi con la collaborazione sia alla CRIFA negli anni Ottanta che alla preparazione del Congresso IFA tenutosi a Besançon l'anno scorso. Nell'aprile del 1990, a Trieste, diede un aiuto rilevante alle traduzioni simultanee durante il convegno "Est, laboratorio di libertà". Era componente della Commissione di Relazioni Internazionali della FAI e si stava accingendo a partecipare alla riunione di Madrid del prossimo novembre. A Carrara stava mettendo a punto, con l'Associazione Archivio Germinal e in collaborazione con il Comune, l'allestimento di un centro di documentazione e di un'area museale sulla storia dell'anarchismo proprio nella sede del Germinal in piazza Matteotti, ora "quasi" interamente di proprietà pubblica.

Nel ricordo di molti di noi, Alfonso è stato un anarchico che ha investito senza riserve le proprie capacità fisiche e intellettuali in un movimento ricco solo delle idee di libertà e dell'impegno personale di ogni militante.

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