Umanità Nova, numero 31 del 2 ottobre 2005, Anno 85
Sono passati dieci anni da quando due avvenimenti segnarono l'inizia
dell'era di Internet. Nel 1995 apparvero le prime pagine web che
fornivano un modo più facile per accedere alle informazioni
già esistenti sulla Rete e contemporaneamente i primi fornitori
privati davano modo, anche alle persone esterne all'ambito scientifico
e universitario, di utilizzare gli strumenti della comunicazione
elettronica.
Già in quegli anni i più avveduti segnalavano che lo sviluppo, esponenziale ed inarrestabile, delle nuove tecnologie di trasmissione delle informazioni avrebbe portato sicuramente ad una maggiore libertà di comunicazione ma, allo stesso tempo, al rischio parallelo di un aumento del controllo sociale. E questo per ovvi motivi squisitamente tecnici prima che politici.
Queste cassandre ebbero partita persa contro il massiccio bombardamento mediatico che veicolava - a proposito di Internet - principalmente due messaggi molto semplici e quindi facilmente comprensibili, anche se contraddittori fra loro:
1. Internet è uno strumento di comunicazione libero, addirittura "anarchico";
2. la Rete va regolamentata (in quanto "anarchica") per evitarne gli abusi.
I cialtroneschi e servili media ufficiali hanno lavorato, per anni, in modo alquanto evidente: da una parte dando ampio spazio ai servizi giornalistici che esaltavano le meraviglie esistenti in Rete con l'accento sempre sul fatto che si trattava di contenuti liberi, gratuiti e accessibili per tutti. Dall'altra, il più delle volte, le segnalazioni riguardavano argomenti "piccanti" come i siti pornografici, quelli dove era possibile trovare programmi piratati e, in tempi più recenti, quelli dai quali scaricare, senza pagare, musica e film.
Due lustri dopo, numerosi segnali fanno ritenere che i timori dei pessimisti critici fossero assolutamente fondati e, negli ultimi tempi, la stretta del potere su Internet si è fatta sempre più pressante: denunce, sequestro di siti di informazione indipendente, intercettazione di migliaia di caselle di posta elettronica, processi per la musica piratata e, per finire, il recente decreto sul terrorismo.
Partiamo proprio dagli ultimi mesi che mostrano, in modo inequivocabilmente chiaro, il triste futuro che attende gli utilizzatori di Internet. Per quanto riguarda l'Italia tre sono stati gli episodi principali che hanno segnato pesantemente l'ambito delle cosiddette libertà digitali:
Nel novembre 2004 sono stati oscurati alcuni siti di Indymedia (vedi UN n.32, 33 e 34, 2004), il provvedimento, come sospettato da molti, è stato originato da una delle troppe inchieste sul "pericolo anarchico" e, sembra, sia andato ben oltre le intenzioni iniziali. Vale a dire che il magistrato aveva chiesto alla società che ospitava il computer server esclusivamente una copia del "file di log", cioè la lista dei collegamenti col sito di indymedia-italia, file che serve a risalire alle persone che si sono collegate a determinate pagine web, richiesta per altro inutile in quanto il file non esisteva. Il provider si è dimostrato più servo dei servi ed ha pensato bene, forse per dimostrare la sua piena collaborazione, di chiudere anche altri siti che nulla c'entravano con l'inchiesta in questione.
Nello scorso mese di giugno si è scoperto - per caso - che la polizia spiava da un anno il sito di Autistici/Inventati (vedi UN n.24, 2005), uno dei tanti servizi che su Internet ospitano materiali informativi non conformisti. In questo caso lo spunto è stato dato da una inchiesta che ha coinvolto le pagine web e gli indirizzi di posta elettronica della Crocenera. Anche stavolta il fornitore di servizi è stato più servile di quanto richiesto e il suo comportamento vergognoso ha permesso che venissero spiate circa trentamila persone, oltre a quella che aveva a che fare con la "giustizia".
Quelli sopra sono solo i due episodi più eclatanti ma ce ne sono anche altri, meno noti ma altrettanto indicativi, e servono per ricordare che già da tempo la comunicazione elettronica "scomoda" è nel mirino repressivo e che il decreto Pisanu approvato lo scorso agosto (vedi UN n.27, 2005) ed oggi pienamente in vigore, fornisce ulteriori motivi di preoccupazione.
Le nuove norme a proposito del funzionamento degli Internet Point prevedono infatti che venga tenuta nota delle generalità di chiunque si connetta alla Rete e che parimenti resti traccia di quello che le persone fanno: i siti web ai quali si collegano, gli indirizzi di posta elettronica ai quali spediscono e dai quali ricevono messaggi, e via dicendo. E qui non si tratta più di indagini mirate a qualche persona, gruppo o sito sospetto, ma di una vera e propria intercettazione di massa, benedetta da una legge dello Stato.
In tal modo il cerchio si chiude: da una parte vengono tenuti sotto controllo ed eventualmente chiusi i siti non-conformisti e dall'altra sparisce, anche per i singoli, l'ultima possibilità di usare in modo riservato la comunicazione elettronica, come ancora avviene in tutti i paesi formalmente democratici, attraverso gli Internet Point.
Il futuro di Internet sembra che debba diventare quello disegnato dal recente caso, arrivato anche sui mass media nostrani, di un giornalista dissidente cinese arrestato per reati di opinione grazie alla piena collaborazione di Yahoo, uno dei giganti dei servizi Internet, che ha giustificato la sua infamia sostenendo che si trattava di ottemperare (sic!) alle leggi vigenti in Cina.
Le possibilità di resistenza all'avanzata del controllo globale nel campo della comunicazione elettronica passano necessariamente sia attraverso la protesta che per l'appropriazione delle abilità necessarie ad un uso pienamente consapevole dei - pochi - strumenti che ancora restano a disposizione. E proprio questo sarà l'argomento di un prossimo articolo.
Pepsy