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Umanità Nova, numero 32 del 9 ottobre 2005, Anno 85

La finanziaria di Tremonti
Tagli ai servizi, regali ai padroni



Chiunque segua le vicissitudini della politica italiana non dovrebbe meravigliarsi di nulla. Eppure a me seguita a lasciare stupefatto la capacità di sopravvivenza politica di certi personaggi. 

Prendete ad esempio Giulio Tremonti.

Fino agli anni '80 fa l'avvocato, il consulente aziendale ed il professore universitario di diritto tributario. Con quest'attività guadagna miliardi di lire. Uno qualsiasi si sarebbe fermato lì, con la villa, l'amante e il macchinone. Tremonti no, già allora capisce che si guadagna molto di più scrivendosi da soli le leggi invece che cercando di interpretarle a proprio favore. Diventa amico di Gianni De Michelis e si butta in politica con il partito socialista. Nel 1987 si candida alle elezioni e viene trombato. Rimane comunque legato al PSI craxiano fino a tangentopoli, quando prova a riciclarsi con Adornato (quando era di sinistra) e Alleanza Democratica. Viene eletto nel 1994 nella lista di Mario Segni. Quell'anno a Berlusconi mancano un paio di voti alla camera per avere la maggioranza e, fedele ai propri principi, fa il salto della quaglia in cambio del ministero delle finanze. Da qual momento diventa lo sparapalle ufficiale del governo, vantando la mai avvenuta diminuzione delle tasse operata dal Berlusca. Piace così tanto al gran capo che lo nomina, nel suo successivo governo, superministro dell'economia (ministero che aveva accorpato i vecchi ministeri del tesoro, delle finanze, del bilancio, delle partecipazioni statali e del mezzogiorno). Diventa troppo potente, obbedisce solo a Berlusconi e a nessun altro, tanto da far storcere il muso a Fini e a Casini, che non potendo buttare a mare Silvio, sacrificano lui. Rimane solo a fare il portavoce non ufficiale della Lega (forse sperando di prendere il posto di Bossi). Riesce, a sorpresa, a rientrare come vicepresidente del consiglio per tenere buona proprio la Lega, quando viene fatto il "Berlusconi ter" per le dimissioni dei ministri dell'UDC. E, nel momento del "serrate le righe" berlusconiano, è sempre da lui che vanno per cercare di mettere insieme i cocci e lo nominano di nuovo ministro dell'economia.

E Tremonti fa capire di essere sempre lo stesso. Innanzi tutto fa una finanziaria al minimo, 20 miliardi.

Sul lato delle uscite l'unica cosa che lascia della vecchia proposta di Siniscalco sono gli 11,5 miliardi di riduzione del deficit che è un impegno preso in sede europea. Non rispettarlo avrebbe voluto dire beccarsi una procedura d'infrazione per eccessivo deficit e andare a fare una campagna elettorale con la finanza europea che gli remava contro.

Poi ci sono oneri inderogabili e spese già fatte per 4,5 miliardi. E già qui si differenzia da Siniscalco che ne aveva messi soli 3 miliardi. Il fatto che in una settimana le spese già fatte siano lievitate di un miliardo e mezzo ci fa capire come la legge finanziaria sia un esercizio dello spirito e non un compito ragionieristico.

La parte effettivamente disponibile delle spese è di 4 miliardi e la metà sono stati utilizzati cercando di far pace con gli industriali. Verranno, per questo motivo, ridotti i contributi sociali a carico delle imprese. Qui Montezemolo ha giocato di fino. Sapendo che l'Unione Europea ha chiesto di eliminare l'IRAP e sapendo che questo impegno sarà sicuramente rispettato da un eventuale futuro governo di centrosinistra, la Confindustria ha preferito, per quest'anno, incassare il regalo sui contributi per poi rinegoziarne in futuro l'aumento in cambio di altri benefici. Non è un caso che i commenti del presidente di Confindustria siano, dopo alcuni mesi, tornati molto meno freddi nei confronti del governo. Non è di nuovo amore, ma i rapporti si sono stiepiditi.

Sempre alle imprese andranno 200 milioni di euro per il trasferimento dei TFR ai fondi pensione. La partita dei fondi pensione rimane comunque aperta, per ora c'è solo lo stanziamento in bilancio, la legge verrà varata nelle prossime settimane.

I rimanenti 1,8 miliardi sono la parte della torta a disposizione dell'ufficio marketing dei vari partiti per poter vantare benemerenze rispetto al proprio gruppo sociale di riferimento (famiglie, pensionati, mamme, ecc.) e chiederne il voto.

Sul fronte delle entrate è la solita finanziaria "alla Tremonti": dimostrazione di una creatività finanziaria che se avesse fatto lo scrittore ci saremmo ritrovati con qualche soldo in più in tasca e un novello Giulio Verne in libreria. 

Le entrate fiscali sono stimate in 5,5 miliardi. 

Vengono aumentate le entrate di quella che viene definita "la tassa degli stupidi": il lotto e le lotterie (ormai si finirà per far estrarre i numeri ogni giorno).

Viene consentita alla aziende la riedificazione su aree con immobili da demolire pagando una parte dell'aumentato valore del patrimonio. Di fatto una sorta di condono edilizio solo per le imprese.

Vengono aumentate, per 800 milioni, le concessioni per le reti di distribuzione di energia, trattandosi però di imprese o di proprietà pubblica, o con una significativa partecipazione pubblica ed un azionariato diffuso sarà una partita di giro tra i conti dello stato (invece di prendere soldi come dividendo azionario li prendono come tasse) in cui nessuno si lamenterà più di tanto.

Tra le entrate fiscali c'è anche la vendetta di Tremonti contro "i furbetti del quartierino" e le banche loro sodali: è stato allungato il tempo di possesso delle azioni per la non tassabilità delle plusvalenze ed è stata ridotta la svalutazione crediti di banche e assicurazioni. In realtà si tratta di misure soprattutto simboliche e poco significative dal punto di vista economico.

C'è poi la "lotta all'evasione fiscale". È la solita fregnaccia messa lì per pareggiare i conti: tanto non se ne lamenta mai nessuno. Tremonti, per far capire che lui con gli evasori non ce l'ha poi tanto, ha previsto che entreranno solo 2 miliardi di Euro (invece dei 3,5 previsti da Siniscalco).

Poi comincia la sfilza dei tagli.

Riducono la spesa sanitaria di 2 miliardi e mezzo di euro. Su questo si è scatenato il solito caravan serraglio della propaganda dei diversi schieramenti (la spesa è aumentata, no, è diminuita), che serve a non far capire nulla (d'altro canto la delega senno che ci sta a fare?). Il fatto è che, dal bilancio pluriennale dello scorso anno, era previsto che la spesa sanitaria passasse dai 90 miliardi del 2005 a 95,5 miliardi nel 2006. Aumenterà invece solo fino a 93 miliardi, risparmiando, per l'appunto, 2,5 miliardi. Ora non è che le spese sanitarie vengono previste così, tanto per fare qualcosa, ma sono in funzione dell'acquisto di nuovi macchinari, del rinnovo delle convenzioni, dell'assunzione di nuovi medici ed infermieri, dell'apertura di nuovi ospedali, eccetera eccetera. Questo taglio vuol dire che alcune di queste cose non si potranno fare e che "striscia la notizia" potrà, invece, fare un bel servizio sull'ospedale completamente costruito, ma mai aperto (senza, ovviamente, spiegare il perché).

Altri 7 miliardi verranno da tagli al pubblico impiego ed alle spese dei ministeri, ma, finché non entreranno nel dettaglio delle cose da tagliare, rimangono della stessa consistenza economica dell'aria fritta.
Vengono confermati i tagli a Regioni e Comuni per 3 miliardi. È da tener presente che, siccome questo taglio è stato parzialmente compensato dal versamento del 30% dei tributi evasi accertati, aumenterà la differenza tra nord (dove c'è più reddito, si pagano più tasse e c'è più evasione) e sud (dove ce n'è di meno).

Infine, un gran battage pubblicitario è stato riservato all'annunciata riduzione di stipendio di deputati, senatori ed eletti in genere. Peccato che nella finanziaria non ci sia nulla di tutto questo: il governo non ha potere dispositivo nei confronti del parlamento. È solo un invito. Bisognerà vedere se i diretti interessati si ridurranno lo stipendio.

Insomma di definito per ora c'è poco, mancano soprattutto in questa finanziaria i condoni che hanno reso Tremonti famoso nel mondo. Tenendo presente che, anche gli anni passati, non erano mai stati presentati direttamente dal governo, ma da qualche parlamentare opportunamente imbeccato, è verosimile che ci sarà qualche altra modifica in sede di dibattito parlamentare.

Oltretutto c'è anche la Chiesa cattolica da accontentare. Giusto il 29 settembre scorso la commissione bilancio della camera ha dato parere contrario, per mancanza di copertura finanziaria, a un decreto legge che prevedeva l'esenzione totale del pagamento dell'ICI per qualsiasi immobile posseduto dalla chiesa cattolica (anche se destinato a pura e semplice attività commerciale). Volete che, con la finanziaria, qualche soldino (300 milioni di euro), non venga trovato per l'amico Ruini?

Fricche















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