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Umanità Nova, numero 33 del 16 ottobre 2005, Anno 85

La controriforma universitaria
Tra vecchi baroni, nuovi precari e tagli alla ricerca



Sono già due anni che il corpo accademico italiano si mobilita a più livelli per cercare di contrastare una legge di controriforma dell'Università che la ministra Moratti intende far approvare ad ogni costo in cambio delle sue dimissioni per candidarsi sindaco a Milano.

Questa settimana in corso vede la sospensione dell'attività didattica, alla vigilia del ritorno del provvedimento alla Camera, che ne aveva votato una prima stesura a fine luglio, per poi essere modificata al Senato dove il governo ha posto la fiducia onde far decadere 800 emendamenti dei gruppi parlamentari di destra e di sinistra. Già si vocifera che anche alla Camera, a fine ottobre, il governo porrà la fiducia per varare il testo definitivo. 

Il carattere di controriforma è dato da un fattore essenziale: giusto o sbagliato che sia il provvedimento, e quale che sia il giudizio sul funzionamento attuale dell'Università nostrana, cambiare senza mettere mano al portafoglio significa lasciare di fatto tutto come è, per intervenire solo su aspetti strutturali e non operativi, dove invece molto ci sarebbe da cambiare, innanzitutto la dislocazione delle risorse.

Precari e senza risorse

Invece il testo normativo interviene sulle modalità di selezione, poco ovviando e nulla contrastando il deprecabile fenomeno del clientelismo baronale, data la condizione feudale in cui si fa carriera nel mondo accademico (lo si sposta da un mercato locale a un mercato nazionale, come era negli anni '50 e '60), mentre sconquassa, in perfetta linea liberista, sulla inamovibilità della posizione del pubblico impiego, introducendo il tempo determinato per le fasce di docenza. Il risultato è e sarà la precarizzazione e la stretta collocazione in segmentazione gerarchica per tutti coloro che dovranno farsi rinnovare i contratti una volta prossimi alla scadenza, omaggiando il potente di turno per ottenere i budget di contratto sempre meno numerosi (e quindi competendo al ribasso) e le possibilità di rinnovo secondo schieramenti e appartenenze tipiche dell'era pre-sessantottina. Di contratto in contratto, potrebbero passare anni di dottorato, assegnista, contrattista e poi docente a tempo determinato, senza arrivare alla agognata cattedra, e men che mai alla pensione e alla buonuscita (ammesso che tali istituzioni previdenziali siano ancora esistenti da qui a qualche paio d'anni).

Tali elementi sono sufficienti per bollare la legge come una controriforma, che apparentemente concerne solo i diretti interessati, mentre l'affossamento dell'Università è una strategia ben dissimulata dietro il malcostume e le inefficienze pure esistenti. Che essa non funzioni è un dato di fatto, che sforni ormai laureati brevi e specialisti pronti per un illusorio ingresso nel mondo del lavoro, proprio nell'era capitalistica occidentale a bassa intensità di forza lavoro, dislocata ormai in oriente, significa in poche parole che occorre fare marcia indietro rispetto alla insidiosa pericolosità sociale della redistribuzione di un minimo di sapere a tutti e per tutti: magari qualcuno potrebbe approfittarne per studiare come cambiare gli assetti politici e sociali!

Perciò è bene innanzitutto scoraggiare lo studio, la libera ricerca, l'attitudine critica, asservendo da un lato i docenti e i ricercatori, al di qua delle categorie in cui sono intrappolati nella vita universitaria, e dall'altro studenti e loro famiglie, ignare perché scarsamente coinvolte nel processo di mobilitazione, alle quali far credere in un miglioramento della qualità della docenza e degli studi, quando invece senza risorse (per strutture, testi, apparecchi, incontri, qualificazione, ecc.) è difficile ricercare in qualunque campo del sapere. E poi vorremmo sapere come intraprendere ricerche di ampio respiro con l'asfittica durata triennale dei contratti per i futuri docenti e ricercatori, il cui tempo maggiore passa e passerà tra le scartoffie burocratiche e la ricerca, questa sì essenziale, per vedersi rinnovato il contratto, un po' come la propaganda dei parlamentari tutta tesa al bene proprio della rielezione, non certo all'interesse collettivo!

Il bottino dei fondi pubblici per la ricerca e l'università

Quindi, produzione di ignoranza irrilevante e inadeguata alla comprensione del mondo in cui si vive, laddove le élite del sapere continueranno a godere di scuole di alta formazione ristretta e cooptata (Bocconi, Luiss, ecc.). Ma la legge Moratti, nata beninteso col governo Prodi di centrosinistra, auspice il ministro Ds Berlinguer, portata poi avanti dal ministro sempre di centrosinistra Zecchino, e portata a termine dalla Moratti, godendo così di un sostegno bipartisan occulto, mira anche a sfasciare quel po' che esiste onde mettere le mani sul bottino: i fondi pubblici per la ricerca e l'Università fanno gola infatti a molte strutture private, che in un regime di competizione, per adesso lungi dal fare concorrenza se non sul piano di qualche esamificio (Cepu e dintorni), aspirerebbero a vedersi riconosciuta la loro funzione e quindi, esattamente come è avvenuto per il processo di precarizzazione e privatizazione nella scuola, ricevere di diritto finanziamento pubblici, sottraendoli pertanto agli atenei statali.

Questo è il secondo asse della rapina che la destra italiana, in ogni settore, e con qualche decennio di ritardo rispetto al duo Reagan-Thatcher nel mondo anglosassone, sta portando a termine, con più di una complicità a sinistra. E nella fattispecie dell'Università, veramente in questi ultimi anni l'alternanza ha significato solamente una accelerazione più o meno condivisa del medesimo processo, favorendo ora l'una ora l'altra lobby di alti formatori e di alte strutture di elite, che relegano la stragrande maggioranza degli atenei a fabbriche di titoli senza valore (se non quello residuo e deprezzato della laurea legale), in cui schiere di insegnanti e allievi si esibiscono a turno nella più completa irrilevanza sociale della funzione di discenti che devono apprendere concetti e pratiche per modificare la realtà, e di docenti che esercitano un ruolo di critica senza cedimenti, come sarebbe la missione di ogni socializzatore di sapere. 

Ma adesso stiamo parlando di uno scenario irreale, aborrito tanto a destra quanto a sinistra, che lascerebbe spazio a una pratica libertaria dei saperi in grado di disertare luoghi ormai lasciati a se stessi per reinventarsi altrove come critica in libertà e di libertà.

Massimo Tessitore
















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