Umanità Nova, numero 34 del 23 ottobre 2005, Anno 85
Sì, ce ne rendiamo conto che è scontato denunciare la
sproporzione fra le pagine dedicate, ad esempio, alle bizzarre
avventure notturne del rampollo di una nota famiglia torinese, e quelle
nelle quali si racconta il dramma di milioni di asiatici colpiti
dall'ultimo terremoto. E che è altrettanto scontato
stigmatizzare l'insensibilità con la quale i mezzi
d'informazione hanno presto messo la sordina alla tragedia pakistana,
preferendo informarci doviziosamente, dalle loro prime pagine, dei
patemi d'animo di Follini, delle malinconie di Mastella e delle
inclinazioni di Calderoli. Per non parlare delle viscerali vicende di
un folcloristico cantante pugliese. Quindi, per non essere accusati di
demagogia o di facile moralismo, non faremo inutili paragoni o
commenti. Del resto, il Kashmir dista parecchie migliaia di chilometri
dalle nostre città, fra le vittime non ci sono turisti italiani
alloggiati nei resort di lusso, e i morti sono tutti mussulmani, in
gran parte giovani e giovanissimi, quindi, con ogni probabilità,
futuri mujhaiddin pronti a farsi saltare, domani, in qualche affollata
stazione occidentale.
E invece le cifre sono impressionanti. Si calcolano almeno in 40.000 i morti (ma il numero sarà sicuramente superiore), migliaia i villaggi distrutti e ancora irraggiungibili a una settimana dal sisma, milioni e milioni i senzatetto, popolazioni che già avevano pochissimo e che ora hanno perso anche quel poco che ne garantiva la sopravvivenza. E l'avvicinarsi della stagione invernale renderà ancora più precarie le condizioni di vita di quegli sventurati. Il peggio, forse, non è ancora avvenuto. Come sempre, infatti, piove sul bagnato. E non solo perchè al terremoto si stanno aggiungendo piogge torrenziali, frane e alluvioni, ma perché, sul bagnato, come sempre, si trovano i poveri, gli ultimi, i dimenticati della terra, quanti, di fronte alle imparziali avversità della natura, non possono nè potranno mai disporre dei mezzi necessari per potervi far fronte decentemente e con altrettanta imparzialità.
E più bagnati degli abitanti del poverissimo Kashmir pare ce ne siano pochi, a meno che non si vada a cercarli in Guatemala o nel Chiapas, dove Stan, un altro devastante uragano (vi dice niente l'effetto serra?) ha distrutto intere comunità di indios, uccidendo altre migliaia di persone, scelte, non a caso, fra le comunità più povere di quei poveri paesi. Dobbiamo comunque riconoscere che i disgraziati rinchiusi come bestie nello stadio di New Orleans, gli esclusi della civilissima e opulenta America, non è che se la siano passata meglio. La differenza, fra Kathrina e il Guatemala e il Kashmir, semmai, è stata nel fatto che l'attenzione dei media si era morbosamente rivolta al dramma statunitense, non perché gli emarginati nordamericani destassero particolare interesse o commozione, ma perché si è rimasti attoniti di fronte al disastroso intervento pubblico, a favore degli alluvionati, del paese più potente del mondo. Allibiti per quello che l'esasperato "liberismo", che ormai imperversa per ogni dove in nome della funzionalità (e si è visto) e del profitto (e si è visto pure questo), è stato capace di fare nell'aggravare i danni naturali.
In ogni modo, sia come sia, c'è chi fa notizia e chi no, e anche in un caso come questo, nel quale alla tragedia del terremoto e dell'inondazione si aggiunge quella della povertà, l'informazione si ferma al minimo indispensabile, tanto perché non salti fuori un palloso "moralista", pronto a far notare, come se ce ne fosse bisogno, che la povertà non fa notizia.
Nel Kashmir devastato dal terremoto, l'esercito (che pure ha gli indispensabili elicotteri) non si è praticamente mosso, e anche gli aiuti internazionali, tra l'altro concessi con l'avaro bilancino del farmacista, hanno incontrato enormi difficoltà ad arrivare, a causa delle infinite restrizioni presenti in un territorio sede, da trent'anni, del conflitto sotterraneo, ma non per questo meno crudele, fra India e Pakistan. Ecco, così, che alla endemica povertà di terre povere, si aggiunge la povertà derivata dai mancati investimenti dirottati sulle spese militari, e la difficoltà di far circolare gli aiuti in zone da sempre dimenticate al mondo, perchè sottoposte al ferreo controllo dell'esercito e alle deliranti paranoie delle varie intelligence presenti. Basti pensare che l'arrivo, in un aeroporto pakistano, di un aereo indiano carico di aiuti, è stato salutato, anziché come un normalissimo fatto, come un mirabolante ed eccezionale evento.
Del resto, perchè occuparsene? Questi sono i dati comunicati, oggi, dalla Fao nella giornata mondiale di lotta alla povertà: ogni minuto muoiono 69 persone, in gran parte bambini, per denutrizione; la forbice fra paesi poveri e ricchi si allarga invece di restringersi; i programmi Onu per ridurre la povertà non solo non hanno fatto passi avanti, ma lasciano prevedere un netto peggioramento nei risultati; gli unici investimenti che continuano a prosperare, tanto nei paesi ricchi, quanto, soprattutto e tragicamente, in quelli poveri, sono quelli per le spese militari: dove non arrivano tsunami, terremoti e inondazioni, che arrivi l'esercito!
Uno schifo! Uno schifo, e tanto più grave quanto più viene banalizzato da una realtà che lo accetta e lo metabolizza come un dato di fatto incontrovertibile. E che invita tutti noi a voltarci dall'altra parte, a girare la schiena e a occuparci di cose più frivole, perché "comunque il mondo va così", e noi non possiamo fare niente: se vogliamo che la nostra ricchezza, o più semplicemente il nostro benessere, si mantengano costanti, dobbiamo accettare le dure leggi dell'economia. Leggi dure, certamente, ma indispensabili, e soprattutto tali da non poter essere messe in discussione. Perché se cominciassimo davvero a farlo, se sul serio si iniziasse, non solo noi poveri utopisti e sognatori, ma tutti a rimettere in discussione il criminale postulato che la grande ricchezza dei pochi è necessaria per la debole sopravvivenza dei tanti, allora comincerebbero ad incrinarsi le basi stesse di questa "ordinata società". E, di conseguenza, le ingiustizie che ci paiono così naturali e "necessarie", diventerebbero un mostro disumano da abbattere. Con tutte le sue storture, con tutti i suoi delitti.
Massimo Ortalli