Umanità Nova, numero 34 del 23 ottobre 2005, Anno 85
Il coraggioso reportage giornalistico dall'interno del Centro di
Permanenza Temporanea di Lampedusa, pubblicato da L'Espresso, ha
incrinato per qualche giorno il silenzio di Stato sugli orrori dei CPT,
da tempo invano denunciati dalle organizzazioni antirazziste, da Medici
senza Frontiere, da Amnesty International.
Il "campo", come ha osservato Agamben, è "lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione diventa regola"; una regola, che per la sua evidente e stridente inammissibilità, deve essere attuata lontano da sguardi indiscreti, testimoni scomodi e coscienze non disumanizzate. Persino sotto il regime nazista, i lager dello sterminio dovevano rimanere, secondo la formula del comandante delle SS Himmler, "una pagina gloriosa della nostra storia che non è mai stata scritta e che mai dovrà essere scritta".
Tale silenziosa e generalizzata omertà non riguarda
però soltanto l'inquietante realtà presente, con le
vergognose responsabilità del personale civile, religioso e
militare implicato nella gestione di tali campi, ma sembra avvolgere
anche le responsabilità politico-istituzionali che hanno
permesso l'esistenza di simili strutture.
Per questo, non si ricorderà mai abbastanza che l'apertura dei
CPT avvenne col passato governo di centrosinistra attraverso quello che
venne allora chiamato Decreto Prodi (Testo Unico 286/98), ossia
l'approvazione corale - comprendente pure Rifondazione Comunista e
Verdi - della proposta di legge presentata dall'accoppiata
Turco-Napolitano, entrambi deputati DS.
Oltremodo disinvolta appare in merito l'attuale posizione di Rifondazione Comunista; poche settimane fa sul quotidiano "Liberazione" è stata riportata una dichiarazione in cui Bertinotti sosteneva che il suo partito all'epoca aveva pensato che i CPT fossero strutture di accoglienza aperte e, sempre sullo stesso giornale, lo scorso 8 ottobre in un articolo in prima pagina dedicato allo scandalo di Lampedusa, si è potuto leggere un passaggio che non necessita di commenti: "Poi abbiamo qualche domanda da porre anche a sinistra. Specialmente a Livia Turco e Giorgio Napoletano, che sono i due ex-ministri del centrosinistra che istituirono i CPT (…) Ci si può sbagliare nella vita, basta poi avere la forza per correggersi".
In realtà, se con la memoria si torna al 1998 ci si rende conto che non fu uno "sbaglio" ma una cinica scelta politica.
Nel novembre 1995, con la stessa maggioranza parlamentare, era già stato varato il Decreto Dini che prevedeva, in perfetta sintonia col Trattato di Schengen, ben sei tipi di espulsione e si faceva persino richiesta a quei pochi migranti che riuscivano ad entrare di "una idonea certificazione comprovante l'assenza di patologie pregiudizievoli per la salute pubblica" (poi ci si scandalizza se i leghisti pretendono lo stesso…).
Con il Decreto Prodi venivano quindi introdotti come indispensabili il "Permesso di soggiorno" e la "Carta di soggiorno", rilasciata soltanto agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da almeno 5 anni, in grado di dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari .
Veniva inoltre previsto un "piano generale degli interventi per il potenziamento e il coordinamento dei controlli di frontiera" e la misura dell'espulsione quale "misura di sicurezza", su disposizione delle prefetture per ingresso "clandestino" nel territorio nazionale o su ordine del Ministero dell'Interno per non meglio precisati motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato "se lo straniero è sospetto".
Rispetto però al Decreto Dini , col Decreto Prodi cambiava ipocritamente la terminologia usata: l'espulsione veniva chiamata "respingimento" e la reclusione sino ad un mese nei CPT diveniva "trattenimento".
Durante l'internamento in tali centri, veniva paradossalmente assicurato il pieno rispetto della dignità dell'internato (già privato della libertà personale senza aver commesso alcun reato), tanto che il questore competente era incaricato, avvalendosi delle solerti forze dell'ordine, di adottare efficaci misure di vigilanza per evitare possibili "allontanamenti" (Art.12, comma 7); eppure c'è qualcuno che sostiene d'aver pensato che potessero essere strutture di accoglienza aperte.
Nessuna meraviglia quindi che la Legge Bossi-Fini abbia recepito integralmente l'impianto del Decreto Prodi, limitandosi a raddoppiare il periodo massimo previsto (2 mesi, anziché uno) di detenzione nei CPT, gestiti in "simpatica" sinergia dai carabinieri antisommossa dei reparti mobili e dal volontariato cattolico. Sull'assurdo comportamento dei volontari della Misericordia nel CPT a Lampedusa basta la testimonianza diretta del giornalista Gatti; ma è ancora più indecente la recentissima posizione (si veda Migranti Press n.27/2005), di associazioni cattoliche come la Caritas e la Fondazione Migrantes che nei CPT "non vedono elementi per denunciarne l'illegittimità morale o l'illegalità costituzionale".
Viene da chiedersi cos'altro deve avvenire in questi non-luoghi per non-persone?
Anti