testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 34 del 23 ottobre 2005, Anno 85

Rischia la vita l'obiettore gay e anarchico turco Tarhan
Pestaggi, torture e galera



Durante una conferenza stampa tenuta presso l'Associazione per i Diritti Umani il 27 ottobre 2001 il compagno Mehmet Tarhan -"gay e anarchico"- dichiara di essere un obiettore totale in un paese, la Turchia, in cui vige la leva militare obbligatoria della durata di 15 mesi per tutti gli uomini dai 19 ai 40 anni. Il 5 settembre 2004, di fronte ad un edificio militare di Ankara legge una dichiarazione in favore di un gruppo di antimilitaristi; in seguito a questo fatto, viene accusato, assieme ad altri due amici, di "allontanare la gente dall'esercito". Mehmet si rifiuta di deporre. 

L'8 aprile scorso, verso le cinque del mattino, Mehmet viene arrestato a Basmane, distretto di Izmir, dove lavorava in una fiera del libro. Portato a forza al locale distretto di polizia, lo trattengono in custodia attendendo l'orario di apertura dell'ufficio reclutamento. Una volta giuntovi Mehmet si rifiuta di firmare i documenti che l'avrebbero assegnato ad una unità di addestramento militare, dichiarando: "Mi avete portato qui con la forza. Sono un obiettore di coscienza e non firmerò nulla". Gli viene quindi chiesto di scrivere una dichiarazione di obiezione di coscienza, ma Mehmet rifiuta ancora: "Non scriverò né firmerò nulla. Voi mi avete portato qui con la forza e voi risolverete il problema che vi siete creati". Sottoposto al controllo di tre poliziotti, deve essere messo in un auto e portato via: Mehmet non collabora, così viene ammanettato e trascinato all'interno dell'auto. Non è chiaro dove abbia passato la notte. Il giorno seguente i suoi compagni lo cercano alla stazione principale controllando ogni autobus, lo trovano in stato confusionale e riescono a scambiare con lui due parole prima che venga spinto dai soldati dentro l'autobus, le cui porte vengono chiuse sebbene non sia ancora l'ora di partire; a questo punto, i compagni di Mehmet intonano slogan antimilitaristi mentre l'atmosfera si fa sempre più tesa. L'autobus è diretto a Tokat, via Sivas. Benché, teoricamente, Mehmet avrebbe dovuto essere assegnato ad un'unità di addestramento presso Samsun, viene spedito appunto a Tokat, dove si vorrebbe integrarlo in un'altra unità. In breve tempo, gruppi di antimilitaristi ad Istanbul, Ankara e Izmir si organizzano per preparare una campagna a sostegno di Mehmet.

Il gruppo anarchico otonomA, in un comunicato del 9 aprile, spiega che l'arresto di Mehmet si inserisce in un contesto di repressione contro gli attivisti antimilitaristi, caratterizzato dalla determinazione delle forze militari a colpire tutti gli obiettori di coscienza e obiettori totali. Inoltre, si sottolinea l'inasprimento della repressione razzista contro i curdi, portata avanti da "organizzazioni fasciste e organizzazioni militari", attraverso attacchi che includono il linciaggio in strada di gruppi di sinistra, aggressioni agli uffici del DEHAP (un partito politico che sostiene i diritti dei curdi) e alle sedi di organizzazioni di sinistra. Tutto ciò viene ufficialmente giustificato come reazione dovuta al tentativo di bruciare la bandiera turca che sarebbe stato compiuto da due ragazzini di 12 anni a Mersin.

Inserito nella 48° Divisione d'Addestramento di Fanteria a Tokat, Mehmet rifiuta di portare la divisa, non firma alcun documento e non permette che gli vengano tagliati i capelli e la barba. Con la sua resistenza suscita l'interesse di altri soldati e ufficiali che chiedono di incontrarlo e si dichiarano a favore della legalizzazione del diritto di obiezione di coscienza. Mehmet viene forzato ad accettare gli ordini che gli vengono impartiti, ma continua a non collaborare. Con l'accusa di "insubordinazione" (art. 88 del Codice Penale Militare), per la quale rischia dai 3 mesi ai 5 anni di carcere, l'11 aprile viene trasferito alla Prigione Militare di Sivas. Qui subirà i primi pestaggi da parte di altri prigionieri, provocati dalle autorità carcerarie. Il 20 aprile Mehmet viene trasferito all'Ospedale Militare di Sivas dove si dovrebbe redigere un rapporto riguardante le sue abitudini sessuali. È bene precisare che all'interno delle forze armate turche sui soldati omosessuali viene confezionato un rapporto intitolato "Disordine psico-sessuale: omosessualità". In conseguenza a ciò, le persone omosessuali, escluse "di diritto" dall'esercito, divengono vittime di una forte discriminazione sociale anche nell'ambito della vita civile e professionale. Risulta chiaro il motivo per cui all'interno dell'esercito turco i soldati gay tentino di nascondere la loro "patologia", nonché il rifiuto di Mehmet a subire qualsivoglia esame medico finalizzato all' "accertamento" della sua omosessualità. Gli avvocati del giovane anarchico denunceranno il tentativo di sottoporre Mehmet ad esami medici contro la sua volontà come tortura, richiedendo l'immediata cessazione di queste pratiche illegali.

Il processo per insubordinazione si svolge il 28 aprile e viene subito rinviato al 26 maggio, al fine di poter ascoltare le testimonianze di alcuni soldati. Dopo il processo viene arrestato con l'accusa di diserzione un obiettore di coscienza lì presente; verrà rilasciato in giornata.

La detenzione di Mehmet continua fra abusi, minacce di morte e pestaggi da parte dei compagni di cella e delle autorità carcerarie, le quali lo presentano come un terrorista. Da sottolineare anche i ricatti accompagnati da svariate minacce da parte degli altri detenuti, i quali, con la complicità dei funzionari, esigono da lui soldi (circa 290 euro, che Mehmet pagherà in buona parte), carte telefoniche e vestiti. Alcuni capi di vestiario, portati nel carcere dalla sorella, verranno consegnati ai ricattatori dalle autorità del centro di detenzione. A causa delle ripetute aggressioni Mehmet riporterà gravi ferite alle labbra, ecchimosi al mento, al collo e a svariate altre parti del corpo; inoltre, a causa dei colpi ricevuti al petto, alle gambe e ai piedi per alcuni giorni soffrirà di difficoltà respiratorie e a fatica riuscirà a reggersi in piedi.

I segni degli abusi subiti nel carcere risultano evidenti anche al processo del 26 maggio, durante il quale l'avvocato di Mehmet chiede il proscioglimento. Per tutta risposta, il giudice ordina il rinvio al 9 giugno. Dopo il processo, la polizia arresta tre obiettori di coscienza e dieci antimilitaristi che avevano tentato di frapporsi. Questi ultimi vengono successivamente rilasciati. I tre obiettori durante la notte vengono portati all'ufficio di reclutamento, aperto appositamente; qui, vengono privati delle loro carte d'identità e gli viene ordinato di tornare il giorno successivo. Stessa sorte toccherà ad un altro obiettore, arrestato mentre dormiva in auto di fronte alla casa di alcuni amici. 

Mehmet, ricondotto al carcere di Sivas, inizia uno sciopero della fare per protestare contro le violenze e i maltrattamenti infertigli.

Durante la terza sessione del processo il giudice ordina il rilascio dopo due mesi di carcere già scontati. Nonostante l'evidente stato di stanchezza fisica dovuta agli abusi e a due settimane di sciopero della fame, Mehmet viene nuovamente trascinato all'ufficio di reclutamento dove si decide di riportarlo alla base di Tokat. Si instaura così un circolo vizioso fatto di coscrizione, rifiuto di prestare servizio, carcerazione e processi. Infatti, nel giro di pochi giorni Mehmet si ritrova ancora una volta rinchiuso nella Prigione Militare di Sivas. Come segnala War Resisters' International, si è in presenza di una violazione dell'articolo 14 paragrafo 7 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), nonché di una violazione dell'articolo 10 della Dichiarazione dei Diritti Umani secondo l'Opinione 36/1999 del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria (riferita al caso di Osman Murat Ulke, altro obiettore turco). Da notare inoltre, che la stessa ICCPR, che la Turchia sottoscrive, garantisce il diritto all'obiezione di coscienza (art. 18). 

La mattina del 21 giugno, dopo 28 giorni, Mehmet pone fine allo sciopero della fame a seguito del riconoscimento, da parte del personale della prigione, delle sue richieste di sicurezza personale ed eguale trattamento. Gli viene inoltre concesso di essere visitato da personale medico civile, che lo dichiara in buona salute (sigh!). Successivamente, gli avvocati vengono informati che la prima udienza per il nuovo rifiuto di sottostare alla leva si sarebbe tenuta il 12 luglio.
Il 4 agosto viene celebrata un'udienza congiunta per entrambi i processi aperti a carico di Mehmet. La sentenza senza precedenti prevede 4 anni di reclusione - 2 anni per ciascuna condanna. Nonostante gli avvocati abbiano presentato ricorso, anche in caso di assoluzione da parte della Corte d'Appello il circolo vizioso sopra descritto non si interromperebbe.

Fino ad oggi, Mehmet è stato ancora vittima di ripetute violenze, arbitrarie misure disciplinari e reclusione in cella d'isolamento a volte fino a 15 giorni. Il 30 settembre scorso alcune guardie, come periodicamente avviene, gli hanno tagliato barba e capelli dopo averlo brutalmente picchiato in seguito al suo rifiuto di sottoporsi a tale trattamento - stessa sorte è toccata al suo compagno di cella Ali. In conseguenza a questo episodio, Mehmet ha iniziato un nuovo sciopero della fame ad oltranza con le seguenti richieste: documentazione medico-legale delle torture subite, avvio di un'azione legale contro i suoi persecutori, soddisfacimento dei suoi bisogni primari (acqua potabile, sale, zucchero, succo e vitamina B1). Il primo ottobre Mehmet è stato trasferito di forza all'Ospedale Militare, mentre Ali è stato nuovamente picchiato ed ha iniziato anch'egli uno sciopero della fame facendo sue le richieste di Mehmet. I medici dell'Ospedale Militare hanno negato la presenza di segni di maltrattamenti sul corpo di Mehmet, il quale è stato poi ricondotto in carcere.

Silvestro

Fonti: a-infos e International War Resisters

Chi volesse indirizzare missive in sostegno alla scelta di obiezione di Mehmet e per chiederne l'immediata liberazione può scrivere all'Ambasciata turca in Italia <turchia@turchia.it>

















una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti