Umanità Nova, numero 35 del 30 ottobre 2005, Anno 85
Dal 29 ottobre al 1 novembre gli anarchici federati si riuniranno a
congresso a Carrara. Sarà il 25° congresso di
un'organizzazione che proprio a Carrara venne fondata 60 orsono.
Un congresso in cui ancora una volta anarchici e anarchiche da
tutt'Italia si confronteranno per fare il punto sulla lotta che vede le
ragioni della libertà e dell'eguaglianza opporsi ad un ordine
del mondo fondato sull'oppressione, lo sfruttamento, la guerra.
Il testo che segue è stato presentato al convegno sui 60 anni della FAI tenutosi il 18 settembre a Reggio Emilia.
L'iniziativa odierna incentrata sulla trasmissione di memoria della
Federazione Anarchica nei suoi 60 anni di vita si colloca, e forse non
a caso, in una situazione in cui forte si presenta la domanda del "che
fare". Da parte dei lavoratori schiacciati tra le famigerate
"compatibilità" di sistema ed un'opposizione strumentale, di
facciata; di chi si vuole opporsi alla guerra, ma è cosciente
dei limiti delle azioni fin qui condotte; dei migranti alle prese con
l'infamità di un sistema di ricatti e di esclusioni e le
carità pelose delle moderne Dame di S. Vincenzo; della
gioventù sacrificata sull'altare della flessibilità e
della precarietà per un futuro sempre più incerto; di
quanti vedono attaccate le loro possibilità di cultura e di cura
della salute nel degrado dei servizi pubblici; degli espulsi dalle
città conquistate dalla speculazione edilizia; di quanti hanno
lottato per un mondo più giusto ed ora si sentono abbandonati e
traditi da una sinistra imbelle, guerrafondaia e sostanzialmente
collaborazionista; di quanti e soprattutto quante sono alle prese con
un revanscismo culturale che sulla retorica della famiglia vuole
tornare ad imporre modelli patriarcali; di quanti vivono nelle galere
la giustizia di un sistema ingiusto; di quanti non sopportano il
revisionismo parafascista e l'oscurantismo culturale; di quanti ci
fanno giungere la loro voce dai paesi più poveri, violentati
dalla rapacità del neocolonialismo e dal suo sistema di guerre
che sul sangue di milioni morti garantisce i livelli di vita dei ceti
abbienti del "primo" mondo; di quanti non hanno più voce per
farsi sentire, chiusi nelle stamberghe, nelle baracche delle periferie
metropolitane, invisibili per la ricchezza opulenta e sfacciata dei
nuovi speculatori; di quanti soffrono delle devastazioni ambientali
frutto dell'ingordigia capitalista e del produttivismo statalista.
Troppe domande, forse, per una piccola organizzazione militante come la nostra, con molti percorsi localistici e molte scelte soggettive. Ma, come sempre, non è tanto il numero che conta e neppure la pura e semplice crescita quantitativa della FAI, ma quanto questa crescita è conseguenza e riflesso della qualità di una nostra proposta in grado di misurarsi e coinvolgere altri soggetti, altre situazioni. Una proposta che, pur mantenendo viva la capacità critica in grado di graffiare a fondo l'oscenità del sistema di potere, sappia attrarre gli elementi vitali, i militanti generosi, le coscienze ribelli, gli oppositori coerenti, dando risposte concrete, possibilità di percorsi attualizzando e rivitalizzando la proposta anarchica.
Certo nei confronti di uno scenario quotidiano di guerra, di una repressione (e di una provocazione) montante, di un conflitto di classe vivo per quanto carsico, di un disgregarsi del tradizionale tessuto del lavoro salariato, di un attacco alle libertà individuali e collettive, di una ripresa dell'attività razzista e fascista, molti sono i problemi da affrontare e da risolvere, ma la loro risoluzione può essere facilitata in un dibattito che tenga anche conto dell'esperienza del movimento nel suo complesso, sia su scala "nazionale" che su scala internazionale. Un movimento in crescendo che ha ormai conquistato la sua visibilità e con cui "altri" ormai devono fare i conti, magari mistificandolo o tentando manipolazioni nei suoi confronti, oppure ricorrendo a strategie di pura e semplice provocazione come si è già verificato nei momenti di storia recente, da Piazza Fontana in poi, quando le bombe di Stato hanno spezzato l'ondata crescente del movimento costringendolo sulla difensiva.
I tempi in cui ci troviamo ad operare non ci consentono viaggi eterei né autoreferenziali. La concretezza dello scontro sociale e della guerra internazionale ci chiamano, una volta di più, ad un'azione ferma e coerente. Dopo aver dimostrato con le iniziative di questi ultimi anni, con le manifestazioni "nazionali" contro la guerra, con la promozione e la partecipazione ai principali momenti di opposizione di piazza alle moderne forme internazionali dello sfruttamento capitalista, con le mobilitazioni a sostegno degli scioperi generali indetti dal sindacalismo di base, con le numerosissime iniziative locali, di essere "in piedi" e di essere in grado di dare un nostro contributo alla lotta per la liberazione umana, oggi dobbiamo essere in grado di dimostrare di essere capaci di formulare proposte per tutta l'opposizione sociale, per impedire un suo definitivo scivolamento su derive prettamente socialdemocratiche, cogestive e di rappresentanza. L'opera di demonizzazione degli anarchici, che passa con le accuse di terrorismo, scatenata dai media su chiara indicazione degli organi repressivi dello Stato, vuole proprio impedire che i movimenti di opposizione siano influenzati dalle metodologie e dalle proposte anarchiche. Opera senz'altro vana in quanto le idee di libertà vanno ben oltre le nostre modeste persone, ma opera comunque capace di ritardare processi di maturazione in chiave chiaramente libertaria. E sarà soprattutto su questo terreno che la nostra iniziativa potrà dare un suo importante, anche se non definitivo, contributo.
Nemici dichiarati del sistema democratico rappresentativo, forma politica odierna della dittatura della borghesia, gli anarchici della FAI sono impegnati per conferire una maggiore concretezza alle proposte di lotta e di organizzazione, evitando scorciatoie apparentemente efficientiste che porterebbero su tutt'altre strade.
Se i fondamenti stessi dell'essere e dell'agire anarchico (la piena autonomia e quindi la piena responsabilità dei singoli come del gruppo; l'accordo libero; il dovere morale di rispettare gli impegni presi come pure il programma sottoscritto) mantengono inalterato il loro valore ai fini della costruzione di una società a carattere autogestionario, ne consegue che il nostro operare individuale e collettivo, rifuggendo funzioni direttive e poteri censori, deve conservare e potenziare questa caratteristica pienamente antiautoritaria.
Non crediamo di avere la verità in tasca, crediamo però che solo un processo rivoluzionario potrà modificare lo stato di cose presenti. E se siamo immuni dal riformismo, riteniamo che le conquiste sociali, frutto dell'azione diretta delle masse, siano fondamentali per la modificazione dei rapporti di forza di questo paese.
La poetica dell'insurrezionalismo e l'estetica del soggettivismo violentista, amplificate ad arte dai media, con la mistificazione del nostro operare, la provocazione insita nel saccheggio della nostra sigla, la confusione indotta ad arte, se vuole affermare un'egemonia organizzativa, concetto eticamente riprovevole da un punto di vista libertario, in realtà lavora non per la radicalizzazione ma per l'isolamento delle istanze libertarie dal corpo sociale.
L'anarchismo come forza rivoluzionaria organizzata: è questo quello che si teme, e non tanto alcuni aspetti culturali che possono rappresentare, se separati dall'insieme della cultura libertaria, fiori all'occhiello di una sinistra che non sa e non vuole riformare.
L'anarchismo come forza rivoluzionaria organizzata tesa all'autorganizzazione dei lavoratori, degli sfruttati di ogni paese. L'anarchismo come unica pratica realmente internazionalista, che ha nello sviluppo integrale e libero dell'individuo l'obiettivo unificante di tutte le sue tendenze.
A chi sostiene la fine delle possibilità di trasformazione sociale da parte dell'anarchismo, a chi sostiene la fine della stessa concezione di rivoluzione sociale, la risposta migliore viene dalla capacità dell'anarchismo di rivitalizzarsi, di essere nel presente, di coniugare le sue radici storiche ed etiche con la necessità della lotta contemporanea contro l'oppressione di ogni colore.
Per questo l'anarchismo federato continua a lavorare, a confrontarsi, a costruire. Per questo la FAI nel suo prossimo Congresso di fine ottobre porterà un ulteriore contributo alla causa della liberazione umana e della rivoluzione sociale nella convinzione che proprio quando sembra che non ci sia più nulla da fare, c'è tanto da fare.
Massimo Varengo