testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 35 del 30 ottobre 2005, Anno 85

Guerra e terrorismo
Tra menzogne e inganni


"Dalla fine della Guerra fredda i conflitti armati nel mondo sono diminuiti del 40%: è uno dei risultati dell''Human Security Report', uno studio effettuato dall'Università di Vancouver, in Canada, che sfaterebbe il 'falso mito' dell'aumento delle violenze su scala globale negli ultimi anni. Secondo la ricerca, intitolata 'Guerra e pace nel XXI secolo', a partire dal 1992 si registra in tutto il mondo una drastica riduzione dei conflitti, dei genocidi e delle violazioni dei diritti umani, ma, al contempo, un'impennata delle vittime causate dal terrorismo internazionale. Il numero delle persone vittime di genocidio e di pulizie etniche - evidenzia il rapporto - è crollato dell'80%, malgrado i massacri che hanno insanguinato Bosnia e Ruanda verso la metà degli anni '90. La media dei caduti in un singolo conflitto bellico è diminuita dai 37mila del 1950 - bilancio della guerra di Corea - ai 600 morti del 2002. Secondo i ricercatori dell'Università di Vancouver, anche il numero dei rifugiati è calato, diminuendo del 45% tra il 1992 e il 2003."[1]

La ricerca è interamente consultabile sul sito www.humansecurityreport.info. Ed è quello che ho fatto. Perché dico questo: perché è palesemente evidente che già a partire dalla strutturazione dei dati per argomenti così complessi, nonché dalla loro classificazione e strutturazione e per finire dalla loro comunicazione esterna (mediatica) si modificano sensibilmente i possibili approcci a queste tematiche. 

Non è mia intenzione mettere in discussione i risultati conseguiti dalla ricerca per almeno tre ovvie ragioni:

L'impossibilità di accedere ai dati grezzi ottenuti dal centro di ricerca, né di sapere come sono stati raccolti (le fonti sono importanti tanto quanto i risultati ottenuti);

L'impossibilità di accedere alle metodologie di elaborazione degli stessi;

La difficoltà di condivisione dei criteri di lettura politica dei dati organizzati (faccio un esempio concreto: per noi anarchici esistono diverse forme di terrorismo, tra le quali non irrilevante è quella diretta, fomentata ed organizzata dagli Stati sovrani e dai loro apparati di terrore).

Prendendo, quindi, per buoni gli esiti dello studio, cercherò di dare ulteriori chiavi di lettura, allargando la conoscenza su quei dati che i mass media cercano di espellere perché "fastidiosi" ai fini della persuasione ideologica a cui sono preposti. Infine, a breve giro, questa ricerca mi pare molto utile anche perché ci fornisce un'altra chiave di lettura: la funzione dei mezzi di comunicazione come strumento di perpetrazione dell'ideologia del terrore ai fini di poter continuare a condurre guerre sia su scala planetaria, giustificando così gli interventi "umanitari", sia su scala interna per l'intensificazione della repressione sociale.

Lo Human Security Report ammette che "il conteggio dei morti in combattimento non rende conto in dovuta misura dei reali costi dei conflitti armati". Quello che si evidenzia nei risultati della ricerca è che "la stragrande maggioranza delle persone che muoiono o rimangono permanentemente invalide a causa dei conflitti, e quindi della loro intensità e violenza, sono quelle a cui i conflitti negano l'accesso all'acqua, al cibo, o provocano l'aumento di infezioni quali malaria, tubercolosi, HIV, a cui si aggiungono assassinii per l'accaparramento di beni scarsi, o per "modalità relazionali a cui ogni conflitto da adito", suicidi e violenze, tra cui quella sessuale è, manco a ricordarlo, la più ricorrente".

La guerra civile nel Congo (1998 – 2002) ha provocato da sola oltre 3,3 milioni di morti a causa della malnutrizione: ma poi soltanto di guerra civile si è trattato? Ecco che qui, come ricordato sopra, intervengono altri criteri interpretativi ed altre chiavi di lettura: "Una 'Guerra Mondiale Africana', come è stata definita, che vede combattersi sul territorio congolese gli eserciti regolari di ben sei Paesi per una ragione molto semplice: il controllo dei ricchi giacimenti di diamanti, oro e coltan del Congo orientale 

Il Congo si è così ritrovato diviso in una parte orientale controllata dai ribelli e una occidentale ancora in mano alle truppe di Kabila."[2]

Altri esempi dello stesso genere possono essere citati a piene mani:
Sierra Leone. 100.000 morti e 2 milioni e mezzo di profughi.
Darfur (al dicembre 2003). 700.000 profughi e morti per fame e violenze imprecisati.

Cecenia (al 2001). Le forze militari russe detengono, torturano e uccidono i civili ceceni, con lo scopo ultimo di terrorizzare e sottomettere questo popolo che ha già conosciuto un calvario: 150 mila vittime dall'ultima offensiva del 1999, quando nel paese abitavano ancora circa 400 mila ceceni, molti dei quali sono stati costretti all'esilio nelle repubbliche vicine. I militari russi, per rispondere alle ostilità dei ribelli ceceni, spesso invadono un villaggio e catturano i civili e, dal luglio 2001, hanno condotto dozzine di queste operazioni in tutta la Cecenia. Molti di questi detenuti, rilasciati dietro il pagamento di un riscatto da parte dei familiari, hanno dichiarato di essere stati ripetutamente torturati, altri invece scompaiono o vengono trovati morti e, secondo Human Rights Watch, la situazione si sta velocemente deteriorando.

Kasmir (al 2002). La guerra ha causato fino ad oggi oltre 70mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati di entrambe le parti.

Liberia (al 2004). In 14 anni di guerra civile sono morte più di 250 mila persone… [3]

Questi dati su cui occorrerebbe ulteriormente ragionare ci portano in qualche modo a confermare la validità, almeno dal punto di vista teorico, dell'antimilitarismo anarchico, che non ha mai guardato alla guerra come ad una semplice modalità a se stante dai prodotti che l'hanno generata, dalle strutture sociali nella quale si inserisce e dalle conseguenze che essa porta. La guerra è un fenomeno economico, culturale, sociale, politico che si genera in tutte le società capitalistiche (e precedenti ad esse), comprese quelle a capitalismo di stato (URSS etc), che prende dalla modernità il suo carattere di massa, devastante ed onnipresente, sia nei mezzi che nelle modalità che nei risultati, che uniforma i civili in combattenti di seconda linea, maggiormente esposti ai "costi indiretti della guerra", come li chiama la ricerca in osservazione, che fa della velocità di esecuzione e della velocità di rimozione alcune delle sue armi più difficili da contrastare.

Ma altri dati possono tornarci utili: negli ultimi tempi di manifestazioni pacifiste ho visto comparire rare, ma non contestate, bandiere nazionali (francesi, tedesche) che andavano ad affiancarsi a quelle nazionali irachene, palestinesi, curde etc. Lasciando da parte, per un attimo, la questione nazionale, quello che si evinceva era che alcuni ritenevano che questi due stati, e in qualche modo la stessa "civiltà europea" fossero foriere di pace. C'è una tabella a tal proposito che quantifica gli stati maggiormente impegnati nei conflitti armati internazionali. Gli anni presi in considerazione sono dal 1946 al 2003: al primo posto c'è il Regno Unito con 21 conflitti internazionali, seguito a ruota dalla "pacifista" Francia, con 19 conflitti, poi tocca agli USA con 16 conflitti, alla Russia (ex URSS) con 9 e via dicendo. Naturalmente non tutti i conflitti sono stati di eguale quantità né "qualità", ma teniamo presente che stiamo parlando di un arco di storia relativamente molto breve, ovvero di circa 50 anni. In fondo alla classifica compare anche l'Italia che ha partecipato in forma dichiarata a ben 4 conflitti internazionali, ovvero a ben 4 guerre internazionali, più altre, "interessanti", missioni di "pace" sotto egida ONU, NATO,… Quattro conflitti, al pari della Spagna, dell'Iran, dell'Iraq, della Siria, del Chad, dell'Etiopia. Qualcuno se ne era accorto, o pensava fossero operazioni di pace?

Se poi teniamo in dovuto conto l'imperialismo europeo nelle sue varie missioni extra continentali, allora avremmo che la sommatoria tra gli stati precedentemente citati più l'Olanda, con 7 guerre internazionali, il Portogallo con cinque e la già ricordata Spagna, portano il nostro continente ad essere il più rappresentativo al mondo nelle guerre internazionali degli ultimi 50 anni.

Un ultimo dato sul quale conviene porre l'attenzione è quello relativo al terrorismo: lo Human Security Report racconta che il Dipartimento di Stato Americano sostiene che il numero totale degli attacchi terroristici nel 2003 era il più basso, avete capito bene, il più basso dal 1969 e che questo dimostra con estrema chiarezza che gli Stati Uniti hanno vinto la lotta contro il terrorismo: se lo dicono loro! Bisogna però capire il perché si continui ad inneggiare alla lotta ad un fantasma e cosa questo comporti sul piano della repressione "interna" ed "internazionale". 

L'altro dato a mio avviso molto interessante riportato dall'inchiesta del Centro dell'Università di Vancouver è che i tre quarti degli attacchi terroristici compiuti negli Stati Uniti a partire dal 1980 sino al 1999 (siamo quindi dietro l'angolo della storia), sono stati compiuti da "domestic group", ovvero da compatrioti statunitensi di cui, sempre secondo l'FBI, gran parte di essi erano costituiti da formazioni politiche naziste.

Se questi sono alcuni dei dati contenuti nella ricerca, se il mondo andasse veramente nella direzione contenuta in essa, perché percepiamo esattamente l'opposto? E inoltre perché oltre a percepire esattamente l'opposto, ci sembra, in casi molto differenti tra loro, che quando approvano legislazioni a dir poco criminali sui diritti civili, quando utilizzano contro le lotte sociali il 270 bis a man bassa, quando cancellano di fatto il diritto di sciopero, quando professionalizzano l'esercito, quando parlano di febbre aviaria, quando fanno le guerre e le sostengono in tutti i modi, quando fanno le loro missioni di aiuto e di pace e… anche quando stanno zitti, ci sembra non solo di percepire, ma di sperimentare una sorta di guerra totale e totalizzante?

Qui entra in gioco la truffa mediatica, definibile anche come inquinamento o ingerenza, che non sarebbe nient'altro che "l'azione dell'emittente che procede all'assemblaggio dei segni con l'intenzione di diminuire, sopprimere o rendere impossibile la correlazione tra la rappresentazione del ricevente e la realtà dell'originale"[4]

La disinformazione non attiene quindi alla casualità degli eventi, ma è un'attività sottoposta a regole e tecniche necessarie in ogni contesto bellico. La disinformazione agisce sostanzialmente attraverso tre espedienti:

L'occultamento o la soppressione di alcuni elementi di realtà

L'immissione di alcune informazioni false

La deformazione di alcune informazioni fornite che possono rendere più o meno rilevanti alcuni aspetti che si intende far conoscere.

Alle prime ore di lunedì 24 ottobre, sul sito www.repubblica.it, compare la notizia secondo cui le prove per scatenare la guerra contro l'Iraq sarebbero state fabbricate a Roma: in pochissimo tempo la stessa notizia non trova più ospitalità né lì né altrove.

Il nemico è potente, molto potente: c'è però da domandarsi se, nel caso in cui tutti o la maggior parte, avessero la possibilità di accedere liberamente ad altro tipo di informazione, cambierebbero gli atteggiamenti nei confronti di ciò che li circonda. Se il potere usa la menzogna qualche ragione c'è, nella sua evidenza, ma il dubbio che l'approccio alla "realtà" non sia più condizione sufficiente a cambiare le cose rimane un quesito aperto.

Pietro Stara


Note

[1] (Psv/Zn/Adnkronos) 18-OTT-05
[2] http://www.warnews.it/index.cgi?action=viewnews&id=8
[3] Tutti questi ed altri dati sono reperibili in http://www.warnews.it e i siti ad esso linkati
[4] Cfr. M. Fraguas de pablo, Teoria de la desinformacion, citato da Alejandro Pizarroso, Disinformazione, propaganda e opinione pubblica, in L’ospite ingrato, Semestrale del Centro Studi Franco Fortini, Macerata 2003, pag 146

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