Umanità Nova, numero 35 del 30 ottobre 2005, Anno 85
In questi giorni, il dibattito politico si sta incentrando sulla
questione della cosiddetta "devolution": il Parlamento, su indicazione
e con l'appoggio della maggioranza di centro-destra, ha approvato un
disegno di legge che trasferisce tutta una serie di poteri dal governo
centrale ai governi periferici. L'"opposizione" di "centro-sinistra"
(scusate l'uso delle virgolette, ma sono necessarie, vista la
situazione che imporrebbe una sana operazione di raddrizzamento dei
nomi) sta esprimendo, apparentemente con forza, la sua
contrarietà. Facendo questo, però, va ad identificare
alcuni basilari principi di uguaglianza sociale e politica con il
mantenimento di tutta una serie di prerogative al potere centrale.
Intendiamoci. L'operazione portata avanti dalla maggioranza di centro-destra vuole effettivamente essere un meccanismo volto a mettere in pratica l'ideologia razzista e gerarchica del pensiero neocons, declinato all'italiana con l'apporto fondamentale delle teorie leghiste. Nessuna simpatia, dunque, da parte nostra, per una simile operazione. Il fatto, però, è che l'alternativa proposta dalla cosiddetta opposizione non è affatto tale: il nazismo, giusto per fare un esempio scontato, con il suo fürerprinzip, è stato quanto di più lontano dal federalismo si possa immaginare: ciononostante, l'aspetto gerarchico e razzista non era certo assente, anzi… L'antipatia viscerale che portiamo verso questo governo, insomma, non deve ingannarci rispetto a quelli che sono i veri principi dell'uguaglianza sociale, di un mondo davvero diverso e possibile.
Cominciamo, allora, con l'analisi del termine stesso "devolution". Volendolo tradurre correttamente, esso significa "cessione": nel caso specifico, un trasferimento di potere politico dal "centro" alla "periferia". Dunque, la questione fondamentale consiste nel capire due elementi della faccenda: cosa viene trasferito, ed a chi.
Partiamo dal cosa. Si tratta, dicevamo, di un trasferimento di potere politico, in altri termini del potere d'imperio di uomini su altri uomini, della subordinazione che viene imposta a tutti coloro che sono esclusi da esso. Da cinquemila anni circa, infatti, gli esseri umani hanno cominciato a vivere gerarchicamente: in pratica, una minoranza di esseri umani hanno applicato alla restante maggioranza le tecniche dell'allevamento animale. La storia umana, da quel momento in poi, è stata una storia di morte, schiavitù, menzogna, oppressione religiosa, sociale, politica e culturale, e dei tentativi, repressi nel sangue, di costruire una società diversa, basata sull'eguaglianza sociale e sulla libertà dei singoli.
Da questo punto di vista, le dimensioni di una società basata sul potere politico, per i dominati, non hanno grande significato. Prendiamo il caso dell'Occidente feudale del primo medioevo: il potere politico (di banno, per usare i termini d'allora) dell'ultimo dei valvassini nei confronti dei suoi sottoposti poteva essere, e spesso era di fatto, di una ferocia assoluta. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe porsi, perciò, il problema del superamento del potere dell'uomo sull'uomo, non quello delle dimensioni territoriali su cui questo si applica.
Queste riflessioni conducono direttamente alla seconda questione. Il potere di decidere della vita altrui può essere sempre e soltanto delegato ad una minoranza di uomini e, di conseguenza, sottratto alla stragrande maggioranza per esservi applicato sopra, e contro, di essi. La storia umana, negli ultimi cinquemila anni, ha visto una continua altalena tra forme relativamente accentrate e forme relativamente decentrate della gestione del potere dell'uomo sull'uomo, senza che per la grande maggioranza dell'umanità le cose cambiassero più di tanto. L'attuale scontro tra centro-destra e "centro-sinistra" non sembra affatto sfuggire a questa dialettica.
Passiamo adesso ad un altro genere d'argomentazioni. Oltre al termine "devolution" si usa spesso il termine federalismo come suo sinonimo: ancora una volta (come già per "socialismo", "comunismo", "sinistra",…) un termine usato all'interno dei tentativi di liberazione dell'umanità dal funesto potere dell'uomo sull'uomo viene svilito e tramutato nel suo contrario. Vale dunque la pena di ricordare cosa, nella tradizione socialista ed in particolare in quella anarchica, esso significasse.
Il federalismo, nella tradizione che qui ricordiamo, aveva infatti il senso di un superamento del potere politico in quanto tale: significava la restituzione all'individuo, ad ogni individuo, della sua sovranità piena e completa, in un processo che, partendo dalle unità territoriali minimali, si sollevasse fino all'umanità intera. Un processo che implicava la scomparsa del potere politico in ogni sua forma (compresa quella ideologicamente fondata sul preteso potere della maggioranza sulla minoranza), della proprietà privata (compresa quella cosiddetta "pubblica" ma in realtà statale, insomma del privato più forte), di ogni meccanismo volto a costringere gli uomini a seguire un particolare indirizzo, credenza, stile di vita, con il solo vincolo di riconoscere a chiunque altro la medesima libertà.
Questo progetto federalista, ben diverso da ciò che oggi passa sotto lo stesso nome, fu quello della tradizione anarcocomunista (all'inizio ante litteram) di Russo, Pisacane, Bakunin, Malatesta, Kropotkin. Un'utopia? Forse. Ma oggi, forse, appare ancora più utopico (nel senso negativo del termine) chi si balocca nell'idea che il miglioramento delle condizioni di vita della grande maggioranza dell'umanità passi attraverso un cambio marginale delle forme del potere dell'uomo sull'uomo, se non, spesso, nel semplice cambio dei suonatori della stessa, millenaria, funesta musica, indirizzandoci in una folle coazione a ripetere, nella ripetizione millenaria dell'identico gioco delle parti.
Shevek dell'O.AC.N./F.A.I.