testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 36 del 13 novmbre 2005, Anno 85

I partigiani della Val Susa
Blocchi di cantieri, strade e treni contro Tav e occupazione militare
16 novembre sciopero generale



Questi sono peggio dei tedeschi, e li paghiamo noi
(un anziana della Valle di fronte a carabinieri e poliziotti in armi il 31 ottobre 2005)


Il bravo carabiniere mette le bombe che poi trova il giorno dopo
(un cartello scritto a mano all'ingresso di Susa, 5 novembre 2005)


15 anni di Resistenza sono l'indice inequivocabile che quella della Valle di Susa è una lotta radicata, convinta, senza tentennamenti.

Chi ne dubitasse ne ha avuto conferma il 31 ottobre, una giornata che rimarrà scritta nella memoria di tanti di noi.

Era l'ennesimo appuntamento contro i tecnici che da mesi provavano a prendere possesso di terreni in Valle per dare l'avvio a sondaggi e primi lavori per la costruzione di una linea ferroviaria ad Alta velocità. Tutti in Valle sapevano che quest'anno la lotta sarebbe entrata nel vivo, perché il progetto del TAV stava entrando nella sua fase operativa. Per mesi, dopo la grande marcia popolare dei trentamila da Susa a Venaus, ogni tentativo di entrare in valle dei tecnici di LTF – Lyon Turin Ferroviaire, il general contractor che ha in gestione la costruzione della tratta centrale dell'opera, quella a maggior impatto ambientale, è stato respinto dai valligiani.

Per tutta l'estate a Bruzolo, Venaus, Borgone i tecnici accompagnati dai solerti tutori del disordine statale in divisa da carabinieri e poliziotti hanno trovato centinaia e centinaia di persone ad attenderli. Gli esponenti dei comitati di lotta e la gente dei paesi con gli amministratori locali e i gruppi solidali giunti dall'intera provincia di Torino stazionavano sui terreni dove avrebbero dovuto essere fatti i sondaggi o, come a Venaus, era prevista l'apertura di un cantiere per la costruzione di un tunnel d'ispezione. Ogni volta tecnici e poliziotti sono tornati indietro con la coda tra le gambe. 

A Bruzolo, Venaus e Borgone sono partiti presidi permanenti che vanno avanti ormai da mesi. Mesi nei quali sono andate avanti le manovre della politica. Manovre che hanno avuto tra i loro maggiori protagonisti gli amministratori della Valle, tutti antiTAV e in contrasto con i partiti nazionali, e, quindi, bisognosi di trovare una mediazione che consentisse loro di "restare" nel movimento senza entrare in rotta di collisione con le istituzioni provinciali, regionali e statali. Ma gli accordi siglati in estate per la realizzazione di un tavolo tecnico di valutazione sulle nocività dell'opera, già traballante per i dubbi espressi dalle assemblee dei comitati e dei cittadini, è stato rovesciato con forza da Lunardi che ha annunciato che i lavori dovevano partire subito. 

Di fronte all'attacco deciso del governo ed al concreto rischio che l'azione poliziesca si facesse più concreta gli amministratori della Valle hanno tentennato a lungo, ma l'intervento deciso dei valligiani li ha obbligati a mantenere saldo il rifiuto di ogni mediazione. A fine settembre centinaia e centinaia di valsusini con le bandiere No Tav sono intervenuti, pur non invitati, ad un'assemblea dei sindaci della valle per indurli a scendere in piazza con le fasce tricolori. I giornali che ancora continuano a definire gli amministratori "capi" della protesta non colgono che la legittimità dei politici di ogni colore passa ormai per un loro netto schieramento anti TAV.

La Provincia e la Regione, governate dal centro-sinistra, pur spiazzate da un'accelerazione dello scontro che rischia di rendere difficile la tranquilla gestione del baraccone olimpico di febbraio, al di là di qualche timidissimo richiamo alla necessità di trovare una soluzione morbida del conflitto, hanno mantenuto salde le posizioni pro TAV. 

Il 31 ottobre i valsusini si sono trovati quindi soli. Ma non hanno mollato. I terreni in cui era previsto il sondaggio si trovano nel comune di Mompantero, sulla sinistra orografica della Dora, alle spalle di Susa. La strada per arrivarvi è stretta e difficile e i siti si trovano a diversi livelli della montagna. Il più alto è a 1.300 metri. Sin dai giorni precedenti la polizia si attesta lungo la strada, bloccandola. Ma non ha fatto i conti con la gente di montagna, che aggira i blocchi, inerpicandosi per i sentieri sui quali 60 anni prima si era combattuto contro i nazifascisti.

Per l'intera giornata del 31 ottobre i presidi No TAV resistono alla polizia, che in un paio di occasioni usa la forza ed effettua arresti. Contemporaneamente la gente in valle blocca la circolazione dei treni della linea internazionale Torino-Lione occupando a più riprese diverse stazioni. Parte uno sciopero spontaneo: i lavoratori lasciano uffici e fabbriche e scendono in strada a protestare. 

Lo slogan che echeggia ovunque è "No pasaran!".

A fine giornata gli uomini in divisa lasciano il campo, dichiarando che la giornata è finita. La popolazione li saluta con sputi e grida di scherno. Nella notte il blitz dei carabinieri che, a sorpresa, tradendo l'impegno preso con la Comunità montana a lasciare il territorio, si attestano su uno dei siti appendendo un filo rosso e bianco ai rami degli alberi: un inganno che non resta senza risposta. Il giorno successivo la valle è nuovamente paralizzata: per tutto il giorno si succedono i blocchi stradali e ferroviari, culminati nel tardo pomeriggio nel blocco contemporaneo delle statali 24 e 25 e della ferrovia.

Due giorni dopo, un'assemblea convocata a Bussoleno dalle RSU Fiom raccoglie quasi mille persone, al punto che una buona metà resta fuori e ascolta dagli altoparlanti. L'indignazione è alle stelle per quella che tutti gli interventi chiamano senza mezzi termini occupazione militare del territorio. A Urbiano, frazione di Mompantero, gli abitanti sono obbligati ad esibire la carta di identità per andare a casa e ad una malata è negata l'assistenza perché l'infermiera che la cura, non residente, è stata respinta dai carabinieri. L'invito al boicottaggio delle olimpiadi viene accolto con applausi entusiasti. Lo sciopero generale indetto dalla Fiom e dalla CUB per il 16 novembre trova immediato e forte consenso. Va rilevato che la CGIL, per bocca della responsabile della Camera del Lavoro di Torino, Lorenzoni, e del suo segretario generale, Epifani prende immediatamente posizione contro lo sciopero e a favore del TAV. D'altro canto, quando si tratta di sindacati che hanno smarrito la loro funzione di strumenti di tutela dei lavoratori per diventare pezzi di un sistema di potere in cui grosse sono le fette di torta da spartire, c'è poco da stupirsi. Non è certo un caso che il settore più sfacciatamente pro Tav della CGIL sia quello degli edili… visto che una Cooperativa "rossa", la CMC di Ravenna, ha in mano l'appalto per il tunnel di servizio di Venaus e le mani in pasta in tutte le grandi opere d'Italia. Per i guai combinati nel Mugello è ancora sotto processo. Della serie: cane non mangia cane.

La decisione dello sciopero e la determinazione ad andare avanti con blocchi e presidi sono il segnale che la repressione poliziesca lungi dal fiaccare la volontà di resistenza l'ha resa più salda.

La Val Susa diventa un caso nazionale.

Partono le grandi manovre per soffocare una rivolta che per ampiezza e determinazione della popolazione mette in serio imbarazzo governo e istituzioni regionali e provinciali.

Il primo passo è sin troppo scontato: tentare di dividere i buoni dai cattivi, i valligiani dagli estremisti di Torino che vogliono cavalcare le lotte per mestare nel torbido, creare disordini, dare il via alla violenza.
I giornali, Stampa e Repubblica in prima fila, riempiono pagine su pagine sulla Val Susa, tracciando un "sapiente" ritratto dei valsusini un po' naif, un po' localisti ma generosi e buoni sebbene sciocchi nella loro testardaggine a voler fermare il treno del progresso. Man mano che i giorni passano sugli stessi giornali compaiono articoli che alludono alle possibili "infiltrazioni" di frange violente.

Un copione così scontato che si sarebbe potuto scrivere in anticipo il seguito. Prima fa la sua comparsa un volantino firmato "Valsusa rossa" che in modo ridicolmente confuso inneggia alle Brigate Rosse e, poi, puntuale all'appuntamento, sulla statale del Moncenisio, previa telefonata di avvertimento, viene trovato un candelotto di dinamite e una miccia. Subito i comunicati delle agenzie parlano di "pacco bomba" in Val Susa. 

Il giorno prima, guarda caso, le indagini sulla Val Susa e sui "disordini" del 31 ottobre era passato ai ben noti Laudi e Tatangelo, due vecchie conoscenze per gli appassionati di porcherie all'italiana, montature giudiziarie a fini politici. Per chi non fosse interessato a questo discutibile genere poliziesco ricordiamo che Laudi e Tatangelo sono gli stessi delle accuse per devastazione e saccheggio ai danni di 10 antifascisti e antirazzisti torinesi, gli stessi dell'inchiesta sui Lupi Grigi, quella di Sole, Baleno e Silvano, quella costata la vita ai primi due, morti suicidi nel carcere in cui erano stati rinchiusi per le accuse di eversione montate dai due piccoli divi della procura torinese. Una montatura che, sebbene ormai "smontata" sul piano giudiziario, continua ad essere usata per criminalizzare gli anarchici e, con essi, ogni forma di opposizione sociale alle devastazioni del TAV. I giornali, a Repubblica una menzione particolare, si scatenano nel rievocare la vicenda e nell'indicare in Pellissero il regista, il lupo "intanato" che si prepara ad addentare la preda. Letteratura di quart'ordine, degna di un pessimo romanzo d'appendice, viene sprecata da Alberto Custodero per evocare scenari di violenza e follia. Roba da ridere, se non fosse maledettamente seria.

Il (post) fascistissimo ministro della devastazione ambientale Altero Matteoli si affretta a dichiarare che "I comitati che insorgono contro ogni cosa che si vuole fare non rappresentano più un legittimo intervento dei cittadini in una democrazia, ma un modo strumentale per creare violenza". Della serie: chi protesta o si oppone alla violenta distruzione del territorio in cui abita sappia che il governo lo considera alla stregua di un terrorista.

Al post-fascistissimo Matteoli fa eco proprio Maurizio Laudi, magistrato di area DS, che, sempre a Repubblica, in un articolo titolato "Attacco che ricorda gli squatter" dichiara che "il volantino ritrovato venerdì a Bussoleno, il linguaggio e la tecnica usata per confezionarlo fanno intravedere molti parallelismi con le iniziative dei gruppi anarchici della fine degli anni '90".

Resta da vedere se le manovre criminalizzanti in atto riusciranno nello scopo di dividere un movimento sinora compatto che non si è fatto intimidire dalle minacce e dalla polizia.

Sabato 5 novembre un fiume umano, oltre quindicimila persone, hanno dato vita ad una fiaccolata che da Susa ha incrociato il bivio per la frazione di Urbiano bloccata dai carabinieri in assetto antisommossa. L'iniziativa, promossa dall'Anpi contro l'occupazione militare della valle, è stata caratterizzata dalla chiara volontà di respingere al mittente il pacco bomba ritrovato il giorno prima sulla statale del Moncenisio, ribadendo al contempo la ferma volontà di fermare il treno della morte e i carabinieri. 

Eravamo in tanti, stretti stretti, giovani e vecchi, bambini e ragazzi mentre l'aria diventava più frizzante e l'odore delle fiaccole pizzicava la gola. Piano piano siamo arrivati alla strada che sale a Urbiano e man mano che ci si avvicinava si sentivano le note di "bella ciao", il canto partigiano che tutti abbiamo spontaneamente intonato mentre sfilavamo di fronte ai carabinieri che bloccavano l'accesso alla frazione. La memoria di ieri e la lotta di oggi si sono intrecciate nel costruire identità e percorsi che trovano il loro fulcro nella consapevolezza che il nostro destino e quello dei nostri figli è, e deve continuare ad essere, ben stretto nelle nostre mani. La resistenza continua.

Prossimo appuntamento lo sciopero generale del 16 novembre.

Maria Matteo


una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti