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Umanità Nova, numero 36 del 13 novmbre 2005, Anno 85

Amsterdam, Parigi, Caltanissetta: l'Europa degli ultimi
Le fiamme della disperazione


Nella notte tra il 27 e 28 ottobre è scoppiato un gravissimo incendio all'interno di una delle celle del centro di detenzione per immigrati di Schipol a pochi chilometri dall'aeroporto di Amsterdam, in Olanda. Il bilancio è molto pesante: undici immigrati morti (tra cui una madre col proprio bambino) e quindici feriti, tra cui sei poliziotti. Un rogo devastante e rapido che non ha dato scampo e che ricorda con più di una macabra analogia la tragedia del CPT di Trapani in cui proprio in seguito a un incendio morirono sei migranti reclusi all'interno del lager siciliano il 28 dicembre 1999.

A quasi sei anni esatti da quella tragedia, il rogo di Amsterdam dimostra chiaramente come nulla sia cambiato nella gestione repressiva e assassina dei centri di detenzione che rispondono ormai a una logica di segregazione ed eliminazione fisica che accomuna tutti i paesi europei in una omologazione raccapricciante. Non è ancora chiaro se l'incendio nella prigione di Amsterdam sia stato provocato da un tentativo di fuga così come accadde a Trapani. Quello che è praticamente assodato è che ad Amsterdam così come a Trapani si sono verificate delle fatali negligenze al momento dei soccorsi: i sistemi antincendio non hanno funzionato, i pompieri hanno dichiarato di aver visto gli estintori al loro posto e le porte automatiche delle celle non erano programmate per aprirsi in caso di incendio. "Appena è arrivato il fumo abbiamo urlato. Ci siamo sgolati a chiedere aiuto ma le guardie ci chiedevano di rimanere tranquilli", ha raccontato un sopravvissuto a una radio pubblica. Mentre i poliziotti tergiversavano, un'intera ala è andata distrutta e il tetto è crollato.

Il centro conteneva 350 detenuti, il massimo consentito: molti immigrati che sono riusciti a salvarsi hanno poi tentato di scappare scatenando una spietata caccia all'uomo condotta dalle forze dell'ordine con l'aiuto degli elicotteri.

Le dichiarazioni del mondo politico olandese sull'accaduto sono state agghiaccianti.

Il ministro dell'immigrazione Rita Verdonk ha respinto le accuse di omissione di soccorso e ha ribadito la bontà della gestione dei flussi migratori in Olanda ribadendo che nei prossimi tre anni saranno espulsi circa 26mila richiedenti asilo. Tra l'altro, ha fatto molto discutere l'ultima invenzione del governo olandese che ha varato due grandi battelli attraccati al porto di Rotterdam e destinati all'internamento degli immigrati irregolari. Veri e propri CPT galleggianti da far spostare all'occorrenza da una regione all'altra a seconda del sovraffollamento del sistema carcerario. Le associazioni e i movimenti antirazzisti hanno già lanciato una campagna di lotta per chiedere la chiusura immediata dei bajesboten, i battelli della segregazione.

Mentre in Olanda si consumava la tragedia di Schipol, le strade di Parigi si incendiavano violentemente in seguito alla rivolta degli immigrati della banlieue, la periferia della capitale francese. All'origine delle proteste vi è la morte di due ragazzi minorenni di origine straniera che per sfuggire a un inseguimento della polizia si sono rifugiati in una centralina elettrica restando folgorati.

All'ottava notte consecutiva di scontri pesantissimi con la polizia si registra una situazione incandescente: centinaia e centinaia (ormai si sfiora il migliaio) di vetture date alle fiamme, cassonetti distrutti, lanci di oggetti contro le guardie, distruzione di un centro commerciale e di alcuni negozi, sassaiole contro municipi, commissariati, stazioni dei vigili del fuoco e scuole, colpi di arma da fuoco. I molti arresti in tutti i quartieri parigini in cui è scoppiata la rivolta non hanno fermato la rabbia dei giovani che ha contagiato anche altre città francesi: incidenti si sono verificati anche a Digione, nella Francia orientale, a Marsiglia, nel sud, e in Normandia, a nord mentre a Parigi l'epicentro della rivolta è nei dipartimenti di Seine-Saint-Denis e Clichy-sous-Bois.

Al centro di questi fatti c'è la rabbia antica di una gioventù figlia dell'immigrazione che pur essendo francese a tutti gli effetti vive una condizione di marginalità economica e sociale talmente pesante da non potersi minimamente considerare parte integrante della comunità nazionale. Un'ampia fascia di popolazione sulla quale gravano tutte le contraddizioni di un sistema che discrimina ed esclude i figli degli immigrati dall'istruzione qualificata, dal lavoro e dalla partecipazione civica. Non è la prima volta che le periferie francesi attaccano di petto lo Stato e i suoi apparati facendo esplodere violentemente il loro malcontento, e la morte di due minorenni braccati dalla polizia è stata una scintilla incontrollabile.

La risposta del governo francese è stata influenzata dal conflitto di potere che si sta consumando al suo interno. La linea dura espressa dall'esecutivo francese è stata declinata con toni apparentemente dissonanti ma che nella sostanza confermano che verrà attuata una pesante repressione per contenere i moti di piazza. Se da un lato il capo dello Stato Chirac (che con il primo ministro condivide il potere esecutivo) ha cercato di tendere la mano invitando alla calma e a un rispetto della legge all'insegna del dialogo, il primo ministro Dominique de Villepin ha definito inaccettabili le modalità della protesta promettendo di ristabilire ordine e legalità.

Il ruolo del duro è stato invece interpretato dal ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy che ha recentemente definito i rivoltosi "canaglie", attirandosi critiche dai media, dall'opposizione e da altri esponenti del governo. Durante la settima notte di scontri, Sarkozy si è recato a Seine-Saint-Denis visitando la sala operativa della Direzione dipartimentale della sicurezza pubblica e, accompagnato dal direttore generale della polizia nazionale Michel Gaudin, ha partecipato a una riunione di lavoro con il prefetto Jean-François Cordet, il direttore dipartimentale Jacques Méric e il responsabile delle forze d'intervento Christian Lambert. Tutto questo non lascia presagire nulla di buono, soprattutto se si pensa che lo stesso Sarkozy ebbe a dire qualche tempo fa di voler "pulire col Karcher" (una marca di idropulitrici professionali) il rione di Courneuve, un sobborgo difficile e, come se non bastasse, la notte del 25 ottobre (poco prima della morte dei due minorenni) Sarkozy era andato ad Argenteuil e aveva chiamato "plebaglia" i giovani in agitazione. 

A completare il quadro della polveriera europea ormai del tutto saltata, citiamo l'ennesima fuga di massa da un Centro di Permanenza Temporanea italiano: 43 immigrati sono scappati il 2 novembre scorso dal CPT di Caltanissetta. Alcuni sono stati ripresi, ma sembra che molti abbiano fatto perdere le loro tracce.

Nei muri della Fortezza Europa si aprono ogni giorno crepe significative a dimostrazione del fatto che più la repressione si fa cieca e insopportabile, e più la capacità di reazione degli oppressi può farsi incisiva e ingestibile.

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