Umanità Nova, numero 36 del 13 novmbre 2005, Anno 85
Sono bastate tre puntate e quello che pareva essere il casus belli
della televisione italiana si è liquefatto come neve al sole. Ma
sono appunto bastate tre settimane per constatare - ancora una volta -
l'inadeguatezza reiterata di una nomenclatura politica mass-mediatica
palesemente allo sbando.
"Di tutto, di più" - è proprio il caso di dirlo - si è letto, ascoltato, visto e rivisto a proposito del programma/contenitore di Adriano Celentano, "Rockpolitik", quasi che l'audience da record (registrata soprattutto nella puntata con ospite Roberto Benigni) rappresentasse una svolta epocale. Meglio: un ritorno alle origini, quando la televisione pubblica era considerata un servizio al pubblico e non alla pubblicità.
Per molti, poi, è stata un'occasione per riflettere sulla satira e sul potere, raggiungendo - alcuni - vette così alte da osservare (soddisfatti di sé) quanto il potere della satira sia di sinistra, mentre la satira del potere sia di destra. E bravi… e perché non appropriarsi degli aggettivi "rock" e 'lento" per sottolinearne la differenza?
Karl Krauss - che di satira se ne intendeva - ebbe a scrivere che "tra le forme dell'arte, l'operetta è l'unica adeguata all'essenza di tutti gli sviluppi politici, perché essa dà alla stupidità la redenzione dell'inverosimiglianza". L'operetta messa in scena da Celentano ha fatto della propria stupidità (è o non è "il re degli ignoranti"?) l'arma con la quale qualsiasi problema - ed in primis la libertà d'espressione - diventi inverosimile all'interno di un circo mediatico dove il potere della libertà è da sempre coniugato con la libertà del potere dei giornalisti, dei giudici, dei politici... E non è certo bastato il soccorso di Benigni/Voltaire che volendo alzare il livello della riflessione sulla libertà d'opinione ha taciuto però nel riferire quanto "sia pericoloso aver ragione dove le autorità costituite hanno torto".
Purtroppo quest'ultimo pensiero di Voltaire è così poco "rock" da essere considerato per nulla "politik". Forse perché, nella sua disarmante semplicità, è intelligente?
Jules Èlysard