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Umanità Nova, numero 37 del 20 novmbre 2005, Anno 85

Sbirri e canaglia
La rivolta muta delle periferie


Quanto sta accadendo in Francia, a Parigi e in altre grandi città, da ormai due settimane, interroga. Ma per dire un fenomeno, sono necessarie parole, un vocabolario. Solo che pescare le parole per descrivere è già scelta, giudizio. In più, in una vicenda come questa, mancano le parole dei protagonisti di quanto sta accadendo, cioè dei giovani incendiari delle periferie: abbondano, invece, le parole dei politici, dei giornalisti, dei commentatori. I giovani delle periferie non hanno voce, non parlano: bruciano e distruggono. Questo è un punto di partenza ineludibile.

Gli elementi che compongono il quadro sono però nitidi. La metropoli e le sue stratificazioni sociali che si materializzano in stratificazioni urbane: come non è scontata la mobilità sociale, così non lo è quella fisica. Un primo elemento da cogliere è proprio il teatro fisico degli eventi e cosa esso già dica. Le periferie sono spazi estranei rispetto alla città altra, sono terra straniera dove vivono soggetti che non hanno neppure l'identità del popolo straniero che, sebbene altro, ha una sua storia, cultura, territorio. In realtà le periferie evocano oggi molto più l'idea della discarica e della giungla, uno spazio senza legge da contenere con una forza militare di occupazione, la polizia.

Le periferie della discarica hanno l'essere punto di arrivo di un processo economico e sociale, sono luogo di arrivo dello scarto non consumato o che non ha trovato posto altrove. Problematico è il fatto che esse cessino di essere punti di passaggio e diventino luoghi ove si consuma l'intera esistenza di pezzi di società. Proprio in Francia i protagonisti di questi giorni sono francesi figli di immigrati di terza o quarta generazione nonché di famiglie, al di là dell'origine, povere o impoverite. Per sviluppo e struttura, le periferie dove ogni notte brillano i fuochi degli incendi sono stabili luoghi di residenza, non sono il recente prodotto di un'industrializzazione che ha richiamato dalle campagne o dall'estero manodopera a basso costo: non siamo negli anni '50 e '70. Siamo in presenza di periferie strutturali.

La stabilità di queste situazioni urbane dice però di una stabilità sociale e quindi di un'esclusione strutturale. In questi quartieri non si entra ma, soprattutto, non si esce. L'appartenervi non è accidente, ma destino. Non esiste più alcuna scala sociale e le diverse parti della società sono incomunicabili. Ai residenti nelle periferie viene dato un sostegno economico minimo e minimi servizi sociali e di istruzione. E per il resto sono estranei al resto della società che funziona perfettamemte anche senza di loro, nel senso che la loro esistenza è letteralmente indifferente. Siamo anche fuori dalla prospettiva del lavoro precario e dall'idea che una massa di disoccupati e di precari calmieri il costo del lavoro. In realtà il lavoro ha cessato di avere ogni presa, ogni interesse, non solo perché non c'è o è scarso e malpagato, ma perché non serve: non c'è alcuna idea di emancipazione o di creazione di stabilità all'opera. Lo stesso farsi una famiglia ha perso qualsiasi interesse pur se le culture di origine sono fortemente tradizionali: è un tessuto di valori che si è totalmente dilacerato, anche di valori normali e tradizionali. E merita sottolineare come le donne in tutto questo siano quelle che pagano il prezzo personale e sociale più alto, perché ultime in tutto e prime nella fatica quotidiana, sottoposte ancora ad un forte controllo maschile, di padri, mariti e, soprattutto, fratelli.

In realtà gli abitanti delle periferie e soprattutto i più giovani, la gran parte dei minorenni incendiari di queste notti, sono estranei al loro paese di nascita, la Francia, ma pure a quelli delle loro famiglie di origine, paesi in gran parte del Magreb e dell'Africa subsahariana.
Un altro elemento dell'attuale situazione è la durissima repressione poliziesca. Nella terra di nessuno delle periferie, la polizia francese si muove già normalmente come truppe di occupazione in un paese straniero. A fronte delle ultime due settimane, è scattata addirittura l'applicazione delle norme varate nel 1955 per la guerra d'Algeria, compreso il coprifuoco. Lo stato francese è in guerra contro una parte della società ed è veramente ironico che i giovani delle periferie di oggi siano proprio magrebini (e comunque di origine africana) di terza o quarta generazione e ad essi si applichino le norme approvate ai tempi della guerra di liberazione algerina.

Ma la riflessione da fare è che per una parte della società, in quanto estranea, fuori dal consesso civile, si applica un regime giuridico diverso, particolare, legittimando ancora una volta l'eccezionalità che diventa norma: se la guerra permanente è un'operazione di polizia, la repressione poliziesca del conflitto sociale può far uso di leggi di guerra; se un regime giuridico diverso può essere dettato per i migranti  (così come un tempo lo era per gli abitanti delle colonie), ben potrà esserlo anche per quei cittadini che sono stranieri al loro stesso paese.

Lo scontro è quello tra "canaglia" e "sbirro" e su questo piano elementare va letto in questo momento, perché è quello che ci offre, è il modo in cui ci si offre alla vista. Non necessariamente un conflitto di questo tipo ha uno sbocco inteso come superamento. Piuttosto interroga sulla società che nel suo concreto svilupparsi lo ha prodotto e sul suo poter essere paradigma, esempio, stato di eccezione che spiega bene, fin troppo bene, la norma in cui siamo immersi.

Simone Bisacca



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