Umanità Nova, numero 37 del 20 novmbre 2005, Anno 85
Il 25 ottobre, il ministro degli interni francese, Nicolas Sarkozy,
presenta in televisione una nuova serie di misure che danno più
potere alla polizia e rafforzano controlli e sorveglianza (internet,
telecamere...) nel nome della lotta contro il terrorismo. Il giorno
stesso Sarkozy dichiara (per attirare l'attenzione?) di volersi
occupare di quella "gentaglia", definendo in tal modo la
gioventù dei quartieri periferici di Parigi. Giovedì 27
ottobre due giovani muoiono accidentalmente à Clichy sous Bois
(regione parigina) nel tentativo di sfuggire ad un controllo di
polizia. La notte seguente, alcuni giovani del quartiere dove vivevano
Ziad e Berbou si scontrano con la polizia. I ministri scagionano i
poliziotti che inseguivano i due giovani mentre alcune testimonianze
contraddicono le versioni ufficiali. L'indignazione produce nuove
violenze durante le notti seguenti.
In pochi giorni la rivolta interessa diverse città francesi. Centinaia di auto, scuole, commissariati, imprese, trasporti pubblici... sono distrutti dagli incendi. Ci sono scontri con la polizia e centinaia di arresti. La rivolta dura diverse notti e interessa tutte le regioni francesi. Dopo l'undicesima notte di sommossa, il 7 novembre, il governo francese decide che può essere dichiarato il coprifuoco per i dipartimenti francesi: servirà allo scopo una legge del 1955 che era stata emanata dallo Stato per far fronte ai disordini derivanti dalla guerra d'Algeria e che non era stata utilizzata neppure per le rivolte del Maggio 1968. Nonostante ciò la rivolta continua.
Questi accadimenti, unici nella storia francese, hanno origine nella miseria dei quartieri periferici delle grandi città. Costruiti inizialmente per accogliere i francesi che lasciavano l'Algeria indipendente (1963), ma anche le popolazioni rurali che andavano a lavorare nelle città, questi centri man mano diventano luoghi abbandonati dallo Stato. Le costruzioni invecchiano perché non c'è manutenzione, gli abitanti sono cambiati: sono i più poveri ad esserci mandati, in particolare gli immigrati e le loro famiglie. Molto rapidamente in questi quartieri, tutti costruiti lontano dal centro delle città, si concentrano i più precari: cittadini stranieri (in maggioranza africani), disoccupati, lavoratori poveri. Si sommano poi altre difficoltà: ritiro progressivo dei servizi pubblici da quei quartieri, alloggi indecenti, mancanza di strutture socio-culturali, discriminazioni sociali, razziali, spaziali... Le reti religiose tentano di dar forma alle relazioni sociali, prendendo il posto delle organizzazioni operaie organizzate secondo un criterio di classe. Nel frattempo, la polizia di Stato reprime e sorveglia i giovani di questi quartieri, per dissuaderli dall'uscire; progressivamente l'identificazione di questi giovani con il loro quartiere evolve verso una forma di comunitarismo, in cui si miscela la cultura urbana del ghetto, spesso la religione, ma anche la competizione fra quartieri. La violenza delle istituzioni, il crescendo dei discorsi dei politici, la violenza sociale, gli omicidi della polizia, il disprezzo e la diffidenza nei loro confronti: sono le radici della rabbia di tutti questi giovani senza futuro, che vivono in quartieri dove la disoccupazione per i minori di 25 anni può raggiungere anche il 40%.
È ancora troppo presto per sapere se questo movimento
spontaneo avrà effetti sulla società francese. Oggi il
governo prende decisioni che non hanno effetti diretti sulle questioni
concrete: il coprifuoco è un arma di guerra, non di dialogo;
garantire l'esenzione fiscale ai padroni di imprese che vi si
istalleranno non risponde alla disoccupazione dilagante; proporre la
possibilità di lavorare come apprendista dall'età di 14
anni significa instaurare il lavoro minorile!
L'altro problema posto tragicamente da questi eventi è la
legittimità del modello repubblicano: "Egalité,
Liberté, Fraternité". Mentre il sistema economico
capitalista mantiene i figli degli immigrati nella miseria, lo
Stato rafforza i controlli e la repressione. Questa situazione
legittima i discorsi razzisti di Le Pen e di una frangia della
popolazione francese.
La grande difficoltà è adesso fare previsioni su una situazione che non migliorerà. Come formulare progetti collettivi di emancipazione sociale e politica dove i più giovani dei quartieri abbandonati possano creare gli strumenti della loro autonomia e libertà? Come, concretamente, proporre una griglia di lettura anticapitalista e libertaria che sia presa in considerazione e che magari un giorno permetta che dalle rivolte spontanee nasca una rivoluzione? In definitiva, come integrare a partire da adesso le richieste di questi giovani tra le rivendicazioni del movimento sociale e libertario, affinché i coordinamenti di lotta non li ignorino più?
Daniel (militante della FA, Francia, Belgio), traduzione di Daniela Raspollini