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Umanità Nova, numero 37 del 20 novmbre 2005, Anno 85

Il fantasma della libertà
Il gioco delle primarie: recuperare l'astensionismo


La vicenda del ricorso alle primarie che sta caratterizzando questa fase della vita politica dei partiti del centrosinistra ha qualcosa di paradossale. A livello nazionale, la leadership di Prodi non era in discussione, mentre nel ricorso autentico, per così dire, alle primarie, come nel sistema statunitense, esse servono esclusivamente a individuare la leadership per ciascuna formazione in campo. E comunque, la riforma elettorale in extremis ha scompaginato le righe, tanto è vero che anche il centrodestra, tentato dal ricorrervi, ha desistito solo perché inutili a qualsiasi disegno volto a rafforzare o indebolire il leader maximo Silvio B. 

Anche la modalità delle votazioni nelle primarie è paradossale, in quanto tutti possono votare anche in funzione di sabotaggio di questo o quel candidato amico ma concorrente, sino addirittura a poter prefigurare una incursione discorsiva in casa altrui al fine di sovvertire e intorbidire rilievi socio-statistici su cui si preparano le strategie elettorali. È noto infatti come nella patria delle primarie, gli Usa, sono gli elettori di partito a partecipare alla selezione, senza possibilità che un repubblicano si rechi alle urne per votare un democratico e viceversa, cosa possibile nella versione indigena. Il rischio di alterare i risultati è facilmente leggibile, pur se poco confessabile.

È evidente che le primarie servono a qualcosa di diverso da ciò cui sono funzionali nel sistema americano, e da ciò che predispone la selezione di una élite dirigente. Infatti, e lo dimostra la proliferazione nel centrosinistra di primarie su scala decentrata, la posta in palio è un'altra: recuperare credito presso un elettorato deluso, infastidito, scoraggiato, perplesso, che la volta precedente, con la propria astensione più o meno cosciente ha contribuito alla sconfitta dell'Ulivo, come hanno sostenuto i rilievi dei flussi elettorali. 

E per vincere le prossime elezioni, palesemente non basta il traino delle scorse amministrative, perché la memoria elettorale degli elettori è sempre corta, ovvero passerà troppo tempo sino al prossimo aprile perché gli italiani ragionino come hanno ragionato questa primavera.
Basteranno le primarie a recuperare i dissensi astensionistici? Lo slogan della partecipazione decisionale per le primarie rivela le gambe corte: candidati alle primarie che non sono sostenuti dai partiti hanno scarse chance di visibilità, notorietà e vittoria; gli elettori partecipano sempre passivamente con una scelta che, addirittura, nel caso nazionale sarebbe stata ininfluente a meno di non ribaltare la classifica finale (a prescindere cioè dal livello di consensi conseguito); il meccanismo rappresentativo che espropria la fase decisionale resta inalterato. Il recupero si gioca quindi sulla percezione (illusoria) della qualità partecipativa, della capacità mobilitante e automobilitante che freneticamente si lega a ogni tornata elettorale (che pure ha colpito virilmente società civile altrimenti seria e antagonismo spettacolare incline all'integrazione istituzionale), in grado di surrogare mancanza di idee, di progetti, accentuando così una specifica peculiarità nazionale: siamo sempre in campagna elettorale, quindi con livelli emotivi innalzati al massimo che impediscono di leggere la realtà bipartisan del mondo politico odierno in cui destra e sinistra sono aggettivazioni pericolose, stante la continuità di controriforme avviate e concluse alternativamente (e che si prolungherà nella prossima legislatura indipendentemente da chi vincerà).

Del resto, l'importazione di un modello americano può suscitare interesse a breve tempo, surrogando una voglia ideale di impegno fattivo che prima o poi si scontrerà brutalmente con i riti della politica quotidiana, ridotta ormai a vile gioco al massacro. In effetti negli Usa il recupero di fasce consistenti di popolazione astensionista, cosciente o meno, funziona solo su canali di mobilitazione fondamentalista, che esacerba gli istinti più disprezzabili dell'homo politicus, un po' come da noi la Lega (di cui immagino il ceto dirigente più equilibrato della base…) e parte della politica appiattita sui diktat cattolici del Vaticano. Per l'altro, negli Usa come ormai in Italia, lo sconcerto e il disgusto diffuso difficilmente saranno riassorbiti da mere operazioni di maquillage; il sistema si è già attrezzato a compensare carenze di legittimazione e deficit di legittimità con altri sistemi non elettorali, oggi specificamente violenti: la guerra permanente, la paura del terrorismo altrui, il rincretinimento di massa via mediatica, la distrazione spettacolare elevata a strategia sopraffina, l'inabissamento della politica dal punto di vista della discussione pubblica di merito, ecc.

Su tali questioni in cui partecipare attivamente significherebbe mobilitarsi su temi e scadenze reali e concrete, coniugando la propensione astensionista con forme di partecipazione effettivamente decisionali a livello pubblico, dotando di forza l'urto delle collettività in azione, ovviamente il dispositivo delle primarie già nasce disarmante e disarmato, funzionale come è sorreggere ulteriormente uno spettacolo che soffre di consenso persino indotto con iniezioni finanziarie e promesse velleitarie, anche questa bipartisan. Ciò non toglie che la disaffezione alla politica potrebbe essere manipolata come qualunquismo disponibile per avventure liberticide, condotte da spregiudicati imprenditori della politica autoritaria, tanto a destra quanto a sinistra. Proprio per evitare tale deriva autocratica, accentuata dalla personalizzazione politica prodotta dai media e dal sistema elettorale (maggioritario e proporzionale insieme da questa angolazione di lettura), sarebbe importante riflettere su ipotesi di mobilitazione collettiva che scommettano di poter trasformare quel potenziale di dissenso riversato nell'astensione tout court al simulacro dell'istituzione politica in tensione di ribellione consapevole e mirata che, al di fuori dell'integrazione nel sistema, sappia mettere in campo nuove forze da valorizzare come protagoniste di una nuova stagione di conflittualità e progettualità sociale.

Salvo Vaccaro



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