Umanità Nova, numero 38 del 27 novmbre 2005, Anno 85
Il 17 novembre 2005 è stata approvata dal senato in via
definitiva la riforma costituzionale voluta dalla destra. La
costituzione del 2005 sostituisce quella del 1948 approvata
all'indomani della fine della seconda guerra mondiale in un contesto
completamente diverso dall'attuale, cioè dopo il ventennio
fascista, le distruzioni della guerra, gli anni della resistenza. La
vecchia costituzione verrà modificata definitivamente solo nel
caso in cui il referendum che l'opposizione si accinge ad organizzare
ratifichi la modifica. Occorre subito chiarire che tutto è
avvenuto in applicazione dell'art. 138 Cost., cioè dell'articolo
che regolamenta in modo complesso la modifica stessa della
costituzione. Di fatto, il sistema elettorale maggioritario ha fatto
sì che venisse eletto uno schieramento politico con i numeri per
la modifica della costituzione. Curiosamente, dal maggioritario che
aveva permesso l'operazione, si sta ripassando al proporzionale,
nell'interesse dell'attuale maggioranza che, secondo i sondaggi, in tal
modo non diventerebbe troppo minoranza. Con ogni evidenza siamo in
presenza di alchimie legislative che mascherano anche in modo goffo ben
precisi interessi.
La democrazia plebiscitaria che esce dalla riforma della costituzione, con l'elezione diretta del primo ministro, a livello teorico appare l'unico modo per arginare lo strapotere dei partiti e delle varie lobby sempre all'opera in un sistema parlamentare. La degenerazione del parlamentarismo è inscritta nel suo codice genetico e la destra da sempre ne ha fatto un suo cavallo di battaglia, ponendosi storicamente il fascismo come risposta democratica, cioè popolare, ai maneggi della classe dirigente parlamentare e partitica. Il fascismo in Italia e il nazismo in Germania sono due movimenti che conquistano la maggioranza parlamentare mentre le loro squadracce imperversano nelle strade con l'appoggio di esercito e polizia. Contro il disordine nella società e l'inefficacia dell'agire dei parlamenti, ecco che il popolo si affida ad un uomo cui è dato il potere di agire senza mediazioni: dei tre classici poteri liberali (legislativo, esecutivo, giudiziario), quello che ha più affinità con la sovranità è di certo l'esecutivo, il quale è perfettamente in grado di gestire la società a prescindere: tutto si può togliere alla sovranità e al potere, ma non la polizia, cioè il monopolio della violenza che, dopo averlo posto, mantiene il diritto.
Il caso italiano è interessante in quanto in questo paese esiste un personaggio come Berlusconi (faccia di una lobby o gruppo di potere, con ogni evidenza) che è uno degli uomini più ricchi del mondo e che possiede canali nazionali televisivi, giornali e case editrici. La miscela di democrazia plebiscitaria e concentrazione dell'informazione, attuata anche con il controllo politico della TV pubblica, è esiziale, soffocherebbe qualunque società ed ha un sapore sudamericano, populista.
Ma il bello è che l'opposizione, in realtà, non è disturbata più di tanto dalla cosa. Il ridisegno della costituzione del 1948 è stato formalmente avviato proprio dalla commissione parlamentare bicamerale presieduta da D'Alema, dopo il decisionismo craxiano, le picconate di Cossiga, i progetti della P2. Il modello politico dell'Ulivo-Unione-o-come-diavolo-si-chiama è pur sempre quello blairiano di una classe politica, anzi, di un uomo, che sa quel che vuole e che è investito popolarmente per fare quel che ha detto che avrebbe fatto.
Ma dato che non è più tempo di welfare e di solidarietà, l'uomo deve solo permettere alla società di svilupparsi liberamente, eliminando gli ostacoli al libero dispiegarsi della creatività imprenditoriale, benefica per tutta la società. In questa visione, l'impresa deve far profitti perché solo così l'intera società si arricchisce. Le sfere di potere operanti nella società, quella politica, quella economica, agiscono autonomamente conseguendo i propri fini. Dalla loro autonomia viene la salute della società. Politico ed economico si usano a vicenda a seconda dei bisogni del momento.
Chiaro che la concentrazione nell'esecutivo della maggior parte del potere piaccia, eccome, alla sinistra italiana, perché la loro visione della società è omogenea a quella della destra. Del resto, il gioco dell'alternativa funziona proprio quando tra i ceti dominanti in concorrenza c'è questa omogeneità che fa sì che il detentore momentaneo del potere non faccia fuori l'avversario. Ciò che distingue i due schieramenti è il modo in cui dicono e portano a termine gli stessi obiettivi: la sinistra in modo più pervasivo, la destra senza tanti complimenti. Di comune vi è il rispetto per il capitale e la sua funzione nella società, la centralità dell'impresa come motore dello sviluppo, l'idea stessa dello sviluppo come asservimento dell'ambiente, inteso come vita.
Anche il passaggio da uno stato centralista ad uno federale va letto alla luce dell'omogeneità di prassi tra le classi dirigenti. In realtà, che le regioni diventino il perno della repubblica a venire sta bene a tutti. La sinistra governa con continuità alcune regioni del centroitalia e oggi la stragrande maggioranza delle regioni: il potere locale è oggi nelle mani della sinistra. Di fatto, spostando il centro decisionale di prelievo e spesa a livello locale si è solo redistribuito il potere tra i diversi livelli dei partito: è meglio essere presidente di una regione o ministro, oggi e ancor più domani? Si badi bene che, ca va sans dire, la riforma costituzionale prevede l'istituzione di una polizia regionale… Il potere si ridistribuisce solo territorialmente, ma resta lo stesso.
Meriterebbe un discorso articolato il confronto tra i modelli decisionisti della destra e i retaggi lenino-stalinisti della sinistra: i pochi decidono comunque per i molti e hanno abbastanza forza per eseguire quanto hanno (ha) deciso.
Giacché la cronaca ci offre un esempio, usiamolo. Su Il Manifesto del 18.11.05, pag. 8, è comparsa un'intervista al Governatore della Regione Piemonte, la DS, già PCI, Mercedes Bresso. Invito tutti a leggere per intero l'intervista perché sembra uscita da un manuale del perfetto disinformatore stalinista. Il succo, comunque, è questo: "Comunque l'opera [la TAV] si farà, non spetta agli abitanti della val Susa decidere, tocca a chi ha responsabilità politiche più alte. E questo è quanto."
Banalmente, grazie a Mercedes Bresso possiamo dire che la riforma costituzionale della destra trova concorde la sinistra che, se vincerà il referendum previsto a questo punto dalla costituzione, migliorerà la legge di riforma costituzionale, ma non tornerà al passato; e se proprio dovesse perdere il referendum, quel che la destra le consegna, tanto male non va. Nella TAV sono coinvolte cooperative rosse e aziende vicine al Ministro Lunardi: sugli affari ed il potere l'accordo è bipartisan. Qualche anima bella ancora si stupisce? Son tempi che gli anarchici non debbon fare propaganda all'ideale: ci pensan già i quotidiani ed i politici di ogni colore…
Simone Bisacca