Umanità Nova, numero 38 del 27 novmbre 2005, Anno 85
Grandissima manifestazione popolare. Chi dice 70.000, chi arriva ad azzardare centomila.
Lo sciopero generale contro il Tav del 16 novembre ha bloccato interamente la Valle: solo i treni passavano e, rallentando al massimo nei punti in cui la ferrovia corre parallela e vicina alla strada, i macchinisti fischiavano a lungo mentre dai finestrini i passeggeri salutavano a pugno chiuso e sventolando bandiere No-Tav. Tutte le fabbriche della valle (5.000 addetti), tutti gli esercizi commerciali, compresi bar e distributori, tutte le scuole, uffici postali, banche, officine artigiane, allevamenti, erano chiusi. Sulle porte dei negozi bandiere e cartelli No-Tav e la scritta: "Per una valle viva, oggi sciopero: No Tav".
Il divieto imposto dalla Commissione di garanzia che aveva intimato alla CUB di revocare lo sciopero è stato ignorato dai valligiani che hanno scioperato sia nel privato dove non esistono limitazioni sia nel pubblico, dove le leggi antisciopero vengono usate come una clava per reprimere i movimenti sociali. La decisione della CUB di ignorare la richiesta di revoca dello sciopero ha incontrato ampia solidarietà.
Anche nei confronti dei vigili del fuoco, la cui adesione alla giornata di lotta è stata all'insegna del rifiuto della militarizzazione del corpo, non sono mancate le provocazioni. La questura ha infatti richiesto il loro intervento per liberare da chiodi la strada che conduce al Seghino, il sito ove era stata portata nottetempo una trivella per i sondaggi. I vigili hanno seccamente rifiutato dichiarando che la gestione dell'ordine pubblico non rientra tra le loro competenze che sono di soccorso alla popolazione. Sono sfilati per la Valle con uno striscione nero con la scritta "Al servizio di tutti… servi di nessuno. No alla militarizzazione dei vigili del fuoco".
Lungo le strade della Valle i cartelli, gli striscioni, le bandiere erano dappertutto. Significativa la volontà di respingere al mittente le provocazioni di Pisanu e di Lunardi. Numerosi i cartelli ironici in cui si stigmatizzava la frase del ministro sui "pelandroni" della Val Susa che perdono tempo a manifestare e quelli contro il tentativo di criminalizzare la lotta in Valle.
Non sono mancati i politici di professione venuti alla marcia a caccia di consensi ma la loro presenza non era che un elemento di contorno in una giornata i cui grandi protagonisti sono stati i valligiani e le tante persone solidali accorse soprattutto dalla provincia e dal resto del Piemonte.
Ferma e chiara l'opposizione ad un progetto di morte e la resistenza contro uno Stato che non solo ignora la volontà popolare ma arriva brandendo manganelli, esibendo scudi, caschi e fucili sparalacrimogeni. Non si contavano gli striscioni contro l'occupazione militare della valle, contro l'imposizione violenta della trivella a Seghino di Mompantero entrata provocatoriamente in funzione il giorno prima dello sciopero generale.
Andata letteralmente a ruba la lettera aperta al Presidente della Comunità montana Bassa Val Susa, Antonio Ferrentino, da noi diffusa in migliaia di copie alla manifestazione. Nella lettera veniva denunciata l'esplicita criminalizzazione degli anarchici da parte di Ferrentino che, in un'intervista al quotidiano "La Stampa", aveva insinuato che dietro al pacco contenente esplosivo fatto rinvenire sulla statale del Moncenisio e i proiettili inviati alla governatore Mercedes Bresso, non ci potessero essere che gli anarchici, gli stessi che si erano permessi di criticare pubblicamente le scelte di chi, come lui, si è prodigato nella ricerca di improbabili scorciatoie istituzionali. Di fatto la criminalizzazione degli anarchici è il preludio al tentativo di criminalizzare la resistenza della popolazione al TAV. Non a caso Ferrentino ha provato a contrapporre lo sciopero alla pratica dei blocchi dei cantieri, delle strade e della ferrovia. In questo modo ha, nei fatti, condannato le pratiche che hanno consentito sinora di tenere fuori dalla valle il TAV.
Il gioco di Ferrentino e di chi come lui ha tentato di gettare ombre sulla lotta contro il Tav, è sinora fallito. Nonostante l'allarmismo dei giornali e dei politici, allarmismo che ha giustificato l'imponente dispiegamento di tutori del disordine statale, lo spezzone di corteo in cui sono sfilati gli anarchici con i loro striscioni e bandiere è stato accolto con la consueta simpatia sia alla partenza della marcia da Bussoleno sia all'arrivo a Susa.
La giornata del 16 novembre ha sicuramente rappresentato una tappa importante nella lotta contro il TAV, quella nella quale i valsusini hanno detto chiaro e forte che non vogliono che la valle divenga un corridoio per treni superveloci che collegano periferie anonime attraversando un deserto.
Ma una tappa è una tappa non è ancora l'intero viaggio. La meta è ancora lontana.
I media stanno facendo a gara per delegittimare la lotta dei Valsusini: si va dai sondaggi-truffa proposti da Repubblica, organo informale dei DS, alle dichiarazioni di politici ed "esperti" di vario genere, che mirano a definire minoritaria ed "ideologica" l'opposizione degli abitanti della Valsusa, ignorando deliberatamente gli studi di vari docenti del Politecnico rimasti lettera morta e quelli eseguiti dai medici della zona, che confermano l'indubbia pericolosità dell'opera sia sotto il profilo ambientale che per la salute pubblica.
Unica voce fuori dal coro quella de "Il Sole 24 ore" che, tralasciando considerazioni di carattere tecnico ambientale, si concentra sul rapporto tra i costi (previsti per difetto) ed i ricavi (calcolati invece per eccesso) e arriva alla conclusione che il TAV converrà solo a chi lo costruirà, poiché il volume delle merci che è prevedibile verranno trasportate sarà di gran lunga inferiore alla linea ad alta capacità sommata a quella tradizionale che verrà comunque potenziata, vista la durata ultraventennale dei lavori necessari al completamento del progetto.
Una conferma di fatti sin troppo noti: le grandi opere sono in primo luogo un grande collettore di soldi pubblici per interessi privati: il sistema del "mangia, mangia", rimesso in piedi dopo che tangentopoli aveva messo a soqquadro equilibri consolidati da anni, ha trovato degna collocazione in questi progetti che il governo ha provveduto a "liberare" da lacci e lacciuoli di tipo legislativo, come le procedure di valutazione di impatto ambientale.
In regione i politici di ogni colore sono nettamente schierati per il TAV e l'hanno pubblicamente ribadito in questi giorni.
In un'intervista rilasciata al "Manifesto" la presidente della Regione Bresso ha dichiarato con la consueta arroganza che "non tocca agli abitanti della Val Susa metterlo (il Tav) in discussione. L'Unione Europea, lo stato italiano, lo stato francese, la regione Piemonte la pensano diversamente. (…) Se hanno deciso loro che l'opera è inutile, mi spiace ma tocca ad altri decidere. Mettiamo pure che abbiamo torto (il corsivo è nostro), comunque tocca a chi risponde a territori più vasti, ad esigenze economiche più vaste prendere decisioni." Più chiaro di così.
Dall'incontro del 14 novembre tra Bresso, il presidente della Provincia Saitta, il sindaco di Torino Chiamparino e Ferrentino è emerso in modo chiaro che l'unica preoccupazione degli amministratori piemontesi è arrivare alle Olimpiadi di febbraio ed alle elezioni di aprile senza conflitti in corso. In questi giorni cercheranno di inventare un compromesso che consenta di dilazionare nel tempo la questione TAV per rendere meno aspro lo scontro con la gente della Val Susa. Naturalmente Lunardi e la sua cricca, come già è avvenuto nell'ultimo mese, potrebbero decidere di scompaginare ancora una volta le carte, tentando un'ulteriore azione di forza.
Questi i giochi della politica. Fuori, in valle come a Torino, spetta alla gente tenere saldamente in mano quello che hanno conquistato con la loro lotta: la facoltà di decidere da se del proprio destino, affrontando, se necessario, la repressione dello Stato.
Il prossimo banco di prova potrebbe essere molto presto. Il 30 novembre è previsto un nuovo tentativo di CMC, la ditta che guida la cordata che ha vinto l'appalto, di prendere possesso dei terreni di Venaus per far partire i lavori della galleria di ispezione. Nelle lettere inviate ai proprietari da CMC è dichiarata l'intenzione di andare avanti ad oltranza finché non avranno preso possesso dei terreni. Chi si oppone è avvertito che la parola passerà alla polizia. In valle è chiaro a tutti che non saranno certo le mediazioni politiche ad arrestarli. A questo punto solo con il blocco ad oltranza di Venaus e degli accessi alla Valle c'è una chance di spuntarla. L'azione diretta popolare e di massa può fermare il treno della morte.
Maria Matteo