Umanità Nova, numero 39 del 4 dicembre 2005, Anno 85
La manifestazione nazionale antirazzista del 3 dicembre a Roma è
certamente una tappa importante della vasta e poliedrica lotta che in
tutto il paese è cresciuta negli ultimi anni sui temi
dell'antirazzismo, della libertà di circolazione e dei diritti
sociali per tutte e per tutti.
L'eterogeneità del movimento antirazzista ha permesso che diverse istanze, sensibilità e modi di intendere la lotta siano confluiti in un fronte comune di rivendicazioni i cui denominatori comuni sono costituiti dalla richiesta di abolizione delle leggi razziste (Turco-Napolitano e Bossi-Fini), di chiusura dei Centri di Permanenza Temporanea e di scardinamento del meccanismo che lega permesso di soggiorno a contratto di lavoro.
La lotta antirazzista è probabilmente uno dei terreni di conflitto più ardui perché si riferisce alla struttura stessa del sistema-Europa che si fonda su una logica di scientifica riduzione in schiavitù degli immigrati. Mettere in discussione le frontiere della Fortezza Europa significa colpire l'essenza stessa della cosiddetta integrazione europea basata sulla libera circolazione di merci e capitali, sull'asservimento della manodopera migrante, e sulla divaricazione galoppante fra la maggioranza delle persone che sono sfruttate (o che non hanno potere), e una ristretta élite economica e politica che dall'alto gestisce le risorse, le produzioni, la politica finanziaria e monetaria.
Gli anarchici sanno bene che i concetti di frontiera e di statualità non sono stati scalfiti minimamente dalla globalizzazione neoliberista: recinti, filo spinato, polizia, deportazioni ed espulsioni sono tutte parole che non sono mai uscite dal vocabolario di chi attraverso gli stati esercita il proprio potere sulle nostre vite.
La strutturalità della lotta antirazzista spiega anche molte delle ambiguità in cui annaspa la classe politica italiana, a destra come a sinistra, nell'affrontare il tema dell'immigrazione: tutti d'accordo nel dichiarare ipocritamente che gli immigrati sono una risorsa per il paese, e tutti altrettanto d'accordo nel ribadire che la clandestinità non può essere tollerata.
Rivendicare, dunque, libertà di movimento per tutte e per tutti al di là di ogni frontiera significa mettere in seria difficoltà chiunque agisca in vista della gestione della cosa pubblica.
Chiusura dei CPT e liberazione sociale sono obiettivi antitetici agli interessi dello Stato e del Capitale. Sulla libertà intesa come piena possibilità di espressione delle capacità e delle risorse degli individui e delle comunità, non può esserci mediazione.
Risulta molto difficile comprendere l'ostinazione con cui alcuni settori del movimento antirazzista ripropongono immancabilmente la richiesta del diritto di voto agli immigrati quando il quadro generale in cui tutti ci muoviamo è scandito dalla negazione da parte delle istituzioni delle nostre stesse esistenze. Come lavoratori precari senza garanzie o come immigrati privi di permesso di soggiorno, siamo tutti vittime di una clandestinizzazione permanente imposta dall'alto. Proporre ai migranti la possibilità di eleggere essi stessi i loro carcerieri assomiglia alla reiterazione di una beffa alla quale gli stessi italiani sono chiamati a partecipare ogni quattro o cinque anni.
Allo stesso modo risulta incomprensibile la richiesta di amnistia per i reati connessi alle lotte sociali in un momento in cui la repressione delle lotte e la criminalizzazione del dissenso hanno svelato il vero volto della democrazia: dietro una maschera garantista e liberale, lo stato democratico si è ormai palesato in tutta la sua brutale ferocia.
Se i movimenti sociali sono per definizione degli aggregati collettivi che mirano al cambiamento più o meno radicale dello status quo attraverso una pressione diretta e non mediata, come si può chiedere, in un momento di alto conflitto sociale, una carezza alla stessa mano che ti bastona?
Lottare per la libertà significa andare fino in fondo. Non ci sono ricette precostituite, ma ciò che dovrebbe essere chiara è la prospettiva verso la quale si tende.
La storia dimostra come l'autorganizzazione, l'azione diretta,
l'autogestione come metodo e come fine delle lotte sociali siano tutti
ingredienti fondamentali per la realizzazione di un cambiamento vero.
Talmente vero da impaurire chiunque voglia accaparrarsi fette di potere
e di rappresentanza sfruttando i bisogni e i desideri di chi lotta.
Non è un'utopia ma una necessità concreta: pretendere
libertà per tutte e tutti è necessario tanto quanto il
pretendere la distruzione di una società gerarchica, infestata
da frontiere e confini fisici e culturali. L'internazionalismo è
il linguaggio della libertà perché scardina le
discriminazioni sulle quali si fonda la violenza del Potere.
Lottare al fianco dei migranti è lottare per noi stessi poiché è nel riconoscimento dell'altrui libertà che troviamo la piena conferma e la piena realizzazione della nostra libertà.
Continueremo a costruire giorno per giorno il mondo che vogliamo, rivendicando pienamente l'agibilità politica e la legittimità etica del nostro pensiero e delle nostre azioni senza invocare il perdono dei padroni.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria