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Umanità Nova, numero 39 del 4 dicembre 2005, Anno 85

Le doppiette di Ratzinger & C.
Caccia grossa


È innegabile che la Chiesa cattolica sia una grande istituzione. Ed è altrettanto innegabile che anch'essa, come le altre istituzioni, presenti qualche parvenza di luce (forse) e un'infinità di ombre, sintomi evidenti della sua intrinseca e immorale pericolosità. Tutto ciò comunque non significa che siano proprio le nefandezze più evidenti e conclamate, le più subdole e dannose da un punto di vista sociale. Anzi!

Infatti, quando si parla di questa istituzione, ciò che più preoccupa e allarma gli spiriti liberi e gelosi della loro libertà, non sono tanto le ingiustificabili porcherie di cui ogni tanto si viene a conoscenza (spesso spiegabili alla luce della sua grande complessità), quanto, piuttosto, la sua capacità di condizionare, e quindi controllare, le coscienze, i comportamenti e le opinioni di una grande massa di "fedeli". Capacità che ne fa una vera e propria macchina da guerra rivolta ad annichilire, una volta partita, tutto ciò che le si oppone. Come si sta verificando oggi, con la poderosa offensiva scatenata per ricondurre all'ovile del verbo cristiano una società ancora intrisa di valori fondanti laici e pluralisti.

Quando leggiamo, tanto per non fare esempi, che un feroce criminale di guerra croato si nasconde, protetto dalla più impenetrabile omertà, in un convento francescano della Croazia, oppure che in Brasile, come negli Usa, prospera la genia dei preti pedofili ed esibizionisti, o quando ripensiamo al genocidio in Ruanda ispirato dal clero cattolico, o rammentiamo la criminale sintonia fra le gerarchie ecclesiastiche e le sanguinarie milizie ustascia nella guerra e il comportamento "tollerante", se non complice del papato nei confronti della politica antisemita dei nazisti, non possiamo limitarci alla ovvia riprovazione di queste infamie, ma dobbiamo cercare, piuttosto, di fare un passo oltre. Se questi fatti sono moralmente disgustosi, non sono però loro il portato più pericoloso di quella istituzione gerarchica e autoritaria, perchè il mondo è pieno di simili porcherie, né queste sono esclusiva di questa o quella struttura di potere. La pericolosità vera della Chiesa, piuttosto, sta nella sua stessa essenza, ossia nella sua pretesa universalista che vorrebbe ricondurre all'unità del dettato cristiano tutta la complessità delle società odierne.

Siamo stati facili profeti nel prevedere che, conclusa la fase macchiettista del papa polacco, con quello tedesco ci saremmo dovuti misurare su terreni ben più pregnanti. Esaurito infatti il ruolo di Wojtila, che fu soprattutto quello di offrire un'immagine accattivante, "moderna" e affatto ieratica del papato, e quindi accessibile a chiunque, oggi, grazie anche a questa ritrovata credibilità, Ratzinger rimette in campo le sue divisioni (che sono tante, a dispetto dell'infelice sarcasmo di Stalin) per restituire alla sua chiesa la tradizionale e secolare capacità di controllo sulla società. Quel controllo che si era incrinato dopo e grazie ai sussulti libertari di qualche decennio orsono, sussulti che, pur con i loro limiti, avevano comunque scalfito la soffocante e opprimente moralità clericale.

Ed è una battuta di caccia a tutto campo, quella che stanno giocando Ratzinger e i suoi uomini, guidati dal fine olfatto del cardinale Ruini. Una battuta di caccia che intende stanare, una a una, tutte le prede, dalle più ambite a quelle apparentemente più insignificanti - dalla condanna dell'aborto, ad esempio, a come devono vestire i preti - ma tutte ugualmente necessarie per rimpolpare il carniere vaticano e per tornare a imbandirne le tavole in sontuosi banchetti di rinascimentale memoria. Sarebbe inutile, qui, elencare le varietà di cacciagione a cui sta mirando il prete, perché non passa giorno, ormai, che non salti fuori un nuovo obiettivo a cui sparare: è solo di ieri il perentorio "invito", se così possiamo chiamarlo, agli scienziati, perché "la scienza si apra a Dio e si coniughino fede e ragione". Una cosa talmente assurda, da un punto di vista scientifico e razionale, da sembrare addirittura una provocazione, se non ne conoscessimo la provenienza. E infatti non è per nulla una provocazione, poiché anch'essa va ad inserirsi coerentemente in quella strategia di controllo del territorio di cui stiamo parlando. Strategia che, come si paventa (o si auspica) da più parti, vuole portare anche il dettato costituzionale nell'ambito dei valori, dei principi, della morale e dell'etica cristiana. Insomma, una Chiesa decisamente stanca di vedersi assediata dal relativismo culturale e dalla "invasione" di altre confessioni nei territori storicamente suoi, e che quindi non solo si propone di contrastare, ma addirittura di ribaltare, in una sorta di "reconquista", una tendenza evidentemente non irreversibile per i prelati d'oltretevere.

E fin qui, in un certo senso, niente di male, o meglio: tutto di male ma anche tutto nella normalità. La Chiesa fa il suo gioco di sempre, anche se con rinnovato vigore e famelica aggressività, quello che rientra nella normale dialettica che vede confrontarsi uno Stato necessariamente "imparziale" in virtù del contratto sociale che lo legittima rispetto a tutti i suoi cittadini, e un corpus religioso che vuole affermare i suoi valori spirituali e trascendentali. Insomma, il gioco delle parti che, nonostante non poche inevitabili e solenni sbavature, aveva segnato il rapporto fra Stato e Chiesa, fra laicismo e clericalismo, anche nella più buia epoca democristiana.

Ma oggi, e non è solo opinione nostra, le cose stanno cambiando. E non perché la Chiesa usi strumenti più sporchi o sleali che in passato (sarebbe difficile riuscirci!) ma perché la sua controparte, in quasi tutte le sue componenti, tende sempre più annullarsi nella opportunistica ricerca del consenso dell'elettorato cattolico. Un elettorato che, nonostante la progressiva secolarizzazione della società, costituisce ancora uno zoccolo duro in grado di premiare qualsiasi schieramento decidesse di appoggiare. E così assistiamo, a volte persino divertiti, al vergognoso e parossistico calare di brache del politico di turno di fronte al semplice svolazzare di una cristiana sottana. Più volte, da queste colonne, si è stigmatizzato questo indecente comportamento; non sarà necessario, quindi, anche per carità di patria, insistervi più di tanto.

Piuttosto è meglio interrogarsi su come contrastare questa deriva bigotta e codina. E su come riaffermare, anche a dispetto di chi vorrebbe relegarlo a cascame ottocentesco, un anticlericalismo capace di incidere razionalmente sulle coscienze, riportando nel tessuto sociale la consapevolezza di quanto sia dannosa per la libertà di tutti, la pretesa del prete di uniformare alle sue credenze le nostre vite. Poiché vediamo che proprio coloro che dovrebbero difendere la laicità delle istituzioni, nascondono il loro opportunismo dietro la volontà di non "erigere vecchi steccati", come al solito conteremo soprattutto sulle nostre forze, senza delegarci a chicchessia, ma cercando, come sempre abbiamo fatto, di contagiare la società con la nostra insopprimibile voglia di libertà.

Massimo Ortalli





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