Umanità Nova, numero 39 del 4 dicembre 2005, Anno 85
Gli occhi degli uomini ignari non sanno guardare
(Mirza Bedil, secolo XVII)
In un recente articolo su queste pagine (si veda UN del 25 settembre
u.s.), sulla base dei dati ufficiali a disposizione, ma comunque
attendibili, è stato smentito certo trionfalismo attorno ad una
presunta diminuzione della produzione di oppio in Afghanistan; al
contrario, i profitti derivanti da tale coltivazione e raffinazione
definiscono ancora il vero potere politico nel paese e, per diffusa
opinione tra gli stessi afgani, senza il volere dei signori del
narcotraffico e della guerra non ci sarebbero state le tante esaltate
elezioni democratiche in Afghanistan dello scorso 18 settembre.
Lo stesso Comitato internazionale per il controllo dei narcotici, smentendo l'Ufficio dell'ONU su droga e crimine, ha dovuto ammettere che in Afghanistan "la produzione di droghe illegali e le attività ad essa correlate hanno raggiunto un livello record nel 2004", con l'evidente avallo delle forze d'occupazione Usa e Nato.
L'Afghanistan rimane infatti il più importante produttore mondiale di oppio, seguito a molta distanza dal Myanmar, ossia la Birmania del "triangolo d'oro".
Dall'invasione russa nel 1979, l'oppio rappresenta il settore chiave dell'economia afgana, corrispondendo ad oltre il 60% del Prodotto Interno Lordo.
Dall'oppio, come è noto, si ricavano l'eroina e la morfina; circa l'80% dell'eroina presente sul mercato mondiale sarebbe di provenienza afgana; altre fonti ritengono l'Afganistan il fornitore dell'87% di oppio e derivati a livello mondiale.
Infatti il 90% dell'eroina lavorata in territorio afgano, seguendo la "rotta del nord", attraversa Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Russia e stati europei.
Prima della caduta del regime talebano, l'industria di raffinazione dell'oppio ammontava al 20% del totale, oggi raggiunge l'80%.
È stato già ampiamente rilevato che qualsiasi tentativo di ridurre la produzione di oppiacei non solo si scontra con larghi interessi economici che vedono coinvolti clan tribali, settori governativi e reti internazionali del capitale illegale, ma trova forti resistenze anche in quei settori di popolazione che traggono sostentamento da tale coltivazione. Ai circa 2,3 milioni di contadini che coltivano papavero, questo garantisce guadagni 10 volte superiori alle tradizionali coltivazioni di cereali; l'oppio rende 5-6 mila dollari all'anno, il grano meno di 200. Inoltre le stesse caratteristiche climatiche e del terreno, assai sabbioso e pietroso, rendono assai problematica e rischiosa la coltivazione del grano; per non parlare delle mine che continuano ad infestare vaste porzioni di territorio.
Ma a queste ragioni se ne somma un'altra, non meno fondata. Come denunciato sul numero di ottobre della rivista "Narcomafie", "una recente legge del governo Karzai, caldamente voluta dal governo Bush e dalla FAO, ha imposto l'utilizzo di semi geneticamente modificati, comprati dalla Monsanto, multinazionale statunitense specializzata nel settore delle biotecnologie".
Così, come sta avvenendo anche in Iraq, assieme alla democrazia stanno arrivando anche gli OGM e la "guerra alla droga" trova potenti sponsor, in grado di "favorire" l'introduzione dei propri prodotti attraverso l'irrorazione aerea sulle aree coltivate a papavero di pesticidi (ed in particolare il "roundup, nome commerciale dell'erbicida glifosato brevettato dalla stessa Monsanto), l'impiego delle ruspe dell'esercito governativo e le incursioni armate dei contractor Usa incaricati della "eradicazione" (si veda "Il Manifesto" del 28 aprile).
Un vero conflitto d'interessi.
U. F.