Umanità Nova, numero 39 del 4 dicembre 2005, Anno 85
C'è un fronte di guerra, di questa guerra strana che si gioca su
più terreni e con alleanze variabili ma che coinvolge già
la maggior parte dei paesi del mondo, del quale si parla solo in
occasione di eventi clamorosi - come l'arresto e la condanna del
petroliere Mikhajl Khodorkovskij - e che invece è centrale per
gli equilibri del potere mondiale. Si tratta del fronte interno russo,
dove per interno intendiamo l'immenso territorio appartenente alla
Federazione Russa - e la immense ricchezze che nasconde nel sottosuolo
- escludendone il Caucaso, zona di guerra guerreggiata il cui
territorio non è controllato realmente dai russi stessi. Non a
caso gli analisti di Mosca e di San Pietroburgo quando devono riferirsi
a questo "buco nero" utilizzano il termine "Estero Interno". Qualcosa
vorrà pur dire...
La guerra che si svolge nelle stanze del potere e nel campo dell'economia russa, però, non è meno importante e meno dotata di interesse di quella caucasica e dello stesso conflitto mediorientale e centroasiatico. La posta in palio è il forziere del pianeta: un territorio ricco di gas, petrolio, ferro, nikel, manganese, cobalto, rame e, soprattutto poco sfruttato nei decenni del potere sovietico. Americani e cinesi si contendono da ormai quindici anni il controllo di questi minerali e la prima guerra cino-americana può ben dirsi quella che si sta combattendo sul territorio russo. L'oligarchia sovietica guidata dal Presidente Putin, in questo disastrato contesto, sta cercando di recuperare terreno sul proprio territorio appoggiandosi malvolentieri ai cinesi la cui colonizzazione della Siberia e dell'Estremo Oriente russo viene vista come il male minore di fronte all'invadente colonialismo americano che, dopo essersi impiantato in Georgia, Afganistan, Polonia e nelle Repubbliche Baltiche, ha avviato una strategia tendente a mettere sotto controllo l'Asia centrale già sovietica, il Caucaso e l'Ucraina, cercando (per dirla con le parole di Brezinski, consigliere della sicurezza sotto Carter e apprezzato geopolitico) di impedire per sempre che la Russia possa avere un peso politico di un qualche rilievo in Europa come in Asia.
La prima strategia americana, fallita sostanzialmente alla fine dell'"Era Clinton" quando l'oligarchia russa elesse Putin Presidente e avviò l'epurazione dei settori più smaccatamente filoamericani dell'estabilishment, consisteva nel controllare direttamente l'amministrazione russa e di promuovere la costituzione di un blocco dominante costituito da ex burocrati del PCUS, finanzieri legati ai mercati americani e industriali a capo di industrie decotte bisognose per sopravvivere del generoso aiuto dei politici. Sostanzialmente il blocco dominante che controlla tutti i paesi "alleati" di Washington, Italia per prima e con la parziale eccezione della Germania e del Giappone, non a caso i due centri occidentali più controllati da Washington. Per realizzare tale strategia gli USA potevano contare sull'amministrazione dell'alcolizzato El'cin e sulla costituzione di un capitalismo mafioso che necessitava dell'appoggio della finanza americana per investire "onestamente" il frutto delle proprie rapine e per essere ricevuto all'interno del salotto buono della finanza mondiale. La grande rapina degli anni Novanta, quando le ricchezze della Russia furono utilizzate per arricchire i pochi boss mafiosi graditi a Mosca e a Washington, con privatizzazioni mirate e con il drastico trasferimento di risorse verso la rendita finanziaria e verso i forzieri della finanza americana, fu il momento d'oro di tale strategia, il cui costo sociale è stato spaventoso.
Non solo la Russia è un paese dove il 68% degli abitanti vive in povertà, ma è soprattutto un paese vecchio, dove i pensionati fanno sempre più la fame, dove il numero degli abitanti - oggi 130 milioni - è destinato a scendere sotto i 70 milioni in vent'anni, dove l'alcolismo è tornato ad essere una piaga sociale e dove la piramide sociale è spaventosamente sbilanciata verso l'alto. Questo quadro è quello di un paese in decadenza, a un tale livello da avere allarmato una parte consistente dell'oligarchia che lo governa. Anche perché, mentre gli USA colonizzavano l'economia russa, i cinesi, contando anche sul proprio potenziale demografico avviavano una vera e propria colonizzazione fisica dei suoi territori più ricchi: la Jacuzia, il territorio dei Buriati, Vladivostok e l'Estremo oriente, le stesse province degli Urali sono abitate in percentuale da sempre più cinesi (e coreani e vietnamiti con loro) e da sempre meno russi che fuggono verso la parte europea del paese. In aggiunta i russi si resero conto che gli "amici americani" praticavano lo sport del carciofo, strappandogli a una a una le foglie del vecchio impero sovietico: i paesi del Patto di Varsavia prima e i Paesi Baltici poi entrarono nella NATO ne corso degli anni Novanta, la compagnia petrolifera Chevron, sotto la guida del Consigliere Condoleeza Rice, finanziava apertamente i guerriglieri wahabiti del Caucaso, l'Azerbaigian e i paesi dell'Asia Centrale aprivano rapporti privilegiati con Washington e ne accettavano finanziamenti e aiuti militari il cui scopo era quello di isolare la regione gas-petrolifera del Caspio dalla Russia e rendere inutile quest'ultima come territorio per il trasporto verso l'Europa di tali prodotti. In ultimo in Siberia gli americani agivano per favorire il distacco delle repubbliche autonome della zona.
Un quadro nero per i dominanti della Russia che hanno reagito in tre direzioni: sotto la guida di Putin hanno inaugurato una stagione di rinnovato autoritarismo che ha ridotto a zero le autonomie locali delle repubbliche e dei territori per evitare che i signorotti locali flirtassero con gli USA e con le loro non troppo velate proposte di secessione; sul piano internazionale hanno stretto legami forti con l'Iran sul terreno delle forniture nucleari, si sono avvicinati alla Cina della quale hanno riconosciuto la leadership strategica e grazie alla quale sono riusciti a rientrare nel gioco in Asia Centrale grazie alla copertura del "Gruppo di Shangai", e sul piano interno hanno avviato la decapitazione politica ed economica di quella parte di loro pienamente interna al progetto di dominio statunitense. Il petroliere Khodorkovskji è stato il primo a subire i risultati di questa virata nella politica russa, beccandosi otto anni di galera per evasione fiscale e spedito in una colonia penale ai confini della Mongolia. La sua società, la Yukos, è stata assorbita da Gazprom, società pubblica guidata da una nuova generazione di oligarchi fedeli a Putin e antioccidentali. Ora sembra tocchi al colosso Norilskji Nikel che possiede il 20% del nikel e il 10% del cobalto mondiali. La società è controllata da Vladimir Potanin che, memore di quanto accaduto a Khodorkovskji, sembra più che propenso a cedere allo stato la società in cambio di un certo gruzzolo di miliardi. D'altra parte questo è quanto accaduto pochi mesi fa ala società del gas del miliardario Abramovic, venduta per 13 miliardi di dollari al monopolista pubblico Gazprom. Del resto le nazionalizzazioni date per scontate da qui al 2008, fine del secondo mandato di Putin saranno molte e la compagnie regionali, ora controllate dallo stato centrale, saranno le protagoniste di queste. Lo scopo è quello di creare holding a controllo statale capaci di stare sul livello internazionale e di mettere fine alla svendita a senso unico delle ricchezze della Russia. Attorno a questo progetto una nuova classe di oligarchi pubblici si sta costruendo e sta definendo le sue priorità tanto in campo interno che internazionale. Le difficoltà per questa classe di dominanti in ascesa nasce, però, dalle sue divisioni interne sui metodi da utilizzare per ottenere questi obiettivi: il partito guidato dal numero due di Putin, Igor Secin, propende per metodi spicci e soluzioni a breve, mentre quello guidato da Medvedev, presidente del consiglio d'amministrazione di Yukos, preferisce metodi morbidi formalmente rispettosi della legge e della proprietà privata. Nel caso delle proprietà di Potanin, dal non ancora ceduto colosso del nikel, al giornale Izvestjia e al gigante metalmeccanico Silovye Mashiny già venduti allo stato, è questo secondo partito che sembra destinato a prevalere, mentre il caso Kodorkosvkji sembrava far pensare il contrario. Probabilmente le forti proteste internazionali sul caso del miliardario filoamericano hanno fato pensare a Putin che fosse necessario andare con i piedi di piombo fino al momento in cui il consolidamento del suo potere lo metterà al sicuro dai contraccolpi internazionali.
Quello che non sembra destinato a cambiare è la condizione della popolazione russa messa di fronte a un rapido prosciugarsi dello stato sociale ereditato dall'impero sovietico, a una rapida obsolescenza delle conquiste dei lavoratori e della loro centralità nell'economia russa. I nuovi oligarchi giocano la carta del nazionalismo economico non certo per migliorare le condizioni di vita delle classi subalterne locali ma per trattenere la profittabilità delle ricchezze russe sotto il loro controllo, e le riforme economiche avviate da Putin non promettono niente di buono per pensionati, operai e impiegati. Da questo punto di vista il lungo inverno dell'orso russo è destinato a prolungarsi e le condizioni di vita delle classi subalterne, in presenza di un radicale invecchiamento della popolazione in assenza di adeguate misure di salvaguardia sociale, non potranno che peggiorare a prescindere dalle guerre interne e internazionali delle oligarchie al potere.
Giacomo Catrame