Umanità Nova, numero 39 del 4 dicembre 2005, Anno 85
L'iniziativa che si terrà a Milano sabato prossimo, 3 dicembre,
ha un obiettivo evidente, in nulla sottinteso: quello di rendere
visibile la continuità di una politica che ha al centro del
proprio interesse il mantenimento di prerogative e poteri dei ceti
dominanti, per garantire il quale nulla è precluso.
Non a caso il sottotitolo dell'iniziativa è: "36 anni di stragi, menzogne e repressione" perché proprio a partire dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 si dipana con maggior forza l'operazione politica che, con stragi, minacce di colpi di stato, leggi eccezionali, provocazioni, manipolazioni mediatiche, è riuscita a garantire, almeno fino ad oggi, gli assetti di potere, ridisegnando il sistema dei partiti, cloroformizzando e recuperando le organizzazioni sindacali maggioritarie, emarginando e criminalizzando i "non sottomessi".
Infatti dalla stagione delle stragi e delle minacce golpiste, alla dura repressione dei movimenti di questi anni, alla ripresa dell'attività nazifascista, alla sindrome sicuritaria con la sua legislazione d'emergenza e la criminalizzazione dei migranti, un filo si snoda ininterrottamente fino ad oggi: il filo di una politica che, al di là di alcuni aggiustamenti di facciata, mantiene inalterato il suo carattere autoritario e classista.
La spinta proletaria e la contestazione giovanile, che dal luglio del 1960 in un crescendo continuo fino alle lotte del 1968/'69 avevano scosso dalle fondamenta il potere borghese, si dovettero misurare con una reazione belluina che non ebbe alcun timore di ricorrere alle bombe pur di fermare il movimento e di riportarlo all'ordine. La provocazione ordita ad arte sulla pelle dei componenti di un circolo anarchico, il 22 marzo, e che doveva innescare una reazione fascista di piazza tale da giustificare il ricorso a misure eccezionali quali la sospensione delle libertà costituzionali, si infranse contro il muro di popolo accorso ai funerali delle vittime. La morte poi di Giuseppe Pinelli, avvenuta nella stessa notte nei locali della questura di Milano, lacerò di colpo il velo di menzogne che stava alla base dell'intera operazione costringendo l'opinione pubblica a misurarsi con la realtà delle cose al di là delle manipolazioni del potere.
Furono anni quelli di mobilitazione continua contro nemici potenti ed agguerriti, interni ed esterni, in un mondo segnato dalla divisione in blocchi, dalla guerra cosiddetta fredda, dal sedicente confronto tra capitalismo e "comunismo", che mascherava in realtà un'unitarietà d'azione contro gli sfruttati e gli oppressi di tutti i paesi.
Smascherare le menzogne di Stato divenne una necessità assoluta, non tanto e non solo riguardo il fatto specifico, ma per conquistarsi un'agibilità sociale che veniva ridotta e negata dalla sua azione manipolatoria e repressiva. Come non ricordare l'impegno totale del movimento anarchico teso a spezzare l'isolamento politico in cui la manovra stragista voleva metterlo. Come non ricordare campagne persecutorie come quella del 7 aprile, che decapitarono un settore importante dell'opposizione sociale.
Campagne che nella loro sostanza ricordano a grandi linee quanto è successo nei confronti del movimento cosiddetto no-global, con l'uso della provocazione e della repressione dura rispetto alle manifestazioni di piazza. Quanto è successo a Napoli e a Genova nel 2001 e le cui dinamiche si stanno evidenziando nel corso del processo in corso, la dicono lunga sulla volontà politica di garantire lo status quo, a costo di spargere menzogne e falsità. Come recentemente a Torino e nella Val di Susa nelle lotte antifasciste e contro il treno ad alta velocità, dove un'intera valle è stata violentata e criminalizzata solo per aver voluto affermare un suo diritto naturale sul territorio sul quale vive e dove due compagni hanno pagato con la vita ed, oggi, altri con il carcere il loro impegno solidale.
Gli armadi della Repubblica sono pieni di queste menzogne e di queste operazioni speciali, ma anche la nostra memoria è piena dei fatti ad essi collegati. L'assassinio di Giuseppe Pinelli, ad esempio, per il quale non c'è sentenza che tenga e che non archivieremo mai o la morte di Franco Serantini, lasciato morire senza alcuna assistenza nel carcere di Pisa dopo un brutale pestaggio da parte di un drappello di celerini schierati a difesa del comizio di un fascista. Un omicidio del quale non solo nessuno ha risposto, ma che si è cercato di negare ed occultare in tutti i modi fidando nella sua condizione di senza famiglia, e quindi senza assistenza.
Una vicenda che si lega, pur in contesti diversi, a quella di Dax, aggredito a coltellate da un gruppetto di fascisti, e lasciato agonizzante sul selciato, poi giunto morente all'ospedale, con la polizia scatenata nella caccia ai suoi amici e compagni mentre la stampa riportava le sue veline che parlavano di rissa tra balordi, depotenziandone il dato politico. D'altronde oggi i fascisti, vecchi e nuovi, hanno ripreso un'agibilità totale, ed il revisionismo storico, e non solo, è all'ordine del giorno. Il tentativo di riscrittura della strage alla stazione di Bologna del 1980 prelude molto probabilmente alla riscrittura del pur modesta sentenza sulla strage di P.zza Fontana che, pur non individuando esecutori materiali, ha ritenuto Ordine Nuovo del Veneto quale responsabile politico.
La necessità di riprendere il filo della memoria, almeno in alcuni dei suoi punti salienti, appare quindi centrale in questa fase ed è proprio questo l'impegno dell'incontro di sabato che si pone appunto l'obiettivo non solo di ricordare alcuni fatti e alcune figure che hanno segnato il nostro tempo, ma di delineare una cornice di riferimento dalla quale far ripartire una critica radicale sempre più condivisa in un contesto dominato dalla sindrome sicuritaria figlia della guerra infinita e della grande menzogna che le sta a monte, funzionale alla strumentalizzazione dei fatti e all'annichilimento delle coscienze. In sostanza al mantenimento dello sfruttamento e dell'oppressione.
M. V.