Umanità Nova, numero 40 dell'11 dicembre 2005, Anno 85
La pressione congiunta di Stati Uniti e Francia sulla Siria sta
continuando a determinare uno stato di profonda crisi interna al paese
arabo e al vicino, per anni di fatto protettorato, Libano. All'inizio
di ottobre gli USA hanno rilanciato l'accusa alla Siria di favorire la
guerriglia in Iraq permettendo a migliaia di wahabiti decisi a
raggiungere la trincea irachena di transitare senza problemi sul
proprio territorio che confina per migliaia di silometri con il paese
occupato.
L'OFFENSIVA SULL'EUFRATE
La situazione è andata via via peggiorando dal momento in cui
gli Stati Uniti, nel silenzio dei mas media occidentali, hanno lanciato
una nuova e devastante offensiva nel nord ovest dell'Iraq colpendo le
città di Haqlaniyah, Parwana, Hadita, oltre alle già
messe a ferro e fuoco Sadah, Rumana e Karabila. I morti civili tra gli
iracheni sembra superino abbondantemente il migliaio di caduti, mentre
gli americani perdono dai tre ai cinque marines al giorno. Le
città colpite dal fuoco americano si trovano a poche decine di
chilometri dalla frontiera siriana e gli scontri tra marines e guardie
di frontiera siriane sono ormai all'ordine del giorno, anche
perché gli Stati Uniti hanno rifiutato qualsiasi coordinamento
con il paese arabo per un controllo congiunto della frontiera. La
presunta complicità siriana nell'infiltrazione di jihadisti
wahabiti in Iraq si rivela d'altra parte per quello che è, una
montatura, quando i consiglieri della Casa Bianca per sicurezza
nazionale dichiarano in un documento la necessità per Washington
di destabilizzare la Siria allo scopo di creare una fascia di sicurezza
nel territorio del vicino dell'Iraq profonda quaranta chilometri
occupandone i villaggi. In pratica una riedizione del modello adottato
in Libano dagli israeliani tra il 1978 e il 2000. Allo stesso scopo
è in corso a Washington lo studio di un'operazione di
finanziamento e armamento delle popolazioni curde del nord est del
paese la cui insurrezione porterebbe al bombardamento di Damasco e alla
creazione di una no-fly zone simile a quelle create dopo la prima
guerra del golfo in Iraq. Lo scopo rimane sempre quello descritto
prima: la destabilizzazione del regime e la balcanizzazione feudale del
paese. Il tutto allo scopo di chiudere per sempre con il nazionalismo
arabo anche nel vicino dell'Iraq; la criminalizzazione di un gruppo
dirigente appartenente ad una minoranza religiosa e che quindi
necessita di un certo consenso laico e nazionale per governare è
parte centrale di questa manovra. Gli Assad e il loro clan che detiene
il potere a Damasco sono, infatti, alatiti, una minoranza islamica
simile ma non assimilabile agli sciiti e, soprattutto con un
atteggiamento quietista e contrario alla tracimazione della religione
in campo politico. La sostituzione di questo gruppo dirigente con una
costellazione di signorotti feudali sunniti accontenterebbe in un colpo
solo gli americani e i loro alleati nell'area, tutti sunniti e
scontenti dell'evoluzione delle vicende irachene.
IL COMPROMESSO TRA SUNNITI E AMERICANI PASSA PER LA SIRIA?
Le proteste di Giordania, Arabia Saudita e Egitto per la
costituzione irachena e per il predominio sotto l'ombrello americani di
kurdi al nord e di scuciti al centro sud del paese rischia di essere un
problema per il complicato risiko di Washington nel paese. In questo
quadro l'abbattimento di un regime laico e nazionalista e la
trasformazione della Siria in un paese a classe dirigente sunnita
potrebbe essere il terreno sul quale riportare i rapporti tra USA e
alleati arabi ai livelli migliori dall'occupazione dell'Iraq in poi.
Washington in questo non fa altro che applicare la storica politica
seguita in Medio Oriente dal 1945 in poi. I due punti di riferimento
per gli USA restano da un lato Israele e i regimi non arabi come quello
nascente del Kurdistan, dall'altro le teocrazie del Golfo. I nemici
restano quelli di sempre: i regimi indipendenti, laici e nazionalisti
arabi, nonostante la retorica indichi i fondamentalisti wahabiticome i
nuovi nemici dell'occidente. Lo stesso Iran è nell'occhio del
ciclone non tanto perché teocrazia quanto perché
nazionalista e nemica dell'egemonia americana sull'area. Il fenomeno Al
Qaeda e l'arcipelago fondamentalista viene percepito come nemico solo
in quanto contrapposto al controllo economico occidentale dei paesi
arabi e non certo per un orientamento teocratico e confessionale che,
anzi, viene considerato utile dagli USA per la costituzione di regimi
scarsamente rappresentativi delle proprie popolazioni e fortemente
legati in senso clientelare all'occidente dal quale dipendono per la
fornitura di armi, servizi, prodotti industriali e mezzi per
assicurarsi la difesa interna. La stessa logica rivestono le politiche
di balcanizzazione etnico-confessionale dei paesi arabi dell'area in
modo da impedire il formarsi di stati abbastanza forti per contrastare
l'egemonia USA e occidentale in Medio Oriente.
LA CONNECTION LIBANESE
All'interno del progetto di destabilizzazione della Siria sta
assumendo sempre più rilievo la discussione in sede ONU sulle
presunte responsabilità siriane sull'uccisione dell'ex primo
ministro libanese Hariri. Il giudice tedesco Mehlis che guida la
commissione aveva già anticipato le conclusioni poi pubblicate
alla fine di ottobre secondo le quali la Siria sarebbe stata la
mandante e l'esecutrice dell'attentato e, in particolare l'esecuzione
sarebbe stata progettata dal fratello del presidente Assad, Maher, capo
della guardia presidenziale e dal cognato, Assef Shawkat, capo dei
servizi segreti. La fonte di queste informazioni è da ricercarsi
nell'ex maggiore siriano Mohammed Zuheir Sadeeq, allontanato negli anni
ottanta dalle Siria dall'allora "Leone di Damasco", il presidente Hafez
Assad. Sadeeq è un faccendiere noto in tutto il Medio oriente e
il suo allontanamento deriverebbe dal tentativo di prendere il posto di
Hafez Assad durante una sua grave malattia nel 1986. I servizi segreti
sauditi lo hanno reclutato per costruire l'incartamento Hariri e lo
hanno girato a Parigi dove i servizi segreti francesi lo hanno istruito
prima di passarlo ai compiacenti interrogatori del giudice Mehlis.
Il primo risultato di queste rivelazioni è stato il suicidio,
avvenuto il 12 ottobre del ministro dell'Interno siriano, Ghazi
Kanaan, capo dei servizi segreti siriani in Libano per vent'anni e uomo
di raccordo tra Damasco e Beirut. Il suicidio è avvenuto in
condizioni misteriose nemmeno un'ora dopo l'intervista rilasciata dal
ministro all'emittente "Voce del Libano" durante la quale aveva
fermamente smentito di avere confessato al giudice Mehlis di avere
ricevuto ingenti finanziamenti dall'ex primo ministro libanese Hariri.
Nella stessa intervista aveva anche affermato che quella sarebbe stata
l'ultima dichiarazione che avrebbe potuto rilasciare. In realtà
Kanaan era molto legato ad Hariri che, per certi versi, bisognerebbe
considerare una sua creatura. Kanaan aveva iniziato nel 1982 ad operare
in Libano, all'indomani dell'invasione israeliana e dell'arrivo dei
marines e delle truppe francesi e italiane a Beirut. Una situazione
delicatissima che Kanaan aveva gestito al meglio per Damasco, impedendo
che il Libano diventasse un protettorato israelo-americano. Dieci anni
dopo aveva negoziato lui gli accordi di Taif che avevano messo fine
alla guerra civile e avevano visto il riconoscimento de facto da parte
di Washington del protettorato siriano sul Libano. Il suo ultimo
successo era considerato il ritiro israeliano dalla fascia di sicurezza
nel 2000, dopo di che era stato sostituito da Rostum Ghazaleh e aveva
ottenuto la poltrona di ministro degli Interni. D'altra parte egli
apparteneva allo stesso clan alawita del presidente Assad ed era quindi
parte costituente dell'élite del paese. Il cambio di direzione a
Washington con la decisione di cacciare i siriani dal Libano e di
intervenire direttamente a controllare il paese hanno portato ad una
sua decisa emarginazione sul piano internazionale: gli USA avevano
perfino deciso di congelare i suoi conti negli Stati Uniti dopo essere
ricorsi a lui per vent'anni per normalizzare il Libano.
Il suo suicidio resta tuttora non risolto ma quanto avvenuto
precedenttemente porta a pensare che vi siano solo due
probabilità: o Kanaan è stato eliminato dagli stessi
siriani per evitare che i suoi vecchi amici americani lo giocassero
come carta per un cambio di regime, oppure il suo suicidio è
reale ed è una risposta al tentativo americano di incastrarlo
nella vicenda Hariri attaccando proprio l'ultimo esponente della
vecchia guardia dell'ex presidente Assad. Personalmente propendo per la
seconda ipotesi dal momento che l'evidenza è quella di un'accusa
pubblica che veniva preparata a Washington per la quale si scomodava
perfino il vecchio meccanismo del blocco dei conti correnti e le
minacce rivolte ai due figli che studiano negli States. Comunque sia,
anche questa vicenda appare come un brutale regolamento di conti la cui
posta in gioco è il controllo della Siria e la sua
normalizzazione.
IL GIOCO ALL'ONU
Alla fine di ottobre Stati Uniti e Francia hanno nuovamente portato il caso Siria davanti al consiglio di sicurezza dell'ONU, in un momento in cui la credibilità del superteste antisiriano Sadeeq era ormai crollata in tutto il mondo dopo le rivelazioni della stampa egiziana sulle sue attività di faccendiere. Gli Stati Uniti hanno ripiegato dopo un lungo braccio di ferro con la Cina e la Russia su di una semplice risoluzione che impone alla Siria di collaborare alle indagini, ma non hanno ottenuto le sanzioni sulle quali Parigi e Washington stanno premendo da mesi. Inoltre, all'interno dello stesso congresso USA si fanno sentire le prime voci di dissenso sull'apertura di un nuovo fronte. La pubblicità data da alcuni membri del parlamento USA alla lettera dell'ambasciatore siriano negli Stati uniti, Imad Mustapha, nella quale il diplomatico accusava gli Stati Uniti di rifiutare ogni collaborazione con Damasco per chiudere ermeticamente la frontiera tra Siria ed Iraq e per fornire ai siriani il software necessario per i controlli bancari sui conti correnti in odore di Jihad, la dice lunga sulla sempre minore presa della crociata mediorientale bushista all'interno degli organismi elettivi americani. La ragione di questo calo di popolarità delle politiche di guerra, naturalmente, sta nel loro fallimento nel raggiungimento degli obiettivi di normalizzazione dell'Iraq in primis e del Medio Oriente più in generale. Tali politiche, però, sono essenziali agli Stati Uniti nel controllo delle risorse energetiche dell'area e non verranno facilmente abbandonate dall'amministrazione Bush né da quella che dovrà succedergli a partire dal 2009. La partita, quindi, rimane completamente aperta anche se, in Siria come in Iran, la sua durata si annuncia indefinita ma molto più lunga di quanto le teste d'uovo di Washington non pensassero all'inizio della "guerra preventiva."
Giacomo Catrame