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Umanità Nova, numero 41 del 18 dicembre 2005, Anno 85

Dalla liberazione di Venaus ai piccoli giochi della politica
I Ribelli della Montagna
Senza tregua contro il Tav


Più che una marcia, quella del popolo No Tav pare una corsa a perdifiato. E non solo in senso metaforico. Su per i pendii delle montagne valsusine si sono scritte pagine di resistenza che resteranno nella memoria di generazioni di valligiani. 

La cronaca dell'assalto poliziesco al presidio di Venaus, sgomberato militarmente picchiando e ferendo decine di persone inermi è solo di una settimana fa, ma pare siano passati mesi. Gli eventi si sono raggrumati come una valanga che, iniziata la propria corsa con uno sfarfallio di neve, finisce rombando giù per le pendici della montagna. La rivolta popolare con blocchi stradali e ferroviari dei due giorni successivi, gli scioperi spontanei e le manifestazioni hanno riempito le pagine dei giornali. 

Poi arriva l'8 dicembre. È il giorno scelto per riprendersi Venaus, per cacciare le truppe di occupazione. A dirla una cosa così non la crederesti ma poi, il fatto che sia successa, è come una promessa mantenuta: il concretarsi delle idee che da sempre ti porti dentro ma di rado vedi che si fanno carne ed ossa e vita vissuta.

Eppure è successo. Migliaia e migliaia di persone che pacificamente si riprendono le loro vite violate dalla violenza dello stato: una cosa da far paura.

Tanta paura. Al punto che il giorno successivo la politica, quella dei palazzi e delle poltrone dorate, si è messa in moto convocando a Roma, nel bel mezzo del ponte dell'immacolata, i sindaci della valle ribelle. 

Sul tavolo ha gettato una proposta che nei fatti sancisce la volontà di siglare una tregua, mettendosi al riparo dal rischio di una manifestazione oceanica per le strade di Torino e dalla minaccia di boicottaggio delle Olimpiadi. Dove avevano fallito i manganelli e l'occupazione militare riescono gli artifizi della politica: il giorno successivo i sindaci, che pure non avevano firmato l'accordo, decidono di rinunciare alla manifestazione prevista per il 17 a Torino, limitandosi a promuovere una kermesse culturale. Nel pomeriggio un'assemblea di centinaia di persone rigetta la proposta-truffa del governo e a gran maggioranza richiede la conferma della manifestazione. Di fronte al no dei sindaci e, in particolare, di Antonio Ferrentino, il giorno successivo un'affollata assemblea convocata dai comitati No tav proclama la manifestazione del 17 a Torino, scegliendo, per estrema volontà di mantenere unite le varie anime del movimento, di far convergere il corteo con l'iniziativa dei sindaci. E la corsa riprende.

In questa storia, dove chi scrive è parte in causa, l'analisi e la cronaca si mescolano in un impasto unico, fatto delle lunghe marce e delle infinite assemblee, dove le facce della gente che ha deciso di riprendersi in mano la propria vita ed il proprio futuro si stagliano nette a disegnare un quadro dove, come capita di rado, la solidarietà è solido cemento di una lotta la cui posta in gioco, l'unica che conti davvero, si condensa in un fare segnato dalla straordinaria pratica della libertà.

Il filo del racconto è anche quello dell'esperienza: impossibile districarli. 

Torniamo a quell'8 dicembre.

La ripresa di Venaus

Susa prime ore del mattino. L'aria è frizzante ma non nevica ancora. L'autostrada è più trafficata del solito, ma non di turisti, sebbene tutti, arrivando a Susa, mettano scarponi ai piedi e si coprano come per una gita invernale. Quando si arriva la marcia è già partita, di buon passo verso Venaus su per i curvoni della statale 25. È il popolo No Tav, è la gente della Val Susa e i tanti che sono accorsi solidalmente da fuori. C'è gente di tutte le età e decine di bambini anche piccolissimi, a piedi o in carrozzella: sembra quasi una passeggiata, ma tutti sanno che non lo sarà. Tre notti prima la furia della polizia si era scatenata sull'accampamento No Tav, ferendo i corpi di tanta gente e calpestando la dignità di tutti. Una bava di vento porta acre l'odore dei lacrimogeni: la polizia ha caricato su ai Passeggeri, il bivio da cui si dipana la provinciale per Venaus, che ormai da settimane solo i residenti e gli uomini in divisa possono imboccare. Incontro un conoscente, uno che lavora dalle mie parti ed incontro spesso al bar. È un uomo non più giovane dall'aspetto mite: appare trafelato. "Ce le hanno date, quante ce ne hanno date. Ci hanno incartati ben bene" E mostra la mano gonfia. Quando arriviamo al bivio vediamo gli sbirri schierati. Il corteo va avanti su per la statale oltrepassando il blocco di polizia mentre comincia a nevicare fitto fitto. La polizia lascia fare: probabilmente pensano che ci accontenteremo di occupare l'autostrada che ha l'ingresso poco sopra. In breve l'autostrada viene bloccata ma il grosso del corteo va ancora avanti sulla statale. Il fiato mi si fa corto corto. Un giovane accanto a me si carica in spalla il bambino più piccolo e ci sono anziani che passano lesti in avanti: mi vergogno un po' della mia debolezza. Si arriva poi su un sentiero largo ma pieno di neve, ghiaccio e fango e si comincia a scendere la montagna. Altri imboccheranno una strada che passa più in alto, altri ancora aggirano i birri passando per le case e superando il costone roccioso ai Passeggeri. Tutta la montagna si riempie di gente che lenta cala giù. Alla partenza da Susa, secondo le stime dei contafile da corteo saremo stati 50.000. È un fiume umano quello che scende la montagna. Come indiani abbiamo aggirato la polizia: li vediamo dall'alto schierarsi. Una signora accanto a me porta la mano alla bocca e lancia il grido di guerra: un attimo e tutta la montagna risuona. Qualcuno intona Bella Ciao e tutti si sentono come partigiani. Non avverto più la stanchezza. Arriviamo all'area occupata dai birri, il posto dove vogliono impiantare il cantiere: vedo un nugolo di persone che abbattono le recinzioni e invadono l'area. Pare che poco prima i carabinieri abbiano sparato dei lacrimogeni e poi se la siano data a gambe. Mentre ancora in fondo al cantiere c'è movimento in molti guadagnano un sasso e scartano i panini.

Venaus è stata liberata ed è ora di mangiare. Come sempre in tanti anni che vengo in valle mi stupisco di tanta pacatezza.

Il giorno dopo

La polizia si ritira gradualmente dalla valle: spariscono i posti di blocco e si allentano i controlli. Dopo la concitazione arriva la calma. I media criminalizzano i manifestanti, nonostante gli unici veri feriti siano tra di noi. 

Arriva la convocazione del governo, il primo segnale che alla politica del bastone viene messa la sordina per tentare una mediazione. Ormai la Valsusa è divenuta un fatto nazionale: l'annunciata manifestazione del 17 a Torino potrebbe mettere in seria difficoltà la lobby tavista ed i suoi padrini politici. Per non parlare del rischio di boicottaggio delle olimpiadi.

Serve un tampone e serve anche in fretta. La torta Tav è troppo succulenta per correre il rischio di incappare in una nuova Scanzano, quando la Resistenza della gente bloccò per tre settimane tutte le vie di comunicazione della Lucania, obbligando il governo a cedere rinunciando al progetto di impiantarvi la più grande discarica nucleare d'Europa.

Sabato a Torino ad un convegno sul Tav alla Camera del Lavoro convergono centinaia di persone. Gli ingranaggi della politica si mettono in moto.

Per l'intera giornata filtrano indiscrezioni sugli esiti dell'incontro romano tra governo e sindaci: in serata per i corridoi subalpini corre voce che l'esito della riunione sia stato negativo. 

Domenica arriva la notizia che la magistratura ha deciso il sequestro dei terreni di Venaus e che siano in arrivo denunce per "devastazione e saccheggio". (Cfr. "Il bastone e la carotina" a pag. 2).

L'assemblea di Bussoleno

All'assemblea pomeridiana di Bussoleno gira il testo della proposta firmata dagli esponenti del governo e dai rappresentanti delle Ferrovie oltre che dal sindaco di Torino, Chiamparino, e dalla presidente della Regione Piemonte, Bresso. 

Il testo distribuito tra la gente viene immediatamente capito per quello che è: una pericolosa truffa. Il governo prende tempo, proponendo l'attuazione del VIA (Valutazione di impatto ambientale) in forma straordinaria, visto che la legge obiettivo, una legge speciale emessa in vista delle grandi opere, prevede che questa procedura, normalmente propedeutica a qualunque lavoro, venga effettuata solo in forma semplificata, senza tener conto del parere delle comunità locali.

Nel frattempo offre ai sindaci un posto nella cabina di regia e pretende il riconoscimento e la consegna a LTF del sito di Venaus. Insomma niente. Un niente confermato dalle varie dichiarazioni rilasciate dai politici che ribadiscono che serve tempo per convincere la gente della necessità di realizzare la linea ferroviaria ad alta velocità. Nel testo si specifica inoltre che sino al termine del VIA non si possono effettuare lavori di scavo. Un bel risultato non c'è che dire, visto che per l'allestimento del cantiere servono diversi mesi e che, quindi, gli scavi in quanto tali non potrebbero comunque iniziarli subito!

Il Tav si farà comunque: l'unico problema è tenere buoni sin dopo olimpiadi (ed elezioni) quei matti dei valsusini che neppure a bastonate si fanno convincere. Quindi da un lato il governo offre la tregua ed un tavolo di confronto, mentre dall'altro il giudice Laudi (sì, sì sempre lui) consegna di fatto il cantiere a LTF, e si accinge a firmare gli ordini di carcerazione.

L'assemblea dimostra soddisfazione per la mancata firma dell'accordo-truffa e lancia lo slogan della valle "Sarà dura". Ma l'entusiasmo dura poco. Ferrentino nel suo intervento, pur giudicando inaccettabile la proposta governativa, dimostra soddisfazione per l'apertura del dialogo e annuncia l'intenzione di cancellare la manifestazione del 17. Penosa l'iterazione ossessiva della richiesta di fiducia personale condita dal timore che si possa sospettare un suo ammorbidimento dopo il viaggio a Roma. Il presidente della Comunità montana, consapevole che la sua posizione non è condivisa, punta sulla tenuta della propria leadership.

L'assemblea si protrae per oltre quattro ore. La gran parte degli interventi, pur con diverse sfumature, insistono sulla necessità di rigettare la proposta di accordo del governo rilanciando l'iniziativa No Tav sul territorio a partire dalla manifestazione del 17 a Torino, proposte accolte con grande entusiasmo dall'assemblea.

Parlano i sindacalisti (Cub, Cobas, Fiom), i politici (Rifondazione, Verdi, anarchici di varie tendenze) esponenti della vasta galassia dell'associazionismo ambientalista, attivisti dei comitati No Tav – una, Nicoletta, ha stampati sul viso i segni delle manganellate di giovedì. 

L'assemblea si conclude con un nulla di fatto. I comitati No tav, alcuni esponenti sindacali e politici confermano la manifestazione a Torino il 17 dicembre. Il giorno successivo all'assemblea indetta dai Comitati unanime è la volontà di scendere in piazza, nonostante i sindaci e nonostante Chiamparino da Torino invochi il divieto di manifestare.

La scommessa a questo punto è chiara: dar vita ad un corteo partecipato e comunicativo che tenga aperto l'unico tavolo di trattative utile: la lotta popolare autogestita. Comunque vada un risultato importante è stato raggiunto: il movimento ha dimostrato maturità ed autonomia, consapevolezza delle trappole della politica e capacità di eluderle. Il sapore della libertà conquistata sui campi di Venaus è ormai irrinunciabile.

Sara dura! 

Maria Matteo






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