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Umanità Nova, numero 1 del 15 gennaio 2006, Anno 86

Milano: i rifugiati di via Lecco
Per la casa e per la dignità


I protagonisti di questa lotta, eritrei, sudanesi ed etiopi, li avevamo già conosciuti e ne abbiamo sentito parlare dai TG nazionali: sono i rifugiati che a metà novembre avevano occupato, in segno di protesta, un palazzo disabitato di via Lecco a Milano. Le loro richieste sono così semplici ed elementari che, di fronte all'assurdità della realtà, a cui siamo abituati, suonano perfino radicali. Una casa, una situazione abitativa non emergenziale ma pensata per permettere loro l'inserimento nella società italiana. In ragione sempre di questo obiettivo, chiedono corsi di italiano e di formazione professionale, per potersi poi integrare nel mondo del lavoro. Queste richieste sono state formulate dai rifugiati non solo sulla base dei loro pii desideri, ma anche sulla base della legge internazionale sui profughi, di cui l'Italia è firmataria. Il problema nasce poiché questo paese non ha una legge nazionale sull'asilo politico e non investe degnamente i fondi che la Comunità europea stanzia per l'accoglienza dei profughi. Nello specifico a Milano, il Comune ha ricevuto 1 milione di Euro dalla UE e buona parte della partita politica che si è giocata, è intorno alla conseguente questione: chi riceve questi fondi per gestire l'accoglienza dei profughi? È principalmente per questo che abbiamo visto scendere in campo a Milano attori del calibro della Caritas, che fino all'ultimo ha cercato di controllare la lotta, condizionando le associazioni antirazziste che si aspettano buoni risultati dalla sua mediazione con il Comune, cercando anche di mettere la museruola ai richiedenti asilo. Ma questo tentativo al momento non è andato in porto. La caparbietà e la determinazione dei rifugiati di via Lecco è stata così forte e sorprendente, che ha spiazzato tutti. Infatti fino all'ultimo i ragazzi hanno mantenuto ferme le proprie rivendicazioni, nonostante lo sgombero subito, la notte passata al freddo e sotto la neve, nonostante le pressioni ed i ricatti subiti e i consigli dei più disinteressati, che dicevano loro di accettare le proposte di mediazione del Comune. Sia nei primi giorni di occupazione, sia dopo il 27 dicembre, data del loro sgombero, i rifugiati hanno dovuto assistere ad uno spettacolo pietoso, a causa della solidarietà interessata della Caritas e di altre istituzioni e dei conflitti tra le varie associazioni. Se non fosse stato per alcuni singoli compagni e compagne, per il loro modo disinteressato di porsi e di impegnarsi nella loro lotta, la situazione sarebbe stata ancora più buia. Proprio per affrontare questa situazione, i rifugiati di via Lecco, già prima dello sgombero, erano stati costretti a dover chiarire a tutti, in una riunione pubblica, il loro rapporto con le associazioni. Da allora hanno cercato di mantenere rapporti stabili con tutti e di non avere legami preferenziali con nessuno, hanno mantenuto la propria indipendenza e autonomia, convocando le proprie assemblee, eleggendo i propri rappresentanti intercambiabili. Tutto questo nel caos più assoluto e nonostante anche le loro stesse divisioni interne. È questo l'altro piccolo miracolo che sono riusciti a realizzare. L'unità nonostante le differenti nazionalità, anche in guerra tra loro, e nonostante anche le divisioni interne alle stesse comunità nazionali, come ad esempio il rapporto difficilissimo tra sudanesi e quelli del Darfur, presenti ambedue nella lotta. Questa unità si è mantenuta stabile in questi giorni, intorno alla realizzazione dei propri diritti. Unità che fino ad oggi è andata di pari passo con la determinazione e la radicalità. Ciò è emerso con forza quando la notte del 28 dicembre, di fronte ad una possibile occupazione di Piazza Duomo da parte dei profughi, la Caritas si è imposta, facendo accettare ai profughi l'ospitalità e la protezione per quella notte da parte della Provincia, che offriva loro come rifugio temporaneo la propria sala consiliare. La mattina seguente, avendoli isolati da quasi tutti gli altri, pensavano di poterli gestire meglio, proponendo loro di dirigersi alla Camera del Lavoro per discutere. Ma inaspettatamente ed unanimemente tutti i rifugiati si sono alzati e si sono diretti nuovamente verso Piazza Duomo, superando le pressioni della Caritas ed una carica della Polizia che voleva scoraggiarli. Tornati in piazza hanno riaperto la trattativa con le istituzioni. La Provincia ed il Prefetto hanno accettato la proposta avanzata dai profughi, la quale prevede che una scuola inutilizzata venga trasformata in centro di accoglienza per profughi. Il Comune al contrario ha respinto la proposta e ha aperto una polemica diretta con la Provincia (centro-sinistra) in vista della campagna elettorale. A quel punto due delegazioni dei rifugiati sono andate al Comune ed in Provincia. Il Presidente della Provincia Penati insieme al Prefetto si sono impegnati per iscritto a trovare una soluzione stabile per il 10 di gennaio, se i rifugiati avessero sgomberato la piazza e accettato temporaneamente le proposte offerte dal Comune nei dormitori. Dopo una lunga assemblea in Piazza, la notte del 29 dicembre, i rifugiati hanno deciso che l'impegno scritto delle due istituzioni fosse un segnale positivo e hanno così deciso per il momento di lasciare la piazza e di andare nei dormitori. A questo punto c'è da attendere il 10 gennaio, giorno fatidico della promessa, per vedere se i rifugiati sapranno continuare a portare avanti le proprie rivendicazioni in modo autonomo ed autorganizzato. Una cosa fino ad oggi l'hanno dimostrata a tutti: che dietro o davanti a loro non c'è nessuno, non sono né facilmente manovrabili dalle istituzioni, né ci sono sobillatori alle loro spalle che soffiano sul fuoco della disperazione. Sono persone che sanno pensare, nel bene e nel male, con la propria testa. 

Riccardo Bonelli







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