testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 2 del 22 gennaio 2006, Anno 86

Sul filo del rasoio
Bolivia: la vittoria di Morales e la partita mortale con gli USA


La vittoria netta e con un successo superiore alle aspettative di Evo Morales alle presidenziali boliviane di dicembre è un segnale di come la politica istituzionale di uno dei paesi più corrotti e arretrati dell'America Latina sia stata letteralmente stravolta dai movimenti sociali degli ultimi anni, e di come Washington inizi ad avere un serio problema di gestione dell'altra parte del continente. Dopo anni di presidenti ad autonomia limitata, esclusivamente provenienti dall'oligarchia creola e cresciuti nelle scuole americane, la Bolivia ha eletto un indios aymara, figlio di un minatore rovinato dalla chiusura delle miniere di stagno alla metà degli anni Settanta e convertito in coltivatore di coca. Già questo da' la misura dei cambiamenti culturali intervenuti in cinque anni di mobilitazioni popolari continue e di insurrezioni che hanno cacciato due presidenti e portato più volte il paese sull'orlo della guerra civile. Sullo sfondo la questione del gas, di cui la Bolivia è ricca e sul quale gli Stati Uniti hanno messo da tempo gli occhi e le mani, ma anche il tentativo di privatizzare i beni fondamentali per l'esistenza come l'acqua, e di impedire la coltivazione della coca che permette al 20% degli abitanti del paese di sopravvivere. Su questi temi si è formata in questi anni un'alleanza tra le espressioni sindacali storiche dei minatori (la COB sindacato principalmente radicato tra i minatori del rame), quelle più moderne dei coltivatori di coca, i comitati sorti un po' ovunque tra i settori più poveri della popolazione che hanno reagito alla privatizzazione di acqua e gas con formidabili azioni di movimento e quelli sorti tra la popolazione di origine india che negli ultimi anni ha iniziato a uscire dalla marginalità e a occupare posti di lavoro e responsabilità politiche e amministrative prima esclusiva dei creoli. Da questo punto di vista gli avvenimenti politici boliviani di questi anni possono anche essere letti come l'emersione di una piccola borghesia di origine india che, in stretta alleanza con i movimenti popolari della stessa origine etnica, pongono il problema dell'affossamento dell'apartheid non dichiarato che ha governato la Bolivia dall'indipendenza dalla Spagna e di accesso ai ruoli dirigenziali e a quelli di governo. La chiave di lettura non può, ovviamente, essere solo questa, dal momento che i movimenti popolari cresciuti attorno alle vere e proprie "metropoli della miseria" come El Alto, sobborgo della capitale La Paz, cresciuto fino a raggiungere i tre milioni di abitanti, e tuttora senza acqua corrente, gas e servizi sanitari e scolastici, hanno espresso precise rivendicazioni di miglioramento delle proprie condizioni di vita e hanno reagito con durezza ai tentativi dei governi succedutisi in questi anni di svendita dei beni naturali del territorio boliviano, leggendo correttamente in questa politica un fattore di ulteriore peggioramento delle proprie condizioni di vita.

Il programma di Morales

Da questo punto di vista, che è anche quello che più ci deve interessare rispetto all'evoluzione del paese sudamericano, è interessante notare come le posizioni di Morales e del partito di estrema sinistra del quale è espressione, il MAS (Movimiento Al Socialismo), siano tutt'altro che radicali e siano pensate in modo da permettere un compromesso con gli interessi delle multinazionali occidentali, americane, francesi, spagnole e anche italiane, e con l'arcinemico statunitense. 

La nazionalizzazione del gas e del petrolio, cavallo di battaglia dei movimenti che hanno imposto la rinuncia alla presidenza di Sanchez de Lozada e di Mesa, è diventata nel programma del presidente Morales "la sovranità della Bolivia sui propri prodotti naturali tramite l'instaurazione di un rapporto di partnership con le multinazionali del settore". In pratica, la legge sugli idrocarburi già varata dall'ultimo parlamento sulla spinta delle mobilitazioni popolari verrebbe semplicemente allargata, stabilendo il principio che le multinazionali divengono proprietarie dei prodotti gaspetroliferi esclusivamente quando questi vengano esportati. Tecnicamente non si tratterebbe più di concessioni ma di vendita di un prodotto finito. È un cambiamento non da poco, dal momento che la quota di guadagno dell'erario nazionale crescerebbe dal 15 al 50% dei profitti prodotti dall'estrazione del gas e del petrolio locali, e che permetterebbe al governo boliviano di bloccare l'estrazione in caso di discordie con le multinazionali. La concessione, infatti, vende il prodotto direttamente nel sottosuolo e impedisce ogni intromissione del venditore nel procedimento estrattivo; la vendita del prodotto già estratto, invece, consente al governo concessionario di bloccare in ogni momento l'estrazione stessa causando danni rilevanti alla multinazionale con la quale dovesse essere in contrasto. Rispetto alla condizione di servaggio che i governi boliviani hanno sempre avuto con le multinazionali occidentali che hanno sfruttato le molte ricchezze del paese, dallo stagno al rame, all'argento, si tratta di una rivoluzione copernicana; dal punto di vista di un mutamento significativo della possibilità della popolazione locale di incidere su destinazione e utilizzo delle ricchezze del sottosuolo, no. Per intenderci la nazionalizzazione del rame varata in Cile dal governo Allende nel 1971 con tutte le garanzie giuridiche per l'Anaconda (la multinazionale americana oligopolista nello sfruttamento della miniere cilene) era decisamente più radicale e capace di penetrare a fondo nei rapporti di potere interni al paese ed internazionali. La "sovranità nazionale" su gas e petrolio, infatti, non mette in discussione il principio per il quale lo sfruttamento della ricchezza locale può essere appaltato a multinazionali americane piuttosto che europee ma si limita a negoziarne le modalità. Ovviamente in questo quadro diventa centrale per Morales ottenere quanto più possibile dalle multinazionali per costruire con questi capitali il progetto di sviluppo sanitario, urbanistico e scolastico che è il vero centro delle rivendicazioni dei movimenti popolari di questi anni e che è il programma forte dei settori popolari che ne hanno appoggiato l'elezione alla presidenza.

Morales ha un progetto di tipo socialdemocratico moderato per la Bolivia che vede come centrale il controllo del mercato gaspetrolifero e non la sua abolizione. Per realizzare questa visione, però, necessita dell'esistenza di una vera concorrenza tra le multinazionali del settore. Fino al momento in cui concorreranno allo sfruttamento delle ricchezze boliviano esclusivamente compagnie del settore americane ed europee, in collusione tra di loro e in regime di sostanziale monopolio sarà difficile per il nuovo governo boliviano strappare prezzi migliori e percentuali più alte sull'estrazione gaspetrolifera. La vera svolta per la Bolivia, in questo quadro, verrebbe dall'intervento dei cinesi, degli indiani e della Petrobras, la compagnia petrolifera della Malesia. In tale caso Morales avrebbe decisamente più spazio per muoversi nel suo tentativo di ottenere maggiori profitti dall'estrazione delle risorse naturali. Paradossalmente, ma non troppo, ciò che garantirebbe più libertà di movimento a Morales, potrebbe anche determinarne l'affondamento politico-militare da parte degli Stati Uniti. È infatti ovvio che la penetrazione di compagnie asiatiche all'interno del recinto protetto degli affari americani sia vista a Washington con la stessa simpatia di un calcio negli stinchi. Gli USA sono costretti dal fallimento dell'opposizione a Chavez e dal clamoroso insuccesso del golpe del 2002 in Venezuela, a tollerare gli investimenti cinesi nel paese del Mar dei Caraibi; non potrebbero tollerare l'apertura di un secondo fronte di penetrazione asiatica in America Latina allo stesso modo, anche perché il petrolio del Venezuela gli è, al momento, indispensabile, il gas boliviano no. E questo potrebbe permettere agli strateghi del Pentagono di puntare alla destabilizzazione del paese e all'avvio di una guerra civile che renderebbe tali ricchezze non raggiungibili per loro, ma nemmeno per altri.

A tale scopo le pressioni in sede internazionale per condannare la Bolivia in quanto produttrice di coca e il finanziamento all'opposizione interna concentrata nelle pianure dell'est del paese e che già da tempo evoca l'opzione della secessione per "liberarsi" dell'est montagnoso, indio e straccione, sono le armi con le quali Washington si prepara ad attaccare il nuovo presidente boliviano e a cercare di impedire la formazione in America Latina di regimi indipendenti e orientati allo stesso tempo all'apertura verso gli investitori asiatici e alla parziale redistribuzione delle ricchezze nazionali.

La solidarietà tra i regimi nel mirino USA

Ovviamente l'ipotesi Morales così come quella di Washington poggiano per la loro realizzazione sul grado di attivazione o di passività con la quale la popolazione india e i sobborghi urbani della Bolivia reagiranno agli avvenimenti dei prossimi mesi ed anni. Non è un segreto, infatti, che in Venezuela Chavez abbia arginato un golpe grazie al fatto che la maggioranza delle alte gerarchie militari non avesse intenzione di imbarcarsi in una durissima guerra interna contro i comitati popolari fortemente orientati in favore del presidente "bolivariano". Il successo di Chavez in quest'operazione è dipesa dal fatto che primo nel paese, abbia effettivamente garantito alla popolazione più povera assistenza sanitaria, sostegno al reddito e scuole decenti. Le possibilità di mantenersi in sella di Morales dipendono dagli stessi elementi e, come Chavez fu aiutato a costruirli dalla Cuba castrista che inviò centinaia di medici gratis al vicino paese, così Chavez ha praticamente regalato due anni di fabbisogno petrolifero al paese andino.

L'elemento di solidarietà tra regimi sotto tiro da parte di Washington sta per ora funzionando, soprattutto nel garantire reciprocamente quegli elementi necessari a mantenere il favore della popolazione. In questo i tre presidenti sono memori di quanto avvenne ad Allende anche a causa dell'isolamento del Cile socialista all'interno dell'America Latina di allora. La scarsità di risorse e l'impossibilità di garantire ai cileni condizioni decenti sul terreno del reddito, della sanità e della scuola furono elementi determinanti a togliere al presidente cileno una parte di quel consenso che aveva inizialmente impedito ipotesi militari da parte dell'esercito. Oggi Chavez e Morales si trovano in una situazione simile nonostante l'assoluta mancanza di radicalità nel loro programma economico e sociale, e a causa del loro posizionamento sulla linea del fronte tra l'imperialismo euro-americano e quello nascente delle nazioni asiatiche. 

I prossimi anni saranno decisivi per capire se in America Latina si svilupperà una dialettica sociale moderna che infine possa evitare di doversi confrontare con il servaggio del paese e delle sue classi dominanti oppure se nuovamente Washington (e i suoi alleati europei, Italia in testa) riuscirà ad imporre la sua logica nel sud del continente americano. 

Giacomo Catrame

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