Umanità Nova, numero 3 del 29 gennaio 2006, Anno 86
In una fase in cui le destre governative rivestono la divisa di difensori della civiltà occidentale, "minacciata" dal pericolo islamico, si trovano sempre più spesso schierate a fianco dello stato d'Israele e, quindi, come ben dimostra l'agire politico di Fini in questi ultimi anni, sono costrette a cercare di rimuovere il loro imbarazzante passato.
Per spiegarci quindi che Mussolini non era razzista e che le leggi razziali fasciste del 1938 non comportarono gravi conseguenze per gli ebrei italiani, si è scomodato persino il giornalista tele-governativo Bruno Vespa, nelle improbabili vesti di storico revisionista, col suo ultimo libro "Vincitori e vinti".
Per fortuna, esistono altri che la ricerca storica la intendono seriamente; tra questi di certo possiamo includere Franco Cuomo, autore di un interessante saggio sull'argomento: "I dieci. Chi erano gli scienziati che firmarono il Manifesto della razza" (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005).
Certamente Mussolini, per sua stessa ammissione, non credeva all'esistenza di una "razza italica"; d'altra parte diversi esponenti del primo fascismo "diciannovista" erano stati ebrei così come erano state ebree alcune sue amanti. Ma è altresì innegabile il suo antisemitismo, anche se motivato da calcolo politico e sudditanza verso il nazismo; tanto che nel 1938, in occasione della promulgazione delle leggi razziali, Mussolini stesso rivendicò che già nel 1919, in un articolo pubblicato su "Il Popolo d'Italia", aveva sostenuto che "bolscevichi e finanzieri capitalisti appartengono alla stessa razza semitica e sono nemici della razza pura ariana".
L'anarchico Camillo Berneri era stato davvero un buon profeta, scrivendo già nel 1935 che "Se l'antisemitismo diventasse necessario alle necessità del fascismo italiano, Mussolini, peggio di Machiavelli, seguirebbe Gobineau, Chamberlain e Woltmann e parlerebbe, anche lui, di razza pura".
L'enormità dello sterminio subito dagli ebrei nei lager nazisti durante la Seconda guerra mondiale, in seguito ha finito per attenuare nella memoria collettiva la gravità delle misure persecutorie introdotte dalle leggi razziali. Eppure, non solo esiste una stretta correlazione tra la discriminazione del 1938 e la "soluzione finale", ma leggi razziali di Stato e sterminio hanno avuto collegamenti stretti e diretti.
La sorte tragica dei settemilacinquecento ebrei italiani deportati e dei mille assassinati in Italia dai nazifascisti fu infatti anche determinata dalle leggi razziali. In molte città italiane proprio sulla base delle schede del censimento al quale fin dal novembre del 1938 furono costretti gli ebrei, che molti di loro vennero catturati dalle SS dopo l'8 settembre 1943.
Solo l'amministrazione civica di Genova rifiutò ai nazisti gli elenchi dei cittadini ebrei.
In altri casi, i rastrellamenti furono possibili grazie agli elenchi istituiti presso le Questure nel 1938 per conto dell'Ufficio Demografia e Razza del Ministero dell'interno e, sovente, a disposizione anche delle Federazioni fasciste.
Tutta la legislazione razziale della Repubblica di Salò fu poi formulata sulla base di quella del 1938 e i suoi reparti (Gnr, Brigate Nere, SS italiane, etc.) furono da questa legittimati nel dare la caccia all'ebreo, oggetto non solo di cattura ed eliminazione, ma anche di depredazione legalizzata sotto le vesti di confisca dei beni di "cittadini stranieri di nazionalità nemica".
A Trieste, in particolare, la connessione tra leggi razziali fasciste e lager risultò terribilmente evidente dall'operatività della risiera di S. Sabba, dove furono sterminati ebrei, antifascisti italiani, partigiani slavi.
Precisato questo, va comunque osservato come le leggi antiebraiche del 1938, oltre che dalla monarchia sabauda che firmò i regi decreti, furono appoggiate da gran parte della Chiesa e, in particolare, dai Gesuiti che su "Civiltà Cattolica" del 2 aprile 1938 parlarono di "una forma di segregazione conveniente"; d'altro canto furono motivate e anticipate dal famigerato Manifesto della razza, redatto e firmato da dieci zelanti "scienziati" nonché sottoscritte da centinaia di personalità non solo del regime, ma anche del cosiddetto mondo della cultura, ai quali nessuno, dopo la Liberazione, avrebbe chiesto conto di quelle firme infami.
Opportunamente, l'autore del citato saggio nel ricostruirne la carriera, sottolinea la mediocrità umana e professionale di questi dieci "scienziati" e si chiede: "Di cosa si è nutrita, se non di cadaveri, la fama di chi lo ha firmato?".
Dei "dieci" soltanto due potevano avanzare una qualche autorevolezza scientifica, mentre gli altri avevano qualifiche del tutto risibili.
Eppure, la storia degli orrori di Stato è piena zeppa di simili anonime figure trasformatesi in volenterosi carnefici o scrupolosi contabili di morte.
Altrettanto interessante il numeroso elenco di coloro che firmarono a sostegno dei provvedimenti razzisti del regime fascista; il loro consenso fu del tutto volontario, tant'è che persino alcuni gerarchi decisero di non sottoscriverlo. E in questo elenco si trovano molti nomi noti ed alcuni di questi meritano d'essere menzionati: il filosofo Giuseppe Gentile a cui ora si dedicano persino monumenti; Pietro Badoglio a cui sarebbe stato affidato il primo governo post-fascista; il razzista "spirituale" Julius Evola; Giorgio Almirante, fondatore del MSI e padre politico di Fini; il tristemente noto padre Agostino Gemelli; i futuri dirigenti democristiani Amintore Fanfani e Piero Bargellini...
Una pagina di storia da tenere sempre presente, mentre dilagano altri pregiudizi e altre discriminazioni, aprendo i cancelli di nuovi campi per non-persone; come dimostrano le recenti dichiarazioni di figure istituzionali, quali quelle contro il "meticciato" pronunciate da Marcello Pera, del tutto analoghe alle tesi del Manifesto della razza che, al punto 10, affermava: "Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani".
emmerre