Umanità Nova, numero 3 del 29 gennaio 2006, Anno 86
Il 17 gennaio il procedimento penale a carico di un gruppo di antirazzisti e antifascisti torinesi ha segnato una svolta.
Dopo il giudizio abbreviato, per la manifestazione del 19 maggio davanti al locale CPT, tre imputati sono stati condannati a sei mesi per resistenza, quattro sono stati condannati a dieci mesi per oltraggio e resistenza e uno, in quanto recidivo, ad un anno e due mesi per gli stessi reati.
Al tempo stesso tutti gli antifascisti arrestati in seguito alla
manifestazione del 18 giugno 2005, indetta per protestare contro
l'accoltellamento fascista di due occupanti il Barocchio squat, sono
stati rinviati a giudizio con la pesantissima accusa di "devastazione e
saccheggio" che prevede pene dagli otto ai quindici anni di reclusione.
Ricordiamo che sabato 18 giugno la manifestazione antifascista fu
caricata dalla polizia nella centrale via Po con lancio indiscriminato
di lacrimogeni: sedie e tavolini furono rovesciati da chi cercava di
fuggire ai manganelli; in seguito un barista denuncerà la
scomparsa di un barattolo di mance e di alcuni cartoni di gelati; due
vetrine risulteranno rotte. Due manifestanti furono subito fermati,
mentre altri otto furono arrestati il 20 luglio. Prima il carcere; poi
gli arresti domiciliari e l'obbligo di firma, infine oggi, dopo sei
lunghi mesi, cancellati gli arresti domiciliari, ma ancora per cinque
è stato previsto l'obbligo di firma fino al processo, fissato
per il 27 giugno prossimo. Tra i rinviati a giudizio, anche
Massimiliano della FAI.
Bisogna ricordare che i magistrati torinesi hanno annunciato che intendono procedere con la stessa assurda accusa di devastazione e saccheggio anche nei confronti di coloro che l'8 dicembre parteciparono alla liberazione del sito di Venaus sgomberato violentemente da polizia e carabinieri la mattina di due giorni prima e sulla stessa base hanno sequestrato il sito e l'hanno consegnato ai devastatori cui sono stati appaltati i primi lavori del TAV.
E ricordiamo infine che è ancora agli arresti domiciliari Marco, giovane arrestato in seguito alla manifestazione di protesta del 6 dicembre sera indetta per protestare per i pestaggi del mattino a Venaus.
Pare chiaro che la magistratura torinese stia effettuando un serio esperimento giudiziario finalizzato alla feroce repressione dell'opposizione sociale. Il muovere accuse pesantissime, anche se infondate, ha lo scopo precipuo di poter applicare la custodia cautelare, di cercare di intimidire, di costringere ad affrontare processi lunghi e dagli esiti potenzialmente gravissimi, se solo le aberranti tesi dell'accusa fossero accolte: anni e anni di galera.
Tenere impegnati gli oppositori sociali più radicali nella difesa giudiziaria e dissuadere la "brava gente" della Valsusa dalle "cattive compagnie" che potrebbero fuorviarla: insomma, dividere, come al solito, tra buoni e cattivi. "Portarsi avanti con il lavoro" rispetto alla prossima primavera, quando, passate le olimpiadi e le elezioni politiche di aprile, in Valsusa dovrebbero iniziare sul serio i lavori progettati di un tunnal lungo più di 50 km dal costo equivalente a svariati ponti sullo stretto di Messina. Sperimentare l'applicazione di una fattispecie penale molto pesante buona a colpire indiscriminatamente i partecipanti ad una manifestazione qualsiasi in cui si siano verificati anche solo minimi fatti di danneggiamento.
Perché, va sottolineato con forza, a Torino si processano manifestanti cui non sono mosse specifiche accuse di danneggiamento o di furto. Si vuole seppellirli in galera applicando loro un reato che prevede quasi una responsabilità collettiva.
L'esperimento in atto, per quanto possa apparire aberrante anche a
chi è solo armato di buon senso, è insidioso e va
denunciato e respinto.
La vicenda repressiva torinese, fatta di aggressioni fasciste; affari
miliardari; uso indiscriminato del manganello; amministrazioni locali
in mano all'Unione che si candida a governare il paese e i cui politici
vogliono gestire senza intoppi questi affari miliardari, magistrati
democratici che si candidano alla futura procura nazionale
antiterrorismo e cercano meriti a tal scopo reprimendo, chissà
perché..., l'opposizione sociale; una città, un
territorio, in crisi di identità; quel che accade oggi a Torino
ha una valenza paradigmatica di quel che può avvenire o sta
avvenendo nel resto del paese: la denuncia e la mobilitazione devono
quindi essere all'altezza della sfida liberticida in atto.
Il cronista