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Umanità Nova, numero 4 del 5 febbraio 2006, Anno 86

La guerra del gas
Scontro Gazprom-ENI, rigassificatori, l'Italia snodo mediterraneo...


Strana crisi quella del gas. I fatti sono noti ma riassumiamoli. Il 31 dicembre la Gazprom, gigante energetico russo, informa l'ENI che il braccio di ferro fra Russia e Ucraina sul prezzo del gas potrebbe avere ripercussioni sulle forniture di gas russo all'Italia. In Italia, come nel resto d'Europa, scatta l'allarme che provoca un grande trambusto mediatico sull'eccessiva dipendenza dal gas russo. Il 4 gennaio, però, l'allarme sembra rientrato dopo che Gazprom e l'ucraina Naftogaz raggiungono un accordo. Il 9 gennaio l'attenzione sulla questione si riaccende poiché a causa del grande freddo la Russia, si dice, non riesce a garantire l'invio di tutto il gas pattuito e nei giorni successivi si verificano diminuzioni delle importazioni attorno al 6,5%. Il nuovo allarme rilancia il rituale dibattito in cui i tuttologi di ogni corrente si sbizzarriscono attorno a logori luoghi comuni: nucleare, carbone, rigassificatori e liberalizzazione del mercato. Amen. Il 24 gennaio il governo vara un decreto legge che in due striminziti articoli autorizza l'uso di olio combustibile ATZ (Alto tenore di zolfo) e BTZ (Basso tenore di zolfo) negli impianti per la produzione di energia che attualmente utilizzano metano e ordina un risparmio sui riscaldamenti che nessuno attuerà. Questi provvedimenti sarebbero stati presi per evitare di intaccare le riserve strategiche italiane. Il 27 gennaio il ministro Scajola vola a Mosca e dopo due ore di colloquio con il suo omonimo russo raggiunge un accordo che i giornali così sintetizzano: la Russia si impegna a rispettare le forniture di gas previste dai contratti e l'Italia si impegna ad aprire il proprio mercato alla Gazprom. Quando scriviamo queste righe (29 gennaio) della crisi del gas non ne parla più nessuno!

Un puzzle complesso

Questa breve cronologia va inserita in un puzzle molto più complesso Vediamone almeno alcuni pezzi. Primo: il grande freddo siberiano non è una novità, anche nel 2005 ci fu una diminuzione dell'irrogazione di gas dalla Russia ma i media ne accennarono appena. Perché? Secondo: altri paesi dell'Europa occidentale importatori di gas russo (Francia e Germania) non hanno minimamente risentito del grande freddo russo. (Il Sole-24 ore del 19/1/2006). Strano, vero? Terzo: il presidente dell'ENI Scaroni il 25 gennaio dichiara: "Si comincerà ad intaccare le riserve strategiche a metà febbraio, molto prima dell'anno scorso. Comunque non c'è problema, è già stato fatto nel passato." (Fonte: sito web dell'ENI). E allora perché tanto panico? Quarto: mentre si ragionava di black out del gas i produttori di energia italiani (ENEL, Edison. CIR, ecc.) hanno continuato ad esportare energia, prodotta soprattutto col gas, in Germania ma anche in Francia, via Svizzera. Non si tratta di esportazioni marginali: si calcola che nel 2006 verranno esportati circa 3mila MW contro i 6mila importati (La Stampa del 24/1/2006). Quinto: il 10 maggio 2005 Gazprom e ENI avevano firmato un contratto che stabiliva, fra l'altro, che la Gazprom sarebbe entrata direttamente sul mercato italiano commercializzando il 10% del gas russo importato. Successivamente l'Antitrust aveva bloccato il contratto la cui rinegoziazione è coincisa, guarda caso, con la crisi del gas. "La Gazprom porterà più affidabilità nelle forniture e più stabilità nel mercato", dichiara l'amministratore delegato di Gazprom, Medvedev, facendo chiaramente capire cosa c'è dietro la crisi del gas di gennaio. (Il Sole–24 ore del 24/1/2006).

Una guerra contro il monopolio ENI

Ce n'è abbastanza per tirare almeno una prima conclusione: la crisi di gennaio è un episodio, sia pur molto reclamizzato, della guerra del gas che si sta combattendo da anni in Italia. In questa guerra l'ENI vede attaccata la sua posizione dominante da Edison (ora di proprietà della francese EDF), ENEL, multinazionali anglo-americane e, ora, anche dalla Gazprom. È fin troppo evidente che il panico artificiosamente creato nei giorni scorsi è mirato a rompere il quasi monopolio dell'ENI e a far pressione sulle popolazioni perché accettino nuove infrastrutture legate alla filiera del gas. Dopo che per anni si è assistito al proliferare di una grande quantità di progetti di nuove centrali turbogas per la produzione di energia, nel 2005 la lobby energetica ha centrato l'offensiva sulla necessità di impianti di ricezione del gas (detti rigassificatori). Il problema è che i rigassificatori sono inquinanti ma anche estremamente pericolosi come ha dimostrato nel 2004 il disastro di Skikda in Algeria (27 morti fra gli operai dell'impianto e un grande pericolo per la città algerina che ha rischiato di venire rasa al suolo, si veda Umanità Nova n. 3/2004). Le popolazioni, giustamente, non li vogliono.

Gasdotti e rigassificatori

Nella bagarre di questi giorni sono stati ricordati l'unico gassificatore in funzione (La Spezia, 3,5 miliardi di metri cubi di capacità) e i progetti di rigassificatori approvati (Portoviro, 8 mld, e Brindisi, 8 mld) e quelli da approvare (Livorno, 3,5 mld, Rosignano, 3 mld, Porto Empedocle, 8 mld, Priolo, 8 mld, S. Ferdinando, 8 mld, Gioia Tauro, 6 mld, Trieste, 8 mld e Taranto, 8 mld) ma non sono mancate neppure le informazioni sui gasdotti da potenziare: Greenstream dalla Libia, oggi 4,5 mld che diventeranno 8 mld a regime, gasdotti TAG dall'Algeria e TTCP dalla Russia che oggi portano circa 45 mld che dovrebbero divenire 61 mld, gasdotto GALSI dall'Algeria, 4 mld., gasdotto IGI dalla Grecia che sarà realizzato entro il 2010 e di cui non si conosce la portata. A questi bisogna aggiungere tre progetti di rigassificatori presentati dall'ENEL ma poi congelati. Se si sommano le potenzialità dei rigassificatori approvati e da approvare con quelle dei gasdotti potenziati si arriva, attorno al 2010, a un totale di 145,5 mld di metri cubi a cui bisogna aggiungere quelli che arriveranno dalla Turchia via gasdotto dalla Grecia. Nel 2010 si prevede un consumo italiano pari a 90 mld di metri cubi. Anche ipotizzando che solo la metà dei nuovi rigassificatori siano realizzati è evidente che siamo di fronte ad una sovraccapacità che svela il vero nocciolo della questione energetica italiana: le lobby del settore, sostenute dal governo ma anche dall'opposizione, vogliono fare dell'Italia lo snodo energetico dell'Europa centro-occidentale. Il gas arriverebbe in Italia, via gasdotto e via nave, per essere poi rivenduto ai paesi mediterranei e centro europei. Qui sta il business attorno al quale si svolge la guerra del gas che, pertanto, esula le questioni locali, come hanno perfettamente capito molte popolazioni che non vogliono sacrificare il loro ambiente e la loro sicurezza sull'altare del profitto delle multinazionali energetiche.

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