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Umanità Nova, numero 4 del 5 febbraio 2006, Anno 86

Scorie nucleari: una discarica a Saluggia?
Il generale Jean ci riprova


Alla fine di novembre del 2003 l'emendamento che toglieva dal decreto governativo il nome di Scanzano Jonico, quale luogo idoneo alla realizzazione del sito unico nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari, sanciva la vittoria della popolazione locale che si era strenuamente opposta a quella scelta imposta dall'alto. Nello stesso decreto si stabiliva che una nuova indicazione del sito unico nazionale doveva avvenire nell'arco di 12 mesi. Sono trascorsi due anni e il problema dello smantellamento degli impianti e della messa in sicurezza delle scorie radioattive, frutto dell'esperienza nucleare italiana, si ripropone all'attenzione degli organi d'informazione e soprattutto coinvolge gli abitanti di un'altra area della penisola.

Cerchiamo di rimettere a fuoco la questione. Il compito di portare a chiusura il programma elettronucleare in Italia è stato affidato alla Sogin una società a totale partecipazione pubblica costituita a questo scopo il 31 maggio 1999, in base a quanto disposto dal D.Lgs. 79/99.

L'effettivo esercizio della società è iniziato con il conferimento del ramo nucleare dell'Enel a decorrere dal 1 novembre 1999. Ancora in presenza della Lira gli oneri calcolati per lo smantellamento degli impianti e per la chiusura del ciclo del combustibile irraggiato ammontavano a 1.538 miliardi di lire. Questo il preventivo secondo i piani adottati da Enel, che prevedevano la messa in custodia protettiva passiva delle quattro centrali ed il loro smantellamento in un arco di tempo di 40 - 50 anni.

Nel documento del 14 dicembre 1999, "Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare", trasmesso dal Ministro dell'Industria ai due rami del Parlamento, si delineava, invece, un piano di smantellamento da completare entro l'anno 2020. Il nuovo programma segna un netto accorciamento dei tempi per la bonifica dei siti e pertanto viene definito decommissioning accelerato, in unica fase, con l'utilizzo di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (la cui individuazione doveva avvenire entro la fine del 2005).

Secondo il decreto 79/'99, la Sogin inoltrò all'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (nel seguito "Autorità") il piano ventennale delle attività relative agli impianti ed al combustibile già di proprietà dell'Enel. Sulla base di questo programma, l'Autorità ha rideterminato gli "oneri nucleari", da aggiornare poi con cadenza triennale. I costi per portare a termine tale piano accelerato, a partire dal gennaio 2001, vennero stimati in circa 5.000 miliardi di lire. 

Relativamente alla chiusura del ciclo del combustibile, si prevedevano tre distinte voci: la sistemazione del combustibile irraggiato degli impianti Sogin che, senza nessun tipo di pre-trattamento, si intendeva stoccare a secco prima del conferimento al deposito nazionale; la sistemazione della quota, di parte Sogin, del combustibile della Centrale di Creys-Malville, da trasferire direttamente dalla Francia al deposito nazionale; la sistemazione del combustibile irraggiato degli impianti Sogin che, prima trattato in Inghilterra, sarebbe stato, nella forma dei prodotti post-trattamento, inviato al deposito nazionale.

La Sogin è "proprietaria" di quattro impianti nucleari da smantellare: Latina, Garigliano, Trino e Caorso. Il combustibile irraggiato oltre a quello delle quattro centrali italiane comprende quello dell'impianto di Creys-Malville, che nel 1998 è stato fermato definitivamente dal governo francese. Si tratta di una centrale messa in servizio nel 1986, costruita ed esercita dalla Società NERSA, della quale l'Enel ha detenuto il 33% delle azioni, insieme con EdF (Francia) e RWE (Germania), a partire dal 1973 e fino al 1998, quando è uscita dalla società mantenendo, però, la proprietà del combustibile fresco ed irraggiato di sua spettanza. Detto combustibile è temporaneamente stoccato presso questa centrale ma dovrà rientrare in Italia per essere trasferito al deposito nazionale.

Contemporaneamente, la gestione del problema nucleare riguarda anche la programmazione, il coordinamento e il controllo di tutte le attività relative allo smantellamento degli impianti di produzione e di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di proprietà di ENEA e FN:
- ITREC (Centro della Trisaia in provincia di Matera)
- celle calde (Centro della Casaccia in provincia di Roma)
- plutonio (Centro della Casaccia in provincia di Roma)
- Eurex (Centro di Saluggia in provincia di Vercelli)
- FN (Bosco Marengo in provincia di Alessandria)
Complessivamente la stima dei costi delle attività di smantellamento di questi impianti è stata quantificata in circa 0,9 miliardi di €.

Per il combustibile irraggiato delle centrali italiane, i programmi prevedono di portare a termine tutte le attività di ritrattamento coperte da contratti in essere con la BNFL (la società che gestisce il centro atomico di Sellafield). A fronte di questi contratti parte del combustibile è già stato ritrattato o sarà ritrattato presso lo stabilimento inglese (sottolineiamo che di questi trasferimenti verso Sellafield si sa poco, potremmo definirli "viaggi fantasma", ma certo, con la minaccia del terrorismo, meno si sa e meglio è…). Per il restante combustibile irraggiato nel corso del tempo i programmi di smaltimento sono stati più volte modificati. Da una prima ipotesi che prevedeva il ritrattamento di tutto il materiale si è poi passati all'idea dello stoccaggio a secco in Italia in apposite strutture da realizzare presso le centrali stesse, sempre in attesa del definitivo trasferimento al deposito nazionale.

Nella seconda metà del 2000 è stato sottoscritto con BNFL un contratto per il trasporto in Inghilterra delle ultime 53,5 t del combustibile ad ossido di uranio irraggiato della centrale del Garigliano, allora, ancora tutto depositato nelle piscine dell'impianto Avogadro di Saluggia. Per le attività di stoccaggio a secco, si è conclusa la gara per l'approvvigionamento dei contenitori metallici (cask) idonei prima allo stoccaggio nei depositi temporanei, previsti in località diverse, poi al trasporto degli elementi di combustibile irraggiato al deposito nazionale.

A fine settembre 2001, Sogin ha presentato all'Autorità un aggiornamento del programma predisposto in partenza, corredando di ulteriori dettagli le ipotesi e le metodologie già elaborate e confermando i costi complessivamente stimati in circa 2,6 miliardi di €. Alcune variazioni sono, è bene ricordarlo, legate all'evento alluvionale che, il 16 ottobre 2000, ha interessato la zona in cui sorgono gli impianti Eurex ed Avogadro di Saluggia. In quell'occasione si è andati molto vicino alla catastrofe ambientale, il sito di Saluggia è infatti racchiuso in un triangolo di limitata estensione e scarsissima elevazione rispetto ai corsi d'acqua che lo delimitano: fiume Dora, canale Farini, canale Cavour.

Avvicinandoci ai più recenti sviluppi, dobbiamo ricordare che il progetto per un deposito temporaneo, già presentato da Sogin alla Regione Piemonte nel settembre 2001, ha incontrato una netta opposizione in ambito locale, soprattutto nel comune di Trino, dove il sindaco e il Consiglio Comunale si pronunciarono contro la realizzazione di tale struttura e in particolare contro il trasferimento del combustibile da Saluggia a Trino.

Il 21 gennaio 2002 la giunta Regionale aveva deliberato con parere negativo sul progetto, pur condividendo l'esigenza di trasferire il combustibile al più presto dalle piscine di raffreddamento ai contenitori a secco, viste le incertezze del contesto istituzionale circa la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e a fronte di una situazione di pericolosità reale.

L'idea di realizzare dei depositi temporanei non è quindi nuova, per Saluggia, Sogin aveva presentato al "Tavolo della trasparenza" (un tentativo di rassicurare le popolazioni locali) uno studio preliminare di adeguamento di un edificio attiguo alla piscina Avogadro, che avrebbe permesso di evitare la realizzazione di un nuovo edificio di deposito.
Arrivati a questo punto, "qualcuno" ha pensato che si stesse perdendo troppo tempo, perciò il 14 febbraio 2003 il Consiglio dei ministri deliberava lo stato di emergenza in relazione alle attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle centrali ed impianti nucleari presenti sul territorio delle regioni Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Basilicata.

Alla predetta delibera è seguita, il 7 marzo 2003, l'Ordinanza n° 3267 del Presidente del Consiglio dei Ministri con cui il presidente della Sogin, gen. Carlo Jean, veniva nominato commissario straordinario ed insignito di poteri speciali con deroghe nei confronti di decine di leggi nel chiaro intento di uscire dall'impasse che si delineava sempre più evidente nella gestione di quella che diveniva, appunto, l'emergenza nucleare (le minacce del terrorismo internazionale contribuivano, come sempre, a giustificare la scorciatoia autoritaria).

Della successiva vicenda di Scanzano Jonico abbiamo già detto. Sulla questione Sogin sottolineava, premendo per la realizzazione del deposito unico, che "l'indisponibilità dello stesso influenza in modo negativo i comportamenti delle amministrazioni locali, le quali, non avendo certezza sulla possibilità di allontanare dai siti i materiali nucleari, si oppongono alle attività di  trattamento e immagazzinamento in loco dei materiali radioattivi, in quanto questi potrebbero rendere meno urgente la localizzazione e la realizzazione di un deposito nazionale".

In questo contesto di crescente difficoltà sono state valutate le possibilità offerte dal mercato per il trattamento delle scorie all'estero, in particolare l'attenzione si era focalizzata sulla Federazione Russa dell'amico Putin. La Sogin aveva addirittura aperto un ufficio di rappresentanza a Mosca al fine di approfondire l'effettiva possibilità di percorrere questa via (altri soldi buttati procedendo in modo alquanto improvvisato). Negli ultimi anni ha regnato quindi l'incertezza sull'effettivo destino del combustibile irraggiato. Infatti Sogin, fra le varie alternative allo studio per risolvere il problema della chiusura del ciclo del combustibile presente in Regione Piemonte ha effettuato le verifiche di fattibilità riguardanti sia l'invio di tutto il combustibile al riprocessamento sia quella dello stoccaggio nei cask.

È così che per l'impianto pilota EUREX (Enriched Uranium Extraction) si sono  ipotizzate due iniziative: la progettazione di un sistema di nuovi serbatoi in edificio bunkerizzato per i rifiuti liquidi a più alta attività esistenti presso l'impianto e l'analisi tecnico-economica delle opzioni per la loro solidificazione.

Con i nuovi indirizzi di cui al DM 2/12/04 il Ministro delle Attività Produttive ha chiesto a Sogin di valutare la possibilità di riprocessare all'estero il combustibile nucleare irraggiato esistente in Italia e di definire le soluzioni per il rapido perseguimento dell'obiettivo della messa in sicurezza del combustibile stesso. La successiva ordinanza del Commissario delegato all'emergenza emessa il 16 dicembre 2004 aveva disposto che Sogin procedesse alla stipula dei contratti necessari per dare inizio alle operazioni di invio del combustibile al riprocessamento.

Nella logica Sogin, tale scelta potrà in effetti rimuovere il principale ostacolo all'effettivo avanzamento dello smantellamento delle centrali nucleari.

Tra l'altro, sempre secondo Jean, tenendo conto della possibilità di stoccare in sito i materiali che deriveranno dalle operazioni di smantellamento, la effettiva disponibilità del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi non dovrebbe in futuro condizionare significativamente le operazioni di decommissioning (la data ultima per il conferimento al deposito unico è nel frattempo slittata al 2024). In particolare, sostiene Sogin, gli enti locali, che in passato hanno osteggiato soluzioni che potessero trasformare i siti in depositi definitivi, vedrebbero le loro preoccupazioni ridursi significativamente a motivo dell'allontanamento del combustibile. 

È con questi pensieri che nel dicembre scorso siamo arrivati all'ultima ordinanza del commissario straordinario che, in scadenza di mandato, ha autorizzato la costruzione, presso il sito Eurex del comune di Saluggia, le opere connesse all'impianto di cementazione Cemex, in particolare del Deposito D-2 per rifiuti solidi a bassa attività.

Intanto l'inevitabile aggiornamento delle spese ha evidenziato un incremento della stima del costo relativo all'intero processo di smantellamento che ormai raggiunge i 4 miliardi di €.
In ogni caso, chi risiede in prossimità delle centrali o degli impianti nucleari italiani si trova nella scomoda posizione di doversi tutelare dal punto di vista della messa in sicurezza dei materiali radioattivi presenti in loco, senza farsi ingannare da chi ha fretta di togliersi dalle tasche la "patata bollente" della dismissione del nucleare con la speranza di sostituirla con un portafoglio gonfio di euro, tanto a pagare sono sempre i soliti (non dimentichiamoci che in tutto questo "ambaradan" c'è sempre qualcuno che ci guadagna).

Non dobbiamo sorprenderci dunque se, di fronte a un problema quale quello della gestione dei "rifiuti" prodotti dalla tecnologia nucleare, i sostenitori di tale opzione energetica non perdano occasione per riproporre questa scelta che, oltre ad essere pericolosa dal punto di vista ambientale per tempi lunghissimi, presuppone l'organizzazione di una società di tipo autoritario.

MarTa

www.sogin.it

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