Umanità Nova, numero 7 del 26 febbraio 2006, Anno 86
Chi è ancora convinto che le immagini rappresentano, senz'ombra di alcun dubbio, i fatti della realtà del nostro tempo, dimentica quanto la forza delle parole a commento di quanto si osserva (meglio: di quanto ci viene fatto osservare) sia in grado di porci nella condizione di credere bel oltre e al di là di ciò che vediamo.
A riprova sono le reiterate immagini che in questi ultimi mesi (e anni) i media mondiali trasmettono - in un gran gioco di rimbalzo fra network occidentali e network orientali - per "documentare" la paura, l'odio, l'orrore, l'atrocità, la tortura. Si tratti di prigionieri nelle mani di bande di guerriglieri islamici, oppure di prigionieri nelle carceri americane di Guantanamo o di Abu Ghraib, riguardino gli attentati kamikaze oppure il bombardamento con armi al fosforo di città irachene, concernano il tiro di cecchini contro i ceck-point militari oppure il pestaggio cruento di ragazzini da parte di militari britannici l'obiettivo è sempre altro. Ciò che si mostra ha del mostruoso non tanto in ciò che vien fatto vedere, quanto nel modo in cui si cerca di giustificarlo.
Le cosiddette "cartoline di Abu Ghraib" sono l'esempio di un souvenir di guerra che - come tutti i souvenir - vuole ricordare e far ricordare quanto la guerra sia bella, emozionante, affascinante, ma soprattutto dia potere di vita e di morte rispetto all'avversario. Non solo per chi ha scattato quelle centinaia di foto e girato ben quattro video, non si trattava di riprese che documentavano le torture inflitte ai prigionieri, ma neppure per chi ha cercato in seguito di controllarne la distribuzione e diffusione anche attraverso i network mondiali si trattava di immagini compromettenti la reputazione dell'esercito statunitense ed il valore della missione che l'Amministrazione americana e i suoi alleati sta compiendo in Iraq. Tutt'al più si tratta di eccezioni, di "mele marce", di "ragazzate" i cui i responsabili sono stati individuati e prontamente puniti. Non per nulla le ulteriori foto dal carcere di Abu Ghraib non hanno suscitato proteste paragonabili alle vignette satiriche contro Maometto. E non si tratta certo di scherzi e lazzi.
E che dire del carcere di Guantanamo, dove persino la diplomazia dell'ONU e dell'Unione Europea non ha potuto che, garbatamente , chiederne la chiusura per la palese violazione dei diritti umani? Nell'isola caraibica si stanno commettendo torture, sequestri di persona, violazioni dell'habeas corpus. Così è perché appare dai video e dalle immagini provenienti da quel campo di concentramento. Ma L'interpretazione data dall'amministrazione Bush è certa del contrario; anzi della necessaria violazione dei diritti dei prigionieri in quanto si tratta di terroristi fanatici. Dov'è allora lo scandalo? Dove la ragione è ferita al punto da gridare "Basta!", "Mai più!"?
Se - come tutti sono concordi nell'affermare - le vignette contro il Profeta sono state un pretesto per scatenare la protesta nei territori mussulmani, quale pretesto rappresentano le "cartoline di Abu Ghraib" e le immagini dei prigionieri di Guantanamo? Ancora una volta siamo costretti a far parlare il poeta: "Con le parole la massima cautela è sempre poca, cambiano opinione come le persone." Perché quando le immagini si sovrappongono e i piani sequenza tradiscono un'unica regia, un identico stile nei tempi del montaggio mediatico, sono le parole che necessariamente assumono nuovi significati interpretativi, negando ciò che i "fatti" confermano. Dopotutto non esistono fatti ma soltanto interpretazioni, cosicché le immagini non sono altro che pretesti per la stesura di un testo in cui le parole cambiano il significato delle immagini. E l'opinione delle persone pure. Purché siano sempre e soltanto le parole del potere ad esprimerla.
Del potere delle parole, soltanto i poeti...
Jules Èlysard