Umanità Nova, numero 7 del 26 febbraio 2006, Anno 86
Le ideologie, a quanto si dice e come in effetti sembra essere, sono morte. La fine dell'impero sovietico, che con tutti i suoi difetti e le sue aberrazioni fingeva comunque di poggiare su altre regole dettate non solo dall'economia ma anche dalla "politica", ha lasciato un vuoto che non possono certo riempire nè la nuova Cina innamorata del liberismo e neppure quelle sopravvivenze storiche che sono Cuba e la Corea del Nord. Gli effetti dell'implosione dell'impero dei Soviet non hanno mancato di farsi sentire nel resto del mondo, dove, se si eccettua un'Italia ancora attraversata dall'animalesco anticomunismo di Berlusconi e Baget Bozzo, non si aggira più nessuno spettro, e quanti non vorrebbero rassegnarsi ad un mondo unilaterale e uniformato, sono davvero rimasti dei poveri orfani. Insomma, in soldoni, al socialismo, nelle sue varie versioni, non crede quasi più nessuno, ma al tempo stesso le regole del capitalismo, con il loro inevitabile carico di porcherie e sperequazioni, non riescono a convincere del tutto.
Al tempo stesso nell'opulento mondo occidentale, ma non solo lì, si sta assistendo a un processo di meltingpottizzazione, di rimescolamento di culture, per intenderci, che va via via assumendo dimensioni paragonabili a quelle di tempi in cui interi popoli trasmigravano da un continente all'altro. E questo fenomeno, ben al di là dall'essere interpretato come una straordinaria occasione di scambio e confronto dialettico, da cui trarre nuove prospettive e opportunità, viene visto come un dramma, tanto ineluttabile quanto sconvolgente. E si riaffaccia, di conseguenza e prepotentemente il concetto dell'identità, cui fanno da corollario, come i grani del rosario, il senso di superiorità, l'intolleranza, l'esclusione, l'esaltazione della diversità. E questo processo involutivo, purtroppo, è ormai patrimonio collettivo tanto dei popoli che dei singoli individui, tutti spinti ad esaltare il proprio identitarismo da politici mestatori e da esaltati profeti che non si possono definire altro che criminali. Le recenti prestazioni di quell'ex ministro leghista che non vale neanche la pena di nominare, non sono che la dimostrazione di quanto sia grande l'iceberg della intolleranza e di cui, per ora, non vediamo altro che una piccola punta.
Parlavamo di un vuoto, di un vuoto che se pure non del tutto
generalizzato, perché ci sono ancora isole come la nostra, nelle
quali si continua a pensare a un mondo nuovo, ha comunque pervaso anche
i settori sociali che in altri tempi prospettavano programmi e progetti
materiali. Ma poiché questo vuoto va riempito di "valori" e
contenuti, pena l'impossibilità per le classi dirigenti di
trovare efficaci forme di controllo, ecco riaffacciarsi prepotentemente
il ruolo della religione, e delle religioni, come insuperabili
strumenti per edificare una identità collettiva nella quale sia
possibile riconoscersi e in nome della quale obbedire volontariamente
all'autorità. Insomma, la religione, con tutte le sue chiese,
sta riscoprendo pienamente la funzione di puntello spirituale del
potere temporale (a volte identificandosi anche con questo) che ha
ricoperto per millenni e che era stata messa in crisi dall'irrompere
dei principi del laicismo, messi in moto dalla Rivoluzione francese e
quindi esportati nel resto del pianeta. Se questo fenomeno di
"riscoperta" della tradizione religiosa e del suo portato è
fortemente presente nel mondo islamico che ha visto via via indebolirsi
quell'idea di panarabismo più o meno socialisteggiante
propugnato come alternativa laica e strumento di emancipazione dai
partiti arabi nella seconda metà del secolo scorso - e l'ultima
avvisaglia, pur nella sua complessità, è stata la
sconfitta dell'Olp a scapito di Hamas nella a suo tempo laicissima
Palestina - non è che l'occidente "cristiano" ne sia immune,
fatte salve le differenti forme con cui si manifesta. Anzi! E purtroppo
gli esempi non mancano mai.
È in questa ottica, infatti, che credo si debba leggere la
sentenza numero 556 sulla liceità della presenza del crocifisso
nelle aule scolastiche, recentemente emessa del Consiglio di Stato.
Sentenza nella quale tale giudice Giovannini, dopo una lunga e
arzigogolata dissertazione, afferma inequivocabilmente che il
crocefisso "rappresenta valori civilmente rilevanti, ovvero valori che
soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento
del nostro convivere civile". Il che, tradotto, vuole dire che i valori
religiosi, che dovrebbero essere propri solo dei credenti, vanno invece
fatti combaciare, alla faccia della libera chiesa in libero stato, con
quelli civili, ovvero con quelli che, in base alla Costituzione,
dovrebbero rappresentare tutti i cittadini al di là delle loro
credenze religiose. E anche se i favorevoli alla presenza del
crocefisso nei luoghi pubblici sembrano essere l'80% (chissà poi
questi sondaggi?!?) la sostanza della questione non cambia affatto.
È evidente, al di là della gravità o delle ricadute che queste affermazioni assolutiste, e sottilmente integraliste, possono avere, che il principio che si intende affermare (facendo poi di questo principio una della basi portanti del "convivere civile") è che, in mancanza d'altro, l'identità di un paese minacciato dai pericoli delle invasioni barbariche e dagli incontrollabili effetti dell'economia globalizzata, si stabilisce e si afferma su valori che da "parziali" devono diventare totali. E cosa meglio di quelli altamente morali ed etici delle religioni, che fondano, su millenni di oscurantismo, di collaudato assoggettamento dei popoli e di funzione identitaria, la loro forza e la loro legittimità?
Avanti tutta, dunque, con questa messe di cristiani rinati, di folle adoranti e di simboli religiosi sparsi qua e là! Del resto, non è più comodo organizzare una processione di fedeli con l'aiuto del prete che non sciogliere un corteo di oppositori?
Massimo Ortalli