testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 7 del 26 febbraio 2006, Anno 86

Contro la delega per l'azione diretta
Le ragioni dell'astensionismo anarchico


Gli anarchici hanno l'abitudine di chiamare le cose con il loro nome, per evitare fraintendimenti e mistificazioni. Accusati di non essere "politici" essi rispondono che, poiché sono totalmente avversi all'organizzazione gerarchica e centralizzatrice della società, rigettano la "politica" intesa come pratica di governo. La "politica" si prefigge il compito di stabilire l'ordine tramite una delega di potere, in realtà essa codifica il disordine nel momento stesso in cui definisce una gerarchia tramite la quale esercitare il governo. E la gerarchia è nemica di qualsiasi forma di libertà perché, con la sua stessa esistenza, impone doveri grazie al suo diritto di governo.

Non solo. Gli anarchici sono contro ogni sistema di governo, compreso quello che si definisce democratico, che si basa sulla delega delle libertà individuali e collettive ad una esigua minoranza che eserciterà il suo potere in nome della maggioranza dopo averne carpito la delega in nome di programmi fumosi, di promesse e di principi; dopo averne manipolato emozioni ed immaginario. Un sistema che si configura come un astuto sistema di scelta eterodiretta dei capi, assolutamente lontano da un reale processo di gestione orizzontale della società, basato su partecipazione e controllo.

Gli anarchici non sfuggono, non negano la realtà politica, ma sono contro la politica. L'organizzazione sociale, l'organizzazione della collettività umana, l'esercizio delle libertà individuali e collettive, il rispetto dei diritti naturali di ogni essere vivente, sono troppo importanti per essere delegati ad un pugno di individui, qualunque siano le loro qualità. Nel loro antipoliticismo gli anarchici propongono una diversa organizzazione sociale che fa a meno dello Stato e che si basa sul principio della gestione diretta della produzione e della distribuzione egualitaria delle risorse sociali. 

Conseguentemente a questa impostazione gli anarchici sono dichiaratamente contro ogni delega di potere che, se praticata, rappresenta un'erosione delle capacità e delle possibilità di edificazione di una società di liberi ed eguali. E nel contempo vogliono indicare la necessità di rompere con il meccanismo della partecipazione elettorale, che vuol dire essenzialmente subordinazione ai meccanismi di gestione borghese del potere.

In questa ottica l'astensionismo anarchico è una chiara dichiarazione d'intenti nei confronti della truffa rappresentata dal sistema elettorale e si distingue nettamente dalle proposte di astensionismo tattico avanzate, a fasi alterne, da settori della sinistra antagonista che continuano a mantenere un atteggiamento opportunistico nei confronti del parlamento, proprio perché "politici", proprio perché sostanzialmente statalisti.

Partendo da queste premesse si può comprendere meglio il tipo di raccordo che va stabilito con le lotte sociali, sul territorio, gli organismi di base, i lavoratori autorganizzati, i centri sociali. Un lavoro che non può essere dettato una volta per tutte, ma che deve essere logica conseguenza di un lavoro continuativo. Un lavoro che nell'autorganizzazione e nell'azione diretta trova, nella sua dimensione territoriale, gli strumenti di lotta contro il governo, locale e nazionale. Un lavoro tendente alla costruzione di organismi a vari livelli - dal locale al territoriale in senso sempre più vasto - aperti a tutti, che discutano di tutte le questioni riguardanti la vita delle popolazioni e che siano in grado, oggi, di incalzare e sfidare le autorità sul piano concreto dei bisogni quotidiani e, domani, di prendere tutte le iniziative necessarie alla riorganizzazione orizzontale della vita sociale.

Utopia? forse, ma è un'utopia che contiene in se una grande concretezza: quella legata alla volontà di partire da sé, per ritrovarsi, da pari, nella comunità umana e costruire insieme un mondo ove le contraddizioni trovino un modo di composizione senza l'intervento statale che ripropone gerarchie e disuguaglianze.

In un momento in cui la polarizzazione crescente (ampiamente spettacolarizzata e personalizzata) della campagna elettorale pare stritolare ogni possibilità di proposta "altra", con l'obiettivo  palese di richiamare alle urne i delusi e i disaffezionati, gli astensionisti più o meno convinti, occorre rifiutarsi di farsi macellare dalla dialettica del potere, il che vuol dire soprattutto evitare di cadere nel puro resistenzialismo, ma di resistere lottando con una proposta chiara di trasformazione dell'esistente, che oggi non può  assolutamente prescindere dall'assoluta preminenza della questione sociale.

Sfuggire dai meccanismi della democrazia rappresentativa significa entrare nel concreto della critica stessa del concetto di maggioranza e minoranza, significa rifiutare la riproduzione, pura e semplice, dei rituali parlamentari negli stessi organismi rappresentativi di base per dare invece prevalenza all'autorganizzazione, alla lotta, al libero confronto delle idee e delle proposte. 

I rapporti di forza si sono sempre modificati con la lotta diretta e la via politica ha sempre rappresentato il disarmo della conflittualità sociale.

Con questa consapevolezza ci tiriamo fuori dai ricatti agitati dai partiti di sinistra alle prese con le pulsioni egemoniche di ceti politici trasformisti, opportunisti ed affaristi, incapaci di produrre politiche realmente alternative a quelle di destra, sul terreno economico, del degrado urbano ed ambientale, dell'occupazione, della sanità, della scuola, ecc.

In realtà la violenza della crisi mondiale e delle politiche di guerra non lasciano più tempo, né margini ad una politica di moderato e "razionale" riformismo di cui, per altro, non si riesce ad individuare i possibili esecutori in ambito parlamentare.

A fronte di una politica che fa del parlamento il suo centro di interesse occorre contrapporre un pensiero ed un'azione che abbiano il loro punto di riferimento nella capacità di autorganizzazione popolare.
A fronte di una visione che fa del parlamento il luogo della rappresentanza politica e sociale del paese occorre contrapporre la proposta e la pratica del comunalismo, libertario e federativo, articolato sul territorio, dal semplice al complesso, affermando nel contempo la propria volontà a non essere governati, a non rendersi corresponsabili di un sistema basato sullo sfruttamento e sull'oppressione.

Astenersi, non cadere nelle trappole delle false alternative e del meno peggio, rafforzare le armi della critica intransigente, dell'organizzazione, del protagonismo sociale, dell'azione tra le classi sfruttate ed oppresse, vuol dire attrezzarsi per una futura possibile crisi rivoluzionaria, alimentata dalla crescente instabilità mondiale e dall'accumularsi delle contraddizioni sociali ed economiche, in grado di indicare e praticare una via d'uscita autogestionaria che impedisca la ricaduta in un sistema di potere gerarchico.

Max Var

una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti