Umanità Nova, numero 8 del 5 marzo 2006, Anno 86
Dopo la conferma che i militari italiani hanno fuoco indiscriminatamente su civili e feriti a Nassiriya, la diffusione del filmato che testimonierebbe gli ultimi istanti di Fabrizio Quattrocchi e le rivelazioni fatte dal detenuto iracheno, tristemente divenuto simbolo delle torture nel carcere di Abu Ghraib, attorno alle responsabilità di contractors italiani hanno fatto riemergere l'inquietante realtà delle PMC (Private military company) e delle PSC (Private security company), ossia il ruolo dei moderni mercenari operanti nelle zone di guerra su appalto, e subappalto, degli apparati militari di Stato o per conto delle imprese economiche impegnate nella cosiddetta ricostruzione, ma anche di Ong e agenzie umanitarie.
Soltanto per quanto riguarda l'Iraq, nel 2005, si contavano circa 20 mila contractors (l'anno precedente era accreditata la cifra di 25-30 mila) per un business presunto di 12-15 miliardi di dollari, alle dipendenze di circa 60 agenzie, soprattutto statunitensi e britanniche, con una vasta gamma d'incarichi, dalla collaborazione sul campo con le truppe regolari d'occupazione alla vigilanza delle strutture dell'industria petrolifera, dall'addestramento dell'esercito nazionale iracheno alla protezione delle personalità di governo e di uomini d'affari. In termini numerici, non a caso, l'insieme di questi militari privati rappresentano il secondo esercito presente in Iraq, dopo quello Usa e prima di quello britannico.
Anche i dati, seppure ufficiosi, inerenti le perdite confermano tale importanza: nel 2004 il numero di morti tra gli uomini della sicurezza privata era circa il doppio dei soldati regolari, ma col vantaggio per i governi interventisti di non figurare - se non in casi eccezionali - nelle lugubri e politicamente imbarazzanti liste dei caduti in guerra.
Per quanto riguarda gli orrori di Abu Ghraib, da tempo era noto il diretto coinvolgimento di almeno due compagnie private (la Caci International e la Titan Incorporated), ma ovunque sono arrivati questi mercenari, dai Balcani all'Africa e all'America Latina, si segnalano da tempo comportamenti non diversi da quelli di una qualsiasi soldataglia d'occupazione e, probabilmente, ancora più impuniti dato che le attività e persino le identità degli assoldati sono generalmente coperte; una realtà raggelante che dovrebbe far riflettere quanti ipotizzano l'impiego delle PMC con funzioni di peace-keeping al posto dei caschi blu dell'ONU o per conto dell'ONU stessa in aree di crisi.
Ricordando gli stessi quattro "addetti alla sicurezza" italiani presi in ostaggio nel 2004, se per il magistrato inquirente erano "veri e propri fiancheggiatori delle forze della coalizione" svolgendo "una vera e propria attività militare", resta infatti ancora da conoscere che missione stavano compiendo, armati con mitragliatori MP5 in dotazione ai reparti d'assalto, quando furono catturati proprio ad Abu Ghraib, sulla strada tra Baghdad e Falluja.
Il fatto poi che queste compagnie private, coinvolte sia in Iraq che Afganistan nella gestione di strutture detentive, vedano propri effettivi accusati di abusi nei confronti dei prigionieri, non desta peraltro stupore considerando la provenienza e la formazione militare, e in particolare nei reparti speciali, di gran parte del personale mercenario che comunque rimane contiguo ai metodi, alla mentalità e all'addestramento delle stesse strutture di provenienza, quando non sono gli stessi apparati ufficiali militari e di intelligence ad affidarsi al "privato" per i lavori meno ammissibili.
Da manuale la dichiarazione di Berlusconi: "Se poi ci fossero dei mercenari il problema non ci riguarda".
D'altra parte le forme del subappalto e dell'esternalizzazione si prestano particolarmente a operazioni "coperte" che mal si conciliano con il formale rispetto da parte dei regimi democratici delle leggi internazionali a tutela dei diritti umani e di quelle stesse libertà per le quali, paradossalmente, vengono giustificate le guerre infinite contro il "terrorismo". A dimostrazione che, ormai, anche il monopolio statale della violenza si conferma e si estende attraverso la sua privatizzazione.
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