testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 8 del 5 marzo 2006, Anno 86

Equilibrio del terrore
Il grande gioco e la guerra civile in Iraq


"Un noto economista italiano, Marcello De Cecco, conclude, sulle pagine di 'Affari e Finanza' inserto di 'La Repubblica' del 25 aprile 2005, il suo articolo con questa considerazione: 'Fino a quando la situazione strategica mondiale resterà quella che è, con una sola vera grande potenza, la percezione di un aumentato disordine politico mondiale induce il denaro da tutto il mondo a rifugiarsi negli Stati Uniti e i capitali americani a tornare a casa. Se invece la pace e l'ordine mondiale mondiali non sono minacciati, e non sono dunque in immediato pericolo né la vita né il peculio, ci si può permettere il lusso di collocare i propri investimenti là dove essi promettono di offrire i rendimenti più elevati '(1). Marcello De Cecco esprime in estrema sintesi alcuni concetti sui quali occorrerebbe ragionare in maniera maggiormente ponderata, soprattutto per chi riflette sulle strategie geo-politiche, sulle nuove guerre, sul militarismo eccetera. La vulgata maggiore, infatti, tranne per alcune eccezioni, lavora su dei canoni interpretativi sui quali fa confluire dati, opinioni fatti, in modo tale da far coincidere i presupposti, quasi sempre indimosrabili e a priori, con i fatti veri e propri. La semplificazione logica conclude spesso queste tipologie di ragionamenti dove le contraddizioni o le dissonanze vengono semplicemente espulse dai processi argomentativi. Bisogna aggiungere, poi, che gran parte dell'informazioni correnti di cui disponiamo sono sufficientemente scarse rispetto a quelle prodotte, sono spesso in ritardo e in una parte ancora da decifrare volutamente manipolate o consegnate in modo tale da esserlo. È il caso questo, ad esempio, delle relazioni Stati Uniti- Cina: dato per scontato oramai che vi è una guerra in atto tra i due colossi, giocata sia in guerre guerreggiate che in tatticismi di ogni sorta, alcuni studiosi escludono, appunto, aprioristicamente, che possano esservi accordi tra le parti o, addirittura, interessi comuni. Il debito pubblico statunitense, comprensivo della bilancia dei pagamenti (2) ha raggiunto la cifra astronomica di 33 miliardi di dollari, che corrisponde al 294%del PIL (3). Gli Stati Uniti hanno bisogno, quindi, di garantirsi che qualcuno, da qualche parte, comperi dollari per sostenere questo spaventoso debito. La Federal Reserve, infatti, negli ultimi tempi ha iniziato a condurre una politica di rialzo dei tassi di interesse, a fronte di un aumento generalizzato dei prezzi, legati in particolar modo all'aumento del greggio e dei beni di importazione a causa della svalutazione del dollaro. Il petrolio, come le materie prime energetiche avrebbero bisogno di una trattazione separata, ma sicuramente anch'esse fanno parte di una guerra a lungo termine che vede impegnati senza esclusione di colpi diversi concorrenti globali: vi è un dato che però rischia di essere sottovalutato ed è quello che attiene alle gang politico-affaristiche che governano i più importanti paesi al mondo. Non è necessariamente detto che un'azione che vada contro alcuni poteri economici e politici dei paesi che governano non possa tornare a loro vantaggio. La famiglia Bush, tanto per capirci, ma anche molti elettori del Presidente americano sono legati al petrolio, come produttori e distributori, altri alle commesse militari e così via. La svalutazione del dollaro comporta per gli Stati Uniti un aumento consistente del prezzo di acquisto al barile, ma contemporaneamente permette ai famigliari ed agli amici di affari di conseguire guadagni enormi. Lo stesso vale per i produttori di armi, di forniture militari e logistiche per la guerra e via dicendo. Questo dualismo che si registra in molti paesi al mondo comporta una diversa composizione delle classi al potere e questa chiave di lettura, insieme ad altre, potrebbe aiutare a comprendere movimenti all'apparenza illogici o addirittura accadimenti di difficile soluzione come quello dell'undici di settembre.

La situazione che si delinea è quindi quella di una restrizione monetaria generata dall'aumento dei tassi, per cui siamo di fronte ad una politica monetaria meramente anti-inflattiva, che non favorisce lo sviluppo della produzione dei beni, ma nello stesso tempo garantisce una maggiore appetibilità della moneta che gode di una remunerazione più alta sul suo acquisto. La liquidità creata dal 2001 dalle principali banche centrali ha reso, infatti, appetibili gli investimenti in titoli a reddito fisso, su cui si sono buttati i finanzieri di tutto il mondo. La svalutazione incessante del dollaro inoltre conviene a quei beni destinati all'esportazione e, nel contempo, permette di ridurre il debito legato alla bilancia dei pagamenti. Alcuni sostengono che il dollaro, per rendere competitive le merci statunitensi e per dimezzare il deficit, non dovrebbe valere più dello 0,55 rispetto l'euro. Negli ultimi tempi, tra l'altro, gli Stati Uniti sono stati tra i maggiori importatori netti di beni ad alto contenuto tecnologico, cosa mai avvenuta in precedenza. Il deficit degli Stati Uniti è finanziato circa per 83% (anno 2003) dalle banche centrali e quelle asiatiche detengono attualmente oltre 70% della liquidità statunitense. E la Cina è la capofila: tradotto significa che il più grande avversario degli Stati Uniti è contemporaneamente anche quello che detiene la maggior parte di debito e quindi di credito nei suoi confronti. Gli Stati Uniti hanno bisogno, per mantenere inalterato il valore della loro moneta, di un apporto quotidiano in dollari pari a 1,8 miliardi. A fonte di una svalutazione del dollaro, che si accompagna ad una sopravvalutazione dello yuan detta anche 'moneta del popolo cinese' ancorata al biglietto verde come parità di cambio, la Federal Reserve si è vista costretta ad aumentare i tassi per continuare a mantenere costante l'afflusso di dollari da parte delle banche straniere. Il deficit degli Stati Uniti con la Cina è oramai pari a più di un terzo del totale (4). L'aggancio dello yuan al dollaro permette alla Cina di essere competitiva sia nei confronti degli Stati Uniti che dell'Europa, dove l'euro si connota come la più potente fra le monete attualmente in circolazione. L'acquisto del debito pubblico da parte della Cina viene contraccambiato dagli Stati Uniti con la distribuzione e la vendita di una quantità esorbitante di prodotti fabbricati in Cina: Wal Mart, il colosso della distribuzione americana vende, per oltre il 70%, prodotti cinesi.

La Cina finanzia il debito degli Stati Uniti e gli Stati Uniti vendono prodotti cinesi. L'alleanza per quanto fragile e sostenuta da un 'equilibro monetario del terrore' esiste e vede nelle due superpotenze mondiali degli alleati, quanto temporanei non si sa, piuttosto che degli avversari. Ma gli Stati Uniti non possono fidarsi completamente della situazione e se la Cina convertisse gran parte del debito in euro, per gli USA sarebbe un tonfo enorme senza paracadute. Ecco allora che entrano in gioco le guerre e forse si capisce un po' meglio la frase di De Cecco: le guerre attuali in medio oriente mantengono quel caos planetario sufficiente a che gli investitori mondiali continuino a comprare ed investire in biglietti verdi americani. I costi statunitensi sono altissimi, sia in termini di morti che di credibilità internazionale (ecco il pretesto del terrorismo!) ma non è una partita persa nel grande gioco del controllo delle vie del petrolio, quanto, forse, una battaglia appena vinta sul sostegno del debito pubblico. (5)"(6)

Così scrivevo alcuni mesi fa a proposito della situazione internazionale e dei rapporti tra le grandi potenze: il punto essenziale di ciò che penso è che la situazione attuale che si è creata in Iraq e la conseguente guerra civile in atto non siano affatto, come alcuni pensano, delle conseguenze di una guerra condotta malamente dagli Stati Uniti, cosa per altro non escludibile in maniera assoluta, quanto la necessaria e continua destabilizzazione di un'area vastissima, che va dai Balcani al Medioriente, dall'Africa al Sud-est asiatico, finalizzata al perpetuarsi di un controllo permanente delle linee di approvvigionamento sia dei beni materiali (petrolio, gas, ecc) sia dei beni monetari finalizzati al sostegno del proprio debito pubblico. La vulgata maggiore che troviamo sui quotidiani di questi giorni è che lo scontro in atto veda la presenza di regie più o meno occulte dietro l'attentato prima e i combattimenti poi: alcuni sostengono (il Corriere della Sera) che dietro gli attentati ci sia la regia di Al Zarkawi, emiro del terrore e nemico giurato dei "Rafiditi" (termine dispregiativo di denominazione degli sciiti), il quale, contro tutto e tutti, anche contro il suo mentore spirituale Abu Muhammad Al Maqdisi e contro l'ideologo di Al Queda, Ayman Al Zawahiri, starebbe lanciando una campagna di guerra totale contro gli sciiti e soprattutto verso il terribile nemico Moqtada Al Sadr e le sue brigate, braccio armato dello Sciri, il più importante partito del cartello vincitore delle elezioni. Un'altra versione che scivola "senza" intoppi, come la prima, è quella che sostiene, al contrario, la regia degli attentati da parte dell'Iran (La Repubblica): secondo questa versione Moqtada al Sadr farebbe il "doppiogiochista": con una mano aizzerebbe i suoi a dare fuoco alle moschee sunnite (Bassora) e con l'altra manderebbe altri uomini a difendere le stesse. L'attentato alla moschea di Samarra, quindi, secondo questa versione sarebbe un auto-attentato, sotto regia Iraniana finalizzato ad ottenere maggiori risorse politiche ed economiche dalle trattative in corso con gli Stati Uniti per la formazione, e scusate se mi viene da ridere, di un nuovo Iraq democratico. Entrambe le tesi sono complottiste ed è divertente notare come tranquilli giornalisti di "centro" applichino criteri solitamente adottati dai complottisti dell'estrema per svelare i misteri di una guerra sulla quale sono ormai pochi a trovare un filo conduttore chiaro ed univoco. Quello su cui la stampa "borghese" concorda è invece il ruolo di stabilizzatore adottato dagli Stati Uniti, così come concorda sul fatto che Iran e Stati Uniti siano acerrimi nemici che giocano, anche in Iraq, una partita all'ultimo sangue. Ho qualche timore che, sebbene il campo di gioco sia lo stesso, si potrebbe scoprire che, al momento, le squadre giochino dalla stessa parte e che le finalità di destabilizzazione servano, in maniera diversa, sia agli uni che agli altri.

Pietro Stara



Note

(1) Marcello De Cecco, I nodi non risolti di Bush, in "Affari & Finanza", inserto settimanale del quotidiano "la Repubblica" del 25 aprile 2005

(2) La bilancia dei pagamenti è divisa tra la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni ed importazioni di beni e servizi) e il saldo dei movimenti di capitali (da e verso gli USA per l'acquisto di attività sia finanziarie che reali)

(3) A. Cesarano in www.repubblica.it/lettfin/kwfin/online/If le analisi/031028cesarano/031028/031928.html

(4) David E. Ranger, Us faces more tensions abroad ad dollar slides, The New York Times, New York, 25 gennaio 2005

(5) Un articolo interessante è quello di Ibrahim Warde, Contro l'Euro, La sorte del dollaro si gioca a Pechino, in Le Monde Diplomatique, supplemento del febbraio 2005 de il quotidiano "il Manifesto"

(6) Cfr. Pietro Stara, La riorganizzazione degli Stati e delle alleanze strategiche internazionali, in Collegamenti Wobbly, Per una teoria critica libertaria, n 8 luglio - dicembre 2005

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