Umanità Nova, numero 9 del 12 marzo 2006, Anno 86
Parlare di carcere, oggi, richiama inevitabilmente alla memoria gli inferni di Guantanamo e di Abu Ghraib, diventati tristemente famosi perché in essi si condensa l'essenza di questa istituzione totale. Quella che provoca l'annichilimento completo della persona per ragioni che con la "giustizia", anche quella democratica, non hanno nulla a che fare. Guantanamo ed Abu Graib non hanno fermato il terrorismo, così come le galere normali non servono a fermare la "criminalità", un fatto talmente evidente che solo chi è in malafede si sognerebbe di sostenere il contrario.
Eppure nelle carceri, anche in Italia, continuano ad aumentare i reclusi.
Mettendo a confronto i dati ufficiali relativi agli ultimi cinque anni (vedi tabella 1) ci sono alcune cose che saltano immediatamente all'occhio: l'aumento del numero di stranieri che fanno il loro ingresso nel circuito carcerario; l'aumento delle "presenze" negli ultimi due anni e l'aumento degli "ingressi" complessivi nell'ultimo anno. Dati in contrasto con la sostanziale staticità registrata durante i tre anni precedenti. Sembra proprio che il 2004 e ancora di più il 2005 siano stati anni che hanno visto un deciso incremento della popolazione carceraria.
La cosa potrebbe anche apparire "normale" se non ci fossero stati, sempre nello stesso periodo, trionfali annunci a proposito della diminuzione dei reati:
"Nell'ultimo quadriennio il numero degli omicidi volontari commessi
in Italia (2.740) è risultato il più basso in termini di
valore assoluto rispetto ai due quadrienni precedenti." (...) "Per la
fattispecie più diffusa di reato predatorio, quella dei furti,
nel periodo luglio 2001-giugno 2005 si rileva una flessione del 4%
circa rispetto al quadriennio luglio 1997-giugno 2001..." (...) "Nel
quadriennio luglio 2001-giugno 2005 si evidenzia, rispetto a quello
precedente (luglio 1997-giugno 2001), una diminuzione delle principali
tipologie di rapina..." (dal "Rapporto sullo stato della sicurezza in
Italia", luglio 2005)
Gli unici delitti ad aumentare, sempre secondo la medesima fonte,
sarebbero stati quelli di "truffa", reati per i quali non sempre si
finisce in galera.
Il contrasto, tra la diminuzione dei reati e l'aumento dei carcerati, è forse solo apparente in quanto a finire in galera (e nelle statistiche) ci sono anche persone che poi vengono liberate dopo breve tempo perché giudicate innocenti o, soprattutto negli ultimi anni, immigrati che vengono espulsi e rispediti nei loro paesi di origine.
Un altro dato scontato, anche senza conoscere i numeri ufficiali, è che in prigione ci finiscono soprattutto persone appartenenti agli strati sociali più deboli: almeno due terzi dei detenuti hanno al massimo la licenza media inferiore (vedi tabella 2) e la metà dei circa 30 mila carcerati dei quali si conosce la condizione lavorativa sono senza lavoro (*).
I dati citati (errori compresi) provengono da fonti governative e risulta quindi ancora più sorprendente la recente sortita, in occasione di un Convegno a Roma, del responsabile del "Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria" (Dap), a proposito della tragica situazione nella quale si troverebbero carceri e detenuti. La condizione descritta doveva essere nota, e da tempo, a tutte le istituzioni e autorità statali e se non hanno provveduto ad evitarla ne sono gli unici colpevoli.
Una delle ragioni per le quali non è stato fatto nulla per prevenire l'attuale situazione di collasso delle carceri è che una emergenza fatta di carceri sovraffollate capita giusto a proposito, in un contesto nel quale la parola d'ordine delle privatizzazioni, anche delle strutture dell'apparato repressivo dello Stato, promette lauti guadagni. Hanno già iniziato con i lager che chiamano CPT, dati in gestione a cooperative, proseguiranno con i tossicodipendenti rinchiusi nelle comunità terapeutiche e fra non molto arriveranno, come già in altri paesi, le carceri private.
La privatizzazione, invece che migliorare, peggiorerà le condizioni di vita dei detenuti: perché i nuovi padroni delle galere dovranno massimizzare i profitti sulla pelle degli esseri umani affidati alla loro custodia e perché dovranno irrigidire le misure di sicurezza non potendosi permettere gli stessi errori di un gestore pubblico.
L'apparato statale ha bisogno del carcere anche per usarlo come "parcheggio", socialmente accettabile, per gli emarginati (ieri i poveri, oggi gli immigrati), nonché per giustificare i continui aumenti della spesa in tutto il settore della sicurezza. Ma la galera è anche un luogo dove si sperimentano le nuove tecnologie del controllo, quelle che poi vengono applicate nelle strade delle città nei confronti dei cittadini "liberi".
Il tempo delle rivolte è passato e le proteste dei carcerati si limitano oggi ad azioni di lotta difficilmente in grado di incidere sulla loro condizione o su quella del loro ambiente di sofferenza. L'aumento della presenza di stranieri, gli ovvi problemi di comunicazione tra indigeni ed immigrati e la mancanza dei diritti fondamentali di questi ultimi rendono difficile l'aggregazione tra i reclusi. E, senza la creazione di gruppi che lottano all'interno, le lotte che si possono condurre fuori dalle galere possono arrivare solo a scalfire superficialmente i muri di una costruzione da distruggere.
Pepsy
(*) Per tutti i dati citati, vedi
http://www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dap/det/detg00_organigramma.htm
dove si trovano anche altre statistiche.
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Tabella 1
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Anno Presenze Ingressi Ingressi (stranieri)
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2001 55.275 78.649 (28411)
2002 55.670 81.185 (29150)
2003 54.237 81.790 (31852)
2004 56.068 82.275 (31249)
2005 59.523 89.887 (40606)
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Fonte: dati del "Ministero della Giustizia"
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Tabella 2
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Livello di istruzione
dei detenuti 2005 2004 2003
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analfabeti 1,4% 1,4% 1,4%
senza titolo 4,2% 5,5% 6,3%
scuola elementare 21,9% 26,5% 27,8%
media inferiore 36,0% 38,6% 37,9%
scuola professionale 2,2% 3,4% 3,6%
media superiore 4,5% 4,2% 4,2%
laurea 0.9% 0,9% 0,8%
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Fonte: dati del "Ministero della Giustizia"