Umanità Nova, numero 9 del 12 marzo 2006, Anno 86
Alla vigilia delle elezioni politiche 2006 può essere interessante dare una sbirciatina a particolari tendenze che, ormai da qualche tempo, si sviluppano all'interno dello schieramento di centro-sinistra avanzando particolari proposte, alcune delle quali, in varie forme e con diversi scopi, vengono in certi casi prese in considerazione. Faccio riferimento a delle forze sociali e politiche nate nel cosiddetto "movimento dei movimenti", che si riconoscono nella sinistra istituzionale ma sono critiche nei confronti della democrazia parlamentare, che sono più radicate in partiti come Rifondazione Comunista e Verdi (e nei movimenti che gravitano loro attorno) ma trovano consensi anche altrove, che avanzano proposte profondamente riformiste e alternative rispetto al riformismo classico ma che non si presentano come sinistra radicale. Si tratta di un movimento neomunicipalista federalista e ambientalista, aperto e flessibile, "in via di sviluppo" potremmo dire, che cresce all'interno del progetto Rete del Nuovo Municipio (Rete NM) [1] .
Caratteristica fondamentale di questo movimento, che si definisce "sinistra sociale e civile", è un ripensamento del modello democratico attraverso la sperimentazione di nuove forme di democrazia, da affiancare a quelle odierne (da ristrutturare), in diverse realtà locali sparse sul territorio italiano. Al centro di questo rinnovamento stanno l'applicazione, la diffusione e l'auspicato affermarsi della cosiddetta democrazia partecipativa: un particolare metodo-guida riguardante i processi decisionali volto ad accrescere il coinvolgimento della cittadinanza nell'attività politica, allo scopo di ricostruire la democrazia "dal basso". Si parla esplicitamente, a questo proposito, di una "rifondazione partecipata della democrazia". Questa peculiare forma di partecipazione politica si colloca a metà strada fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta e - attraverso pratiche assembleari, comitati, referendum, ecc. - si propone di realizzare, a seguito di una cessione di potere da parte delle istituzioni locali a favore della cittadinanza, un'integrazione tra società civile e istituzioni locali (che darebbe vita ad una democrazia detta anche "deliberativa", in cui la partecipazione non sarebbe più semplicemente consultiva, ma co-decisionale), al fine di realizzare l'autogoverno municipale. I singoli municipi costituirebbero i nuclei fondamentali di una nuova forma di organizzazione territoriale che, creando un federalismo solidale, funzionerebbe per mezzo di reti di relazioni "orizzontali" intermunicipali, provinciali e regionali. Il municipio, in questa concezione, viene inteso come entità territoriale di base per la realizzazione di pratiche di "buon governo", secondo i principi del welfare, dell'autosostenibilità, della produzione di qualità, dell'impresa etica e della valorizzazione del territorio le cui risorse diverrebbero beni pubblici. L'economia sarebbe quindi subordinata alla politica, al benessere sociale e all'etica ambientalista, e dovrebbe inoltre funzionare attraverso "relazioni improntate allo scambio solidale" pur ammettendo "competizione sulla qualità dei prodotti", nel contesto di uno sviluppo alternativo che non sia la conseguenza di una mera logica di profitto pur mirando ad "accrescere il valore del patrimonio territoriale locale" [2].
Nel progetto neomunicipalista i meccanismi democratico-partecipativi ("nuovi istituti di decisione") sarebbero funzionali alla predisposizione di "scenari di futuro condivisi" tra i diversi attori sociali e rappresentanti di vario genere coinvolti nei processi decisionali. Questi scenari di futuro condivisi sarebbero "la condizione perché la partecipazione, estesa agli attori più deboli e senza voce nelle decisioni istituzionali, produca l'individuazione dell'interesse comune attraverso il riposizionamento dei conflitti verso relazioni di reciprocità" [3]. Tenuto conto di queste ultime affermazioni, se si considera poi che un siffatto "processo aggregativo non riguarda più soltanto l'unione dei simili (classe, genere, etnia) o l'unione locale su un disagio specifico indotto da scelte di sviluppo esogene", in quanto ha come scopo la "promozione di statuti e patti d'unione dei diversi per la autoprogettazione di società locali complesse attraverso forme di autogoverno delle relazioni fra differenze e il loro reciproco riconoscimento", parallelamente ad un auspicato salto "dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo" per la costruzione di una "nuova composizione sociale" [4], si può dedurre che il processo democratico-partecipativo mira ad una soluzione concertativa dei conflitti sociali. Inoltre, il sistema economico ideale sopra descritto a grandi linee è in definitiva un "capitalismo dal volto umano", un capitalismo non più di stato ma di municipio.
Tra l'altro, è difficile capire quale sorte toccherà allo stato stesso: se da un lato la spinta iniziale al programma riformista proposto dalla Rete NM dovrebbe venire da un prossimo governo di centro-sinistra che, cancellando il "federalismo neocentralista" del governo Berlusconi, potrebbe dare il via ad un trasferimento reale di potere e risorse ai governi locali secondo un modello di federalismo solidale dal basso, dall'altro non si capisce cosa rimarrebbe dell'apparato statale nazionale a metamorfosi compiuta. La stessa questione si pone, in vista di una diffusione del progetto neomunicipalista a livello europeo, per ciò che riguarda gli altri stati, oltre che le istituzioni sovranazionali dell'Unione Europea. I medesimi dubbi, poi, sorgono anche a riguardo della dimensione mondiale in riferimento al programma per una nuova globalizzazione (sempre dal basso).
Ci sarebbero altre questioni da analizzare oltre a quelle fin qui esposte, ma si rischierebbe di allontanarsi troppo dalla specifica finalità dell'articolo [5].
Nonostante i punti oscuri, le lacune e gli aspetti negativi, non si può a mio avviso negare che l'ideale della democrazia partecipativa e il progetto neomunicipalista hanno la possibilità di radicasi all'interno dei movimenti che si sentono parte della cosiddetta sinistra alternativa. Tra l'altro, bisogna tener presente che possono esercitare un certo fascino su chi è genuinamente e radicalmente democratico, e magari anche sensibile alle istanze libertarie. Proprio per questo penso valga la pena confrontarsi con queste idee.
Il richiamo alla "partecipazione" offre l'occasione di rilanciare la proposta autogestionaria, soprattutto in riferimento alla richiesta di assumersi la responsabilità dell'organizzazione sociale. Una delle debolezze principali dell'ipotesi neomunicipalista è il suo affidarsi alla sfera politica, allo stato e ai meccanismi parlamentari, nonché il proporre un modello economico ancora capitalista con la pretesa di sottometterlo alla dimensione etica e ambientalista. Tutto questo, nonostante l'avversione verso i poteri forti della politica stessa, oltre a quella nei confronti dei colossi economico-finanziari e della competizione "selvaggia".
I rischi per la democrazia partecipativa e il neomunicipalismo consistono nel potersi ritrovare ad essere utilizzati come strumenti per agevolare e rafforzare un controllo statale più diffuso e capillare sul territorio, nonché per rendere più efficienti i dispositivi di costruzione del consenso. In ogni caso, la realizzazione di questi progetti riformisti della "sinistra sociale e civile" dovrebbe fare i conti con la forza della logica del profitto, la quale non può essere arginata da principi etici, mentre al limite potrebbe trovare nuovo vigore nella produzione "di qualità". Resta poi il fatto che i meccanismi democratici seguono comunque sempre a una logica istituzionalizzata di dominio, sia anche solamente il dominio delle maggioranze sulle minoranze, scontrandosi con il principio dell'equità, principio caro a chi si sente seriamente democratico: stabilire a priori il prevalere di una maggioranza inibisce ed impedisce la ricerca di un accordo quanto più ampio possibile, che sia in grado di tenere degnamente conto delle varie esigenze e di avvicinarvisi il più possibile.
Sostanzialmente, il modello democratico-partecipativo, accettando la
presenza dell'autorità e del capitalismo (quindi di dominio e
sfruttamento), e immaginando una società concertativa
tendenzialmente a-conflittuale, si nega la possibilità di
realizzare i suoi stessi obiettivi, rischiando seriamente di diventare
strumento di rafforzamento per gli stessi poteri forti contro cui
vorrebbe lottare.
In definitiva, l'ipotesi maggiormente sensata per una reale
emancipazione mi sembra possa passare solamente proprio attraverso i
conflitti sociali. E i conflitti sociali possono divenire più
radicali e dirompenti non attraverso la delega di potere, bensì
grazie all'azione diretta, la quale è accompagnata sì da
un'assunzione di responsabilità, ma non una
responsabilità sociale generica, quanto piuttosto il farsi
carico di lotte specifiche che rendano più praticabile l'azione
diretta stessa accrescendo così la conflittualità. Non si
tratta dunque di partecipare all'esercizio del potere, ma di portare
avanti delle lotte che, all'opposto, permettano di creare le condizioni
necessarie ad aumentare le possibilità di autorganizzazione.
L'obiettivo rimane l'autogestione, in un contesto comunista libertario,
delle attività realmente necessarie e funzionali ai bisogni e al
benessere, nonché l'autogestione territoriale, che risulterebbe
possibile e razionale all'interno di strutture organizzative libertarie
di tipo comunalista - ovvero, una rete di relazioni federative
realmente orizzontali tra libere comuni autorganizzate [6]. Queste
proposte di autogestione possono essere realizzabili solo in seguito ad
un sovvertimento dell'ordine sociale odierno, un ordine con il quale
entrano inevitabilmente in conflitto, in quanto non contemplano la
legittimazione dell'autorità nella regolazione dei rapporti
sociali né la logica del profitto. Proprio queste
caratteristiche che contraddistinguono l'alternativa autogestionaria
consentirebbero l'esistenza di organizzazioni sociali eque e di
relazioni veramente solidali/cooperative, oltre al mantenimento di un
ambiente sano in cui vivere. L'autogestione ha le sue radici nei
conflitti sociali di oggi che, al di là di speranze elettorali
che fanno affidamento su concessioni dall'alto e in contrapposizione
alla gestione autoritaria della società, tendono a creare le
condizioni per una maggiore diffusione di pratiche di azione diretta,
delle quali è parte integrante la tensione all'autorganizzazione
territoriale che si inserisce nei conflitti sociali stessi.
Silvestro
Note
[1] Materiale, documenti e proposte di discussione relative a
quest'area si possono trovare nel sito internet
http://www.nuovomunicipio.org/
[2] Carta del Nuovo Municipio,
http://www.nuovomunicipio.org/documenti/carta.html
[3] Ibid.
[4] Alberto Magnaghi, "Il nuovo municipio: un laboratorio di democrazia partecipativa per una economia solidale",
http://www.nuovomunicipio.org/documenti/contributi/mauss.html
[5] Un aspetto che mi sembra comunque interessante considerare riguarda
il problema della cittadinanza in riferimento ai migranti. Pilastro
delle proposte neomunicipaliste è la cittadinanza di residenza
grazie alla quale "l'essere cittadino, collegato tradizionalmente alla
nazionalità, viene intrecciato invece al fatto di vivere su un
determinato territorio". La cittadinanza di residenza viene collegata a
proposte di diritto di voto per i cittadini stranieri alle elezioni
amministrative e a quelle per il parlamento europeo. A questo punto,
però, è lecito chiedersi a chi sarebbe consentito di
rimanere nel paese una volta varcati i confini nazionali. Nonostante le
condanne della legge Bossi-Fini e quelle, più velate, della
Turco-Napolitano, oltre agli appelli per la chiusura dei campi di
internamento per migranti da sostituire con "strutture di prima e
seconda accoglienza", tra i vari provvedimenti che vengono indicati,
pur "senza la pretesa di essere esaustivi", ve n'è uno che parla
di certificare l'idoneità delle abitazioni "rendendo così
possibili [...] i rinnovi dei permessi/contratti di soggiorno" ("I
diritti di cittadinanza nella prospettiva del Nuovo Municipio" a cura
di Moreno Biagioni e Mercedes Frias,
http://www.nuovomunicipio.org/documenti/cittagenere/friasbiagioni.html).
Vedere la parola "permessi" legata alla parola "contratti" non fa certo
pensare ad un radicale cambiamento di rotta rispetto alle norme vigenti
in tema di ingressi.
[6] Vedi "Alla libertà con la libertà" in Umanità Nova n. 8, 5 marzo 2006